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martedì 24 maggio 2022

La trappola di Saddam: vincere per scacco matto

 

Lunedì 2 maggio 2022

di Ugo Bardi

Il gioco degli scacchi non è una simulazione realistica di una battaglia. Ma, su un punto, può fornire un indizio fondamentale: le guerre sono soprattutto una questione di comando e controllo. Uccidere o neutralizzare il leader (il re) può causare il collasso delle forze militari del paese. Nei tempi moderni, i leader vengono raramente uccisi dai loro nemici, anzi, sono controllati, a volte in modi subdoli che li coinvolgono in azioni sciocche o controproducenti. 

 

Se il mondo è una scacchiera gigante, i capi delle maggiori potenze equivalgono al "re" degli scacchi. È opinione comune che qualunque cosa venga fatta nella gigantesca lotta, sia fatta per ordini specifici del grande leader, che sia Putin, Biden, Xi Jinping, o chiunque controlli – o si dice che controlli – un paese.  

Questa percezione apre una strategia simile agli scacchi che consiste nell'eliminare il leader nemico. Ma raramente è una buona idea. A differenza di quanto accade negli scacchi, il leader ucciso può essere trasformato in una figura eroica dalla propaganda, e poi sostituito da un altro che potrebbe essere ancora più bellicoso. Quindi, una strategia migliore potrebbe consistere nel controllare i leader nemici, cosa che non puoi fare negli scacchi. Se riesci a convincere il tuo nemico a fare scelte strategiche sbagliate, sei a metà strada verso la vittoria (Sun Tzu non ha mai detto niente del genere nel suo "L'arte della guerra ", ma avrebbe potuto farlo). 

Quindi, vediamo se possiamo trovare esempi storici di questa strategia applicata con successo nel recente passato. Posso proporne almeno tre. 

1. Luigi Napoleone (Napoleone III), 1808 – 1873Il nipote di Napoleone Bonaparte, divenuto imperatore dei francesi, è una figura così affascinante che gli ho dedicato almeno tre post (vedi sotto). Il suo fascino deriva dal fatto che era completamente, totalmente e irrimediabilmente incompetente. Tutte le sue decisioni sembravano mirare a rovinare le restanti possibilità per la Francia di diventare una potenza mondiale. Uno fu particolarmente disastroso: quando Luigi Napoleone aiutò il re piemontese, Vittorio Emanuele II, a sconfiggere gli austriaci e poi a unificare l'Italia in un unico regno. Il risultato fu la creazione di uno stato antagonista che bloccò per sempre tutti i tentativi della Francia di espandersi in Nord Africa. Luigi Napoleone era controllato dai piemontesi? Sembra che lo fosse: il controllo prese la forma dell'opera della contessa di Castiglione, Virginia Oldoini, una delle donne più belle dell'epoca. Fu mandata in Francia dal cugino, Camillo Benso conte di Cavour, il Primo Ministro del governo piemontese, con l'esplicito scopo di diventare l'amante di Luigi Napoleone e influenzarne le decisioni. È difficile dire quanto sia stata efficace la signora Oldoini, considerando che Luigi Napoleone ha preso molte decisioni sbagliate anche prima di conoscerla. Ma possiamo almeno sospettare che abbia avuto un ruolo nel plasmare il mondo come è oggi. 

2. Benito Mussolini, 1883 – 1945Si può dire che i suoi primi anni di leadership siano andati abbastanza bene. La svolta per lui sembra essere stata l'invasione dell'Etiopia nel 1935. Ancora oggi ci si può chiedere come sia stato possibile che il governo italiano abbia impegnato il paese nella conquista di un territorio che non aveva alcun interesse per l'economia italiana e che, molto peggio, era un fardello gigantesco per le casse dello Stato. Doveva essere ovvio che le forze militari di stanza in Etiopia non potevano essere rifornite in caso di un conflitto su vasta scala ed erano destinate a essere sconfitte. Che è esattamente quello che è successo. L'idea di invadere l'Etiopia era stata "piantata" nella mente di Mussolini dai servizi segreti britannici? Se così fosse, sarebbe stato un trucco geniale per assicurarsi che il potere militare italiano fosse diviso e indebolito. Difficile pensare che Mussolini potesse essere controllato usando le donne: era un famoso donnaiolo e ne aveva in abbondanza. Ma sappiamo che i servizi segreti britannici lo avevano pagato per spingere il governo italiano a unirsi agli Alleati durante la prima guerra mondiale. Poi, nel 1925, la Gran Bretagna aveva accettato di firmare uno "scambio di note" con l'Italia per quanto riguarda l'Etiopia. Conosciuto come "Accordo anglo-italiano", in sostanza, diceva: "se vuoi invadere l'Etiopia, vai avanti, non muoveremo un dito per fermarti". Ciò aprì a Mussolini la strada per mettere in pratica una sua idea folle: quella di ricostruire l'antico impero romano, magari con lui stesso incoronato imperatore. Invece, è finito impiccato per i piedi, ma è così che funziona la storia. Per inciso, la rimozione di Mussolini dal potere nel 1943 è un notevole esempio di una strategia di decapitazione simile a quella degli scacchi nei tempi moderni. Senza un leader, le forze armate italiane si sono sbandate e hanno cessato di combattere. 

3.  Saddam Hussein, 1937-2006Hussein è stato un altro leader notevolmente incompetente che ha impegnato il suo paese in una guerra disastrosa contro il vicino Iran, probabilmente pensando a se stesso come l'erede dei leader arabi che avevano conquistato l'Iran durante il VII secolo d.C. Il suo destino arrivò quando prese un'altra decisione disastrosa, quella di invadere il Kuwait nel 1990. È risaputo che, prima di invadere, Hussein incontrò l'ambasciatore americano in Iraq, April Glaspie. Abbiamo le trascrizioni della loro discussione: sebbene la signor Glaspie non abbia mai scoraggiato esplicitamente Hussein dall'idea di invadere il Kuwait, non ha nemmeno menzionato che gli Stati Uniti sarebbero stati contrari. Poi, sicuramente, non è stato trascritto anche tutto ciò che è stato detto, e possiamo immaginare che Hussein non avrebbe invaso il Kuwait se avesse immaginato la reazione degli Stati Uniti. Al contrario, potrebbe aver preso quello che l'ambasciatore ha detto come un via libera. Dopotutto, gli Stati Uniti avevano sostenuto l'Iraq nella guerra contro l'Iran, quindi Hussein poteva facilmente immaginare che lo avrebbero comunque sostenuto. Non lo sapremo mai, ma potremmo almeno sospettare che Hussein sia stato incastrato e spinto a fare l'errore che alla fine avrebbe portato alla sua morte e alla distruzione dell'Iraq. 

Ci sono sicuramente altri esempi di decisioni assurde da parte di leader di alto rango. Ad esempio, e alcune persone sostengono che l'attacco giapponese a Pearl Harbor nel 1941 sia stato, almeno in parte, una trappola creata dalla diplomazia americana per mettere i giapponesi in una posizione da cui non potevano più tirarsi indietro. O la decisione di Stalin di invadere la Finlandia nel 1939. Ma questi tre, credo, siano sufficienti per indicare che un leader forte può essere spinto a prendere decisioni sbagliate, sebbene i metodi per farlo non siano semplici. 

Né i soldi né le intimidazioni possono fare molto per controllare i leader di alto livello: stanno cavalcando la tigre, lo sanno bene. Quindi non si possono permettere di apparire deboli o, peggio, come traditori dei loro paesi. Il sesso può essere uno strumento più efficace e la recente storia di Jeffrey Epstein ci dice che molti politici potrebbero avere scheletri nei loro armadi. Ma i leader veramente potenti possono intimidire i loro critici e permettersi di essere donnaioli o pervertiti sessuali. Silvio Berlusconi in Italia è un esempio calzante. 

Quindi, accarezzare un ego esagerato può essere la migliore strategia per influenzare un leader. Tutti i leader dei paesi sono normalmente uomini solitari (molto raramente donne) circondati da persone che non hanno alcun interesse e nessuna convenienza a contraddirli. I leader più anziani possono essere particolarmente sensibili a questo approccio e, sicuramente, invecchiando, le loro capacità mentali non migliorano. Lev Tolstoj ci ha fornito una descrizione notevole di come Napoleone (il primo) abbia commesso errori incredibili semplicemente facendo le cose che aveva sempre fatto e poi scoprendo con orrore che queste cose non funzionavano più (vedi sotto). 

In quest'ottica, la migliore tecnica di controllo per sconfiggere un leader straniero può essere chiamata "La Trappola di Saddam" (potremmo anche chiamarla "Saddamizzazione". Suona male, lo so, ma, proprio per questo motivo, potrebbe essere una definizione adeguata). La trappola di Saddam consiste nell'invogliare il leader a impegnare il Paese in un'avventura militare che, all'inizio, sembra un gioco da ragazzi (cosa potrebbe andare storto con l'invasione del Kuwait?) Poi, si scopre che è una trappola da cui il grande il leader non può districarsi senza perdere la faccia, il che per lui equivale ad ammettere la sconfitta. I leader non possono ammettere la sconfitta, possono solo rilanciare e sperare che fare un errore ancora più grande lo trasformi in un successo. Solo che non sempre funziona. E poi la storia va avanti, spietata come al solito. 

Lo studio della storia può dirci molto sul nostro presente, ma dobbiamo essere cauti nell'interpretare l'attualità secondo somiglianze con i fatti precedenti. E non dimentichiamo che i “grandi leader” sono pochi: la maggior parte dei nostri politici si compra a buon mercato, non abbiamo bisogno di cercare strategie sofisticate per spiegare quello che succede. La corruzione di poche persone nei posti chiave è sufficiente per spingere uno stato a intraprendere azioni che hanno effetti negativi sui cittadini. 

Quindi, non possiamo dire con certezza come esattamente alcuni eventi recenti possano essere interpretati in termini di uno o più leader intrappolati in stile Saddam o, semplicemente, pagati per vendere il loro paese a una potenza straniera. Con il tempo, però, lo sapremo. 

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Post su Luigi Napoleone

Come una cattiva leadership può creare il collasso o renderlo più veloce: lezioni dalla storia europea

Carbone, guerre e belle donne: perché in Italia si parla italiano e non francese

Crimea: dalla guerra mondiale zero alla terza guerra mondiale


Lev Tolstoj: Guerra e pace.



Napoleone provava una sensazione di depressione come quella di un giocatore sempre fortunato che, dopo aver sbattuto denaro incautamente e aver vinto sempre, all'improvviso, proprio quando ha calcolato tutte le possibilità del gioco, scopre che più considera il suo gioco più sicuramente lui ha perso.

Le sue truppe erano le stesse, i suoi generali gli stessi, gli stessi preparativi erano stati fatti, le stesse disposizioni e lo stesso proclama courte et energique , lui stesso era sempre lo stesso: questo lo sapeva e sapeva di essere ora ancora più esperto e abile di prima. Anche il nemico era lo stesso di Austerlitz e Friedland, eppure il terribile colpo del suo braccio era diventato soprannaturalmente impotente.

Tutti i vecchi metodi che erano stati immancabilmente coronati da successo: la concentrazione delle batterie su un punto, un attacco di riserve per spezzare la linea nemica e un attacco di cavalleria degli "uomini di ferro", tutti questi metodi erano già stati utilizzati, eppure non solo non vi fu vittoria, ma da tutte le parti giunse la stessa notizia di generali uccisi e feriti, di rinforzi necessari, dell'impossibilità di respingere i Russi, e di disorganizzazione tra le sue stesse truppe.

Un tempo, dopo aver impartito due o tre ordini e pronunciato alcune frasi, marescialli e aiutanti erano venuti al galoppo con congratulazioni e facce felici, annunciando i trofei presi, i prigionieri, fasci di aquile e stendardi nemici, cannoni e provviste, e Murat aveva solo chiesto il permesso di liberare la cavalleria per radunarsi nei carri dei bagagli. Così era stato a Lodi, Marengo, Arcola, Jena, Austerlitz, Wagram e così via. Ma ora qualcosa di strano stava accadendo alle sue truppe.

Nonostante la notizia della cattura delle fleches, Napoleone vide che questa non era la stessa cosa, per niente la stessa cosa, di quanto era accaduto nelle sue precedenti battaglie. Vide che quello che stava provando lo sentivano tutti gli uomini intorno a lui esperti nell'arte della guerra. Tutti i loro volti sembravano abbattuti, e tutti evitavano gli occhi l'uno dell'altro solo un de Beausset poteva non cogliere il significato di ciò che stava accadendo.

Ma Napoleone, con la sua lunga esperienza di guerra, conosceva bene il significato di una battaglia non vinta dalla parte attaccante in otto ore, dopo che tutti gli sforzi erano stati spesi. Sapeva che era una battaglia persa e che il minimo incidente ora, con la battaglia in equilibrio su un centro così teso, avrebbe potuto distruggere lui e il suo esercito.

Quando ripercorse con la mente tutta questa strana campagna russa in cui non era stata vinta una battaglia e in cui non era stata catturata una bandiera, né un cannone, né un corpo d'armata in due mesi, quando guardò la depressione nascosta su i volti intorno a lui e le notizie sui russi che ancora reggevano la loro posizione, una terribile sensazione come se un incubo si fosse impossessato di lui, e tutti gli sfortunati incidenti che avrebbero potuto distruggerlo gli vennero in mente. I russi potrebbero attaccare la sua ala sinistra, potrebbero sfondare il suo centro, lui stesso potrebbe essere ucciso da una palla di cannone vagante. Tutto questo era possibile. Nelle precedenti battaglie aveva considerato solo le possibilità di successo, ma ora si presentavano innumerevoli sfortunate occasioni e le aspettava tutte. Sì, era come un sogno in cui un uomo immagina che un mascalzone venga ad attaccarlo,

La notizia che i russi stavano attaccando il fianco sinistro dell'esercito francese suscitò quell'orrore in Napoleone. Si sedette in silenzio su uno sgabello da campo sotto la collinetta, con la testa china e i gomiti sulle ginocchia.

sabato 19 marzo 2016

Carbone, guerre e belle donne: perché in Italia si parla italiano e non francese

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Virginia Oldoini, Contessa di Castiglione, 1837-1899. Ritratto di Michele Gordigiani. Il testo che segue è parte di una conferenza che ho fatto a Parigi il 12 febbraio, al Momentum Institute  (h/t Yves Cochet, Agnes Sinaï e Mathilde Szuba)

Di Ugo Bardi


Nello studio della storia, è di moda usare dati quantitativi il più possibile. Parliamo di fattori finanziari ed economici, della competizione per le risorse naturali, degli squilibri della popolazione, degli effetti del clima ed altro. Eppure, a volte la storia procede secondo il capriccio di un sovrano o dell'altro che fanno errori colossali, da Napoleone a Saddam Hussein. In quel caso, i fattori umani diventano predominanti e solo in alcuni casi possiamo avere uno scorcio di quello che potrebbe essere passato nella mente delle persone al vertice. Un caso del genere potrebbe essere stato quello della contessa Virginia Oldoini, femme fatale del XIX secolo, amante dell'Imperatore Francese Napoleaone III e, forse, l'origine dell'unificazione italiana del 1860. Bella donna, in effetti, e difficile da modellizzare usando la dinamica dei sistemi!

Torniamo all'inizio del XIX secolo. A quel tempo, la rivoluzione industriale era in pieno svolgimento, alimentata dalle miniere di carbone dell'Europa settentrionale, principalmente Inghilterra, Francia e Germania. Questa rivoluzione aveva creato uno squilibrio economico, rendendo i paesi settentrionali molto più ricchi e più potenti di quelli del sud. Non era solo una questione di avere o non avere il carbone. Era questione di trasportarlo. Il carbone è pesante ed ingombrante e, a quel tempo, il solo modo pratico per trasportarlo su lunghe distanze era via mare. Le navi potevano portare il carbone ovunque nel mondo ma, quando si trattava di portarlo nell'entroterra, servivano fiumi navigabili. Niente fiumi navigabili, niente carbone. Niente carbone, niente rivoluzione industriale. E' stata questa la ragione dello squilibrio: i paesi dell'Europa meridionale, proprio come quelli nordafricani, non potevano avere fiumi navigabili a causa della mancanza d'acqua. Per cui, non si sono potuti industrializzare e sono rimasti economicamente e militarmente deboli.

Ecco com'era la situazione nel 1848.


A questa data, le sole regioni mediterranee che avevano fiumi navigabili e si sono potute industrializzare sono state Francia e Nord Italia, Piemonte in particolare. Delle due, la Francia è stata di gran lunga la più potente e, già nel 1848, potete vedere in che modo la Francia ha occupato l'Algeria, strappandola via all'Impero ottomano. Il resto della regione nordafricana era matura per essere sottomessa e persino il Regno di Napoli, nell'Italia meridionale, era militarmente ed industrialmente debole, una preda facile per qualsiasi paese industrializzato. Cosa poteva quindi fermare i francesi dal trasformare l'intero mare Mediterraneo in un lago francese? Questa, apparentemente, era stata l'idea di Napoleone quando ha invaso l'Egitto, nel 1798. Non ha funzionato quella volta, ma era stata un'intuizione strategica che in seguito i governi francesi avrebbero potuto portare avanti.

Ora, mettetevi nei panni dei britannici. Nel grande gioco strategico del XIX secolo, avevano adocchiato l'Egitto, che avrebbero poi occupato nel 1882, ma avrebbero potuto fare poco o niente per impedire alla Francia di occupare l'intera costa nordafricana, fino all'Egitto e forse oltre ad esso. Niente di diretto, cioè, ma se avessero potuto creare un contrappeso strategico per bilanciare il potere francese? E cosa poteva essere quel contrappeso? L'Italia, naturalmente, se poteva essere unificata e trasformata in un unico paese, dalla pletora di staterelli che era a quel tempo.

Così, a metà del XIX secolo, i pezzi strategici del gioco mediterraneo erano tutti al loro posto, come in una enorme scacchiera. L'obbiettivo britannico era condiviso dal Piemonte: unificare l'Italia il più presto possibile e fermare l'ulteriore espansione della Francia. Dall'altro lato della scacchiera, l'obbiettivo della Francia era altrettanto chiaro: evitare ad ogni costo l'unificazione dell'Italia e prendersi quanto più Nord Africa possibile, il più presto possibile.

Chiaro, perfettamente chiaro. E facile per la Francia. Non dovevano fare quasi niente, solo tenere sotto controllo il Piemonte, cosa che potevano fare agevolmente. E' vero che il Piemonte era una piccola superpotenza industriale per i suoi tempi, ma non c'era partita per la più grande, molto più potente e vicina Francia. Ma il presidente francese ed imperatore di quel tempo, Luigi Napoleone, o “Napoleone III”, ha fatto esattamente l'opposto, anche impegnando l'esercito francese a sostegno dell'espansione del Piemonte nell'Italia del nord in una serie di battaglie sanguinose contro gli austriaci, nel 1859. Non che la Francia abbia aiutato il Piemonte per niente, naturalmente. In cambio, i francesi hanno ottenuto una fetta di terra sul lato occidentale delle Alpi, che prima faceva parte del Piemonte. E' stato un guadagno territoriale ma, in termini strategici, non era niente in confronto a quello che la Francia stava perdendo.

Un anno dopo aver sconfitto l'Austria con il sostegno della Francia, il Piemonte partiva per un'altra impresa strategica, questa volta con il sostegno dei britannici. Dal Piemonte, partiva un esercito condotto da Giuseppe Garibaldi ad invadere il Regno meridionale di Napoli. I napoletani hanno contrapposto una resistenza strenua ma, da soli, non potevano farcela e Napoleone III non ha mosso un dito per aiutarli. Col collasso del Regno Meridionale, la completa unificazione dell'Italia è diventata inevitabile, nonostante un ultimo disperato tentativo da parte di Napoleone III nel 1867, quando ha mandato truppe in Italia per impedire a Garibaldi di prendere Roma.

E quindi Italia fu. Ed è ancora. La cosa curiosa è che poteva non essere. Se Napoleone avesse fermato Garibaldi nel 1860 allo stesso modo in cui lo ha fatto nel 1867, probabilmente avremmo ancora un regno di Napoli e il paese che oggi chiamiamo “Italia” sarebbe più che altro un protettorato francese. E, molto probabilmente, il francese sarebbe la lingua dominante in gran parte del paese.

Invece, la Francia aveva perso un'occasione storica per diventare la potenza dominante nel Mediterraneo. In seguito, la Francia è riuscita comunque a ritagliarsi alcuni altri pezzi di Nord Africa, occupando la Tunisia nel 1881 e il Marocco nel 1904, ma tutti gli ulteriori avanzamenti nella regione mediterranea sono stati fermati quando, nel 1911, l'Italia  ha rivendicato ciò che gli italiani vedevano come la loro fetta legittima dell'Impero Ottomano in declino: la regione che oggi chiamiamo Libia.

Quindi, come mai Napoleone III ha fatto un errore strategico colossale del genere? In un certo senso, possiamo dire che è piuttosto normale: i sovrani degli stati spesso sono terribilmente incompetenti nel loro lavoro (pensate solo al nostro George W. Bush). Ma, per Napoleone III, potrebbe esserci stata una ragione che va oltre la semplice incompetenza.

I francesi hanno inventato la frase “Cherchez la femme” (cercate la donna) come spiegazione di molti eventi altrimenti inspiegabili. E, nella storia dell'unificazione dell'Italia, c'è coinvolta una donna: Virginia Oldoini, Contessa di Castiglione. Era la cugina del Conte di Cavour, primo ministro del Piemonte a quel tempo, ed era stata mandata a Parigi da lui, pare, con l'idea specifica di influenzare Napoleone III. Lei era una fedele patriota italiana e capiva molto bene quello che sarebbe stato il suo ruolo come amante del presidente francese ed imperatore. Doveva convincerlo a fare qualcosa che i francesi non avrebbero mai dovuto permettere: aiutare il Piemonte ad invadere e conquistare il resto della penisola italiana. Secondo quello che si può spesso leggere sui libri di storia, ha adempiuto al suo ruolo e, dai ritratti e dalle fotografie che abbiamo di lei, forse possiamo anche capire come.

Naturalmente, possiamo legittimamente pensare che questa storia sia solo una leggenda. Ma potrebbe essere che Virginia Oldoini abbia davvero convinto Luigi Napoleone a fare quello che ha fatto? In questo caso, la Contessa dovrebbe essere considerata una delle donne più influenti della storia moderna. Ma non saremo mai in grado di saperlo. Ora, lei si trova dall'altra parte dello specchio, forse guardandoci da lì e ridendo di noi.



Un racconto di fanta-storia di Ugo Bardi che descrive quello che sarebbe potuto succedere se Virginia Oldoini non fosse esistita

venerdì 17 luglio 2015

I tre gentiluomini dell’apocalisse.

di Jacopo Simonetta

Ogni volta che le cose volgono al peggio, i 4 cavalieri di cui parla S. Giovanni tornano a galoppare nei cieli.  O perlomeno nella fantasia delle persone.

Altri si dedicano invece ad investigare l’intrico di retroazioni e forzanti che stanno guidando l’umanità, facendo ricorso ai più moderni ritrovati della scienza e della tecnica.   Ma già un paio di secoli addietro tre distinti gentiluomini, fra una pinta di birra ed una passeggiata a cavallo, avevano capito alcune cose fondamentali.   O, perlomeno, avevano visto bene tre grossi scogli contro cui rischiava di andarsi a fracassare la barca del progresso umano, a tutti loro molto caro.

Il primo è quello più noto: Il reverendo Thomas Robert Malthus (1766-1834).   Oggi va molto di moda usare il termine “malthusiano” come insulto, sulla base della leggenda secondo cui il reverendo avrebbe sostenuto l’inutilità di aiutare i poveri.   Avrebbe quindi fornito un pretesto ai più ricchi per coltivare l’avidità e l’egoismo come fossero delle “virtù”.   Lungi da ciò, Malthus aveva fatto due osservazioni semplici e fondamentali:

- La popolazione umana cresce più rapidamente della disponibilità di risorse, quindi la disponibilità pro-capite delle medesime è destinata a diminuire.
- Generalmente, i poveri fanno più figli dei ricchi.

Con semplice logica, ne aveva dedotto che il modo principale per aiutare i poveri era quindi far loro capire che avere pochi figli era un prerequisito per migliorare le condizioni della famiglia.    L’aiuto agli indigenti era importante e doveroso, ma se non fosse stato saldamente correlato ad una diminuzione della natalità avrebbe semplicemente peggiorato la situazione, permettendo un sempre maggiore incremento della popolazione e, dunque, della povertà.   Si spinse anche a pronosticare che, se la crescita demografica dell’Inghilterra e degli altri paesi europei non fosse stata fermata, i “selvaggi delle Americhe” sarebbero stati sterminati dalla marea montante.   Una prospettiva di cui si doleva e che invitava i governi ad evitare.

Ovviamente, le cose non sono andate esattamente come aveva previsto.   Tanto per cominciare, le risorse non crescono in modo lineare (come da lui sostenuto) bensì diminuiscono in ragione del loro tasso di sfruttamento e solo in alcuni casi è possibile un parziale recupero.   Casomai, quella che aumenta è la disponibilità delle medesime e non necessariamente in modo lineare, ma l’aumento del flusso comporta quasi sempre un’erosione delle scorte.   Viceversa, aveva visto giusto sullo straripare della massa dei poveri d’Europa , con le conseguenze che sappiamo.   Per quasi un secolo le frontiere est ed ovest della civiltà industriale sono avanzate inesorabilmente, fino ad incontrarsi in Alaska.   Lo sterminio dei “selvaggi” è stato quindi anche maggiore di quello temuto da Malthus, eppure fra la fine del XIX e gli anni ’70 del XX secolo parve che la tetra previsione di un tasso di miseria irreversibilmente crescente fosse stata scongiurata.   Anzi, per quasi 100 anni l’aumento di produttività reso possibile dal petrolio fece sì che la disponibilità di risorse aumentasse molto più rapidamente della popolazione.   Di qui un aumento del benessere e non della miseria!   Che poi questo non sia stato equamente ripartito è un dato di fatto connesso sia con scelte politiche arbitrarie che con leggi termodinamiche ineluttabili, ma non inficia il fatto che l’umanità ha potuto deridere e disprezzare questo prete di campagna.

Ma negli anni ’60, dunque nel pieno della fase di crescita più spettacolare delle economie occidentali, in Asia scoppiarono una serie di carestie che sostanzialmente riproponevano gli stessi “meccanismi” descritti da Malthus per l’Europa, quasi un secolo prima.   Stavolta non c’erano più continenti “vergini” in cui far straripare la massa umana, ma la crisi fu ugualmente superata grazie alla cosiddetta “rivoluzione verde”.   Ad onta del suo nome, si trattò di industrializzare l’agricoltura su scala globale.   Meccanizzazione, concimi di sintesi, irrigazione, nuove varietà e mercato internazionale spazzarono via ecosistemi, colture e società tradizionali, ma eliminarono le carestie.   Dal punto di vista energetico, significò che il petrolio e, secondariamente, il gas maturale divennero gli alimenti principali dell’uomo, ma comunque Malthus era stato nuovamente e platealmente smentito dai fatti.

Eppure, proprio in questi anni, sta maturando un’altra crisi tipicamente maltusiana di scala globale.   I tassi di sovrappopolazione sono ovunque molto più alti di 50 anni fa e le rese agricole tendono al ribasso per una combinazione di fattori fra cui primeggiano l’erosione dei suoli, il cambiamento del clima, la diffusione di infestanti resistenti ai pesticidi, i costi di produzione, il declino quali/quantitativo delle risorse energetiche.   Abbiamo imparato a mangiare petrolio, ma il picco del greggio di buona qualità ed a buon mercato è alle nostre spalle; quello del gas probabilmente non molto lontano.   Esistono ancora immense riserve di energia fossile, ma sono di scarsa qualità e costose, mentre il loro uso provoca “effetti collaterali” sempre più gravi.

Riusciremo a superare anche questa crisi?    Forse.   A parte un numero ancora consistente di soggetti che fantasticano di un mondo di risorse infinite, o perlomeno infinitamente sostituibili, la grande maggioranza degli economisti, dei politici e dei tecnici sostiene che usciremo dalla trappola grazie ad una risorsa autenticamente rinnovabile: l’ingegno umano.   Il progresso tecnologico consentirà, infatti, di fare sempre di più con sempre di meno.    Esistono, certo, dei limiti teorici a ciò che può essere fatto, ma i margini per un aumento dell’efficienza complessiva dei processi di produzione, trasporto e riciclaggio sono ancora immensi.   Ed aumentare l’efficienza significa ridurre i consumi e l’inquinamento, pur continuando sull'aurea strada che ci ha condotti dalle caverne alle stelle.

E’ a questo punto che entra in scena il secondo dei nostri “gentlemen”: sir William Stanley Jevons (1835 – 1882).   Uno dei “padri” della scuola economica “neoclassica”.   Dunque non un nemico del progresso e nemmeno un ambientalista fanatico, bensì un naturalista prestato all’economia.   Del suo lavoro, quello che qui ci interessa soprattutto sono due punti fondamentali.   La teoria dell’utilità marginale e lo studio sugli effetti della tecnologia sulla dissipazione di energia.

Lo studio dei vantaggi marginali elabora un'intuizione di David Ricardo (grande amico personale di Malthus) ed è stato la pietra fondante della micro-economia moderna.   In buona parte, gli si deve il molto maggior successo delle economie capitaliste rispetto a quelle socialiste (finora).    Ma è anche alla base di quella legge dei “ritorni decrescenti”   che sta smantellando pezzo per pezzo la macroeconomia del capitalismo globale.

Lo studio dei consumi energetici, portò invece lo studioso britannico ad osservare che, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, l’aumento dell’efficienza energetica aumenta i consumi di energia anziché ridurli: il cosiddetto “paradosso di Jevons”.   Un argomento su cui da allora si confrontano e si scontrano gli economisti, ma pare proprio che il sogno di un progresso alimentato da un aumento indefinito dell’efficienza sia destinato a fallire.   A meno che la politica non abbia la capacità e la volontà di imporre dei limiti al prelievo di risorse.

Ed è su questo punto che entra in scena il terzo gentiluomo: Alexis-Henri-Charles Clérel, vicomte de Tocqueville (1805-1859).   Politico e politologo di fama, era un liberale convinto e compì un lungo viaggio negli Stati Uniti per studiare quello che allora era il principale stato repubblicano del mondo.   Ne tornò affascinato, ma anche preoccupato per i pericoli che insidiavano lo sviluppo della democrazia.   In particolare, approfondì il delicato equilibrio che è necessario mantenere fra libertà individuale, uguaglianza e potere pubblico, individuando due possibili sviluppi perversi della democrazia.

Il primo è quello che definì la “dittatura della maggioranza”.   In pratica, se una netta maggioranza di cittadini propende per un’idea, può essere in grado di imporla a tutti, poco importa se ciò sia giusto o meno.   In altre parole, la maggioranza può annichilire la libertà individuale, fondamento della democrazia stessa.   La comunità può quindi trovarsi schiacciata verso una sorta di “minimo comune multiplo” da cui sarebbe quasi impossibile riscattarsi.

Il secondo è un tipo di dispotismo che, utilizzando l’arma potentissima del benessere, può mantenere i cittadini in uno stato di perenne infantilismo, così da mantenere il proprio potere, senza che neppure maturi un sentimento di rivolta.

Chi studia le società occidentali odierne trova in Tocqueville ampio materiale di riflessione, ma quello che qui ci preme è il rapporto che tutto ciò ha con la crescita economica e demografica di cui parlavano i primi due studiosi.   Se è vero che l’unico modo per evitare la catastrofe è che siano posti dei limiti consistenti alla natalità ed alla disponibilità di energia, non saranno né una maggioranza massificata, né un regime dispotico – populista ad imporli.

E dunque?   L’evoluzione politica dei prossimi decenni sarà convulsa in tutti i paesi ed una tendenza a governi più autoritari sembra diffondersi, ma non credo che ciò sia prodromo di buone notizie da alcun punto di vista, men che meno da quello ambientale.

A suo tempo, come antidoto sia alla dittatura della maggioranza, sia al dispotismo, Tocqueville raccomandava ogni forma possibile di democrazia diretta, tradizionale e non, come assemblee cittadine, associazioni di ogni sorta, eccetera.    Non possiamo sapere se avrebbe funzionato, perché abbiamo fatto piuttosto il contrario, ma siamo ancora in tempo per provare?    In giro per il mondo qualcuno ci sta lavorando con risultati altalenanti.   Vedremo.




mercoledì 3 giugno 2015

La geopolitica dei gasdotti

Guest post di Tatiana Yugay

Tatiana Yugay insegna economia mondiale, relazioni economiche internazionali, e teoria economica presso l'Università Statale di Mosca, Russia. Si può anche essere interessati a visitare il suo blog "Santatatiana" dove descrive i suoi viaggi per l'Italia Medievale.


Nota: la prof. Yugay terrà un seminario sulla geopolitica dei gasdotti a Firenze Venerdì 5 Giugno al polo di Novoli delle scienze sociali, edificio D6, aula 102, ore 11. Ingresso libero per tutti gli interessati. (La prof. Yugay parlerà in Italiano)


 
Diamo un'occhiata alla mappa dell'Europa e la Russia. Si vedrà che, da un lato, molti paesi europei sono quasi totalmente privi di idrocarburi, e dall'altra — la parte orientale della Russia ha enormi riserve di petrolio e gas.


Picture credit http://www.grida.no

Infatti, il tallone d'Achille dell'UE è la sua dipendenza energetica: oltre la metà del suo fabbisogno è coperto dalle importazioni di idrocarburi. Mentre il ricorso al gas soddisferà fino al 25% del consumo energetico dell'Unione sino al 2050, il costo delle importazioni di combustibili fossili dovrebbe salire a circa 500 miliardi di euro già nel 2030.

La Russia sarà ancora il più grande esportatore al mondo di energia fino al 2035, ha detto BP nella sua relazione annuale Energy Outlook. La produzione di gas naturale in Russia è impostata per essere la seconda più grande al mondo, dopo gli Stati Uniti, arrivando a 75 miliardi di piedi cubi al giorno nel 2035.

Secondo la teoria classica dei vantaggi assoluti di Adam Smith, i paesi esportano i prodotti che producono a costi inferiori (nella produzione di cui hanno un vantaggio assoluto), ed importano quei beni che vengono prodotti in altri paesi a costi inferiori (un vantaggio per la produzione appartiene ai loro partner commerciali). Questa semplice regola è la pietra angolare di tutto il sistema del commercio internazionale. Sembrerebbe che non ci dovrebbe essere posto per la geopolitica; solo gli interessi economici puri.

Tuttavia, il gas non è solo una merce. Ha una serie di caratteristiche speciali che lo rendono una merce politicizzata. Prima di tutto, si tratta di una risorsa rara, anche se questo concetto è molto relativo. In alcune regioni è abbondante, in altri, al contrario, esso è mancante. Inoltre, il progresso della scienza e della tecnologia porta alla scoperta di nuovi campi e nuovi modi per estrarre il gas. Questi esempi sono la produzione di gas nel Mare del Nord e l'estrazione di gas di scisti negli Stati Uniti. Al momento, stiamo assistendo alla situazione opposta, quando non sono rare le risorse minerarie, ma la necessità per loro. Nuovi produttori di gas entrano in forte concorrenza con i fornitori tradizionali. Nel contesto della crisi economica la domanda di gas è ridotta. Per sostenere i loro produttori i governi stanno iniziando a utilizzare gli strumenti politici.

Il gas naturale, tuttavia, è diverso da altre fonti energetiche. Sopratutto è una fonte di energia più pulita degli altri combustibili fossili. Essendo un gas, è un bene che non viaggia molto facilmente ed è costoso da trasportare. Le proprietà fisiche del gas richiedono i metodi speciali della trasportazione. A livello moderno della scienza e della tecnologia, ci sono due modi di trasporto: 1) il gas naturale è fornito dal sistema di condotte e 2) il gas naturale e convenzionale liquefatto (LNG, liquefied natural gas) è trasportato da navi speciali. Il trasporto del LNG richiede la costruzione di impianti speciali di liquefazione e rigassificazione presso i punti di partenza e di destinazione, e una flotta di navi speciali.

La Russia tradizionalmente utilizza per le forniture di gas il sistema di condotte in Europa. L’esportazione di gas russo verso i mercati europei è cominciata alla fine degli anni ’60. Nel 1967 era entrato in funzione il gasdotto «Bratstvo» (Fratellanza), che attraverso l’Ucraina e la Slovacchia trasporta il gas fino in Germania, Austria e Italia. Il «Bratstvo» può trasportare oltre 100 miliardi di metri cubi di gas all’anno e resta tuttora il principale gasdotto per l’esportazione di gas russo verso l’Europa centro-occidentale.

Picture credit http://www.gazprom.com/

Oggi la rete dei gasdotti della compagnia statale russa Gazprom è la più vasta al mondo. Si estende per 160.400 chilometri (quattro volte la circonferenza equatoriale della Terra), dall’isola di Sakhalin nell’Estremo oriente fino alle porte della Germania, ed è in continua espansione. Per pompare il gas lungo la fitta rete di gasdotti, Gazprom mantiene in funzione 215 stazioni di compressione, con una capacità totale di circa 42.000 Megawatt.

A prima vista, per la costruzione di un sistema delle tale complessita e  lunghezza, i principali compiti sono di ingegneria e logistica. Da un punto di vista economico, è necessario calcolare come fornire il più alto volume di gas ai consumatori europei in modo costo-efficace. Purtroppo, la saggezza economica non funziona nel settore del gas. Cinque anni fa Ben Aris ha scritto, “I gasdotti e gli oleodotti sono veri e propri strumenti politici quando sono in fase di pianificazione ma, una volta costruiti, sono l’equivalente geopolitico di un matrimonio”. Lui sperava che la costruzione dei gasdotti rivali potesse rompere “il monopolio russo».

Poiché le condotte collegano i fornitori e i consumatori di gas nel lungo termine, è qui che entrano in gioco gli interessi geopolitici. Per prima cosa, i paesi consumatori sono naturalmente  preoccupati dell'eccessivo affidamento a un monopolio nella fornitura di gas. Pertanto, essi cercano di diversificare le forniture di gas, che è, se si continua l'analogia di Aris, un modo per spostarsi dalla monogamia alla poligamia. Da parte sua, il fornitore di gas impegna enormi capitali per la costruzione del gasdotto e deve essere sicuro che l'elevata domanda di gas rimarrà per lungo tempo per recuperare i suoi costi.

In secondo luogo, un ruolo crescente è svolto dagli stati di transito del gas. Fornendo il loro territorio per la costruzione di infrastrutture per il gas, tali paesi vogliono trarre il massimo vantaggio dalla loro posizione privilegiata, per ottenere un prezzo speciale sul gas e tasse sul transito. Solitamente la contrattazione inizia nella fase di decisione sulla costruzione e spesso continua durante la fase di esercizio della condotta. E a volte vediamo un vero e proprio ricatto da parte del paese di transito e anche l'uso illegale di gas sottratto dal gasdotto.

In terzo luogo, gli interessi dei fornitori e consumatori sono identici solo quando si ha la fornitura di un flusso di gas ininterrotto verso la destinazione. Questo dipende in larga misura dalla situazione politica ed economica nei paesi di transito. Infine, i contratti per la costruzione dei gasdotti internazionali sono spesso sotto pressione politica da parte di paesi che non sono formalmente coinvolti nei progetti, ma hanno gli interessi geopolitici ed economici nella regione. A questo punto la geopolitica dei gasdotti viene fuori alla grande.

Fin dai primi anni '80, i gasdotti dell'URSS erano diventati l'oggetto di una pressione politica senza precedenti da parte degli Stati Uniti. Per esempio, il secondo gasdotto sovietico Urengoy - Pomary - Uzhgorod è stato costruito dall'Unione Sovietica nel 1983 per la fornitura di gas naturale dai giacimenti nel nord della Siberia occidentale ai consumatori in Europa centrale e occidentale. La capacità effettiva è 28 miliardi di metri cubi all'anno. La lunghezza totale del gasdotto è  4451 km. La lunghezza sul territorio dell'Ucraina è di 1160 km. La sua costruzione aveva coinciso con l'avvento al potere di un fanatico anti-comunista Reagan nel 1981. Il nuovo presidente iniziò una crociata economica contro l'Unione Sovietica. In condizioni di estrema segretezza era stato sviluppato un piano integrale per minare il potere economico e militare dell'Unione Sovietica. Alla fine degli anni '90, Roger W. Robinson, Jr. , ex direttore senior per gli affari economici internazionali del Consiglio di sicurezza nazionale (1982-1985), ha aperto il velo di segretezza.

Secondo Robinson, l'azione era iniziata con la formazione del "gruppo interdipartimentale di alto livello per la politica economica internazionale" (Senior Interagency Group on International Economic Policy, SIG IEP). Prima di tutto, il gruppo aveva esaminato le fonti di afflussi in valuta estera dell'URSS. Era stato scoperto che l'Unione Sovietica aveva ricevuto circa l'80% del fatturato estero da quattro fonti: il petrolio, il gas, le armi e l'oro, con gli idrocarburi che avevano generato circa il 66% di questo importo.  Sulla base di questo rapporto, Reagan era deciso a colpire le forniture di petrolio e di gas verso l'Europa. Gli analisti americani contavano sul fatto che che le minori entrate in valuta estera avrebbero limitato la politica interna ed estera dell'Unione Sovietica. Gli Stati Uniti si erano opposti alla costruzione del gasdotto dalla Siberia verso l'Europa occidentale e in collusione con l'Arabia Saudita avevano abbassato i prezzi del petrolio sei volte, fino a 9-10 dollari al barile, verso la fine degli anni 1980. La produzione saudita era passata da ~ 2MBD (milioni di barili / giorno) a 6 mbd in un arco d'un anno del 1985.

Il piano di Reagan includeva l'attuazione della cosiddetta "triade strategica commerciale." In particolare, questo  significava limitare fortemente l'accesso di Mosca a: 1) mercati del gas naturale in Europa occidentale; 2) accordi di prestito ufficialmente agevolati; e 3) tecnologie sofisticate statunitensi e occidentali per uso militare.

Gli Stati Uniti non potevano vietare esplicitamente la costruzione di un gasdotto che doveva passare esclusivamente sul territorio dell'URSS. Essi hanno fatto ricorso a metodi indiretti, mettendo un embargo sulle attrezzature chiave e la tecnologia degli Stati Uniti per petrolio e gas che non erano disponibile altrove e effetuando una forte pressione sui paesi europei. Infatti, l'amministrazione di Reagan aveva imposto sanzioni alle imprese europee che volevano fornire attrezzature e tecnologie, che erano prodotte da licenze statunitensi. Questo significava l'applicazione delle leggi degli Stati Uniti verso l'Europa sul principio di extraterritorialità. Questo principio era stato utilizzato per la prima volta durante il conflitto sul gasdotto siberiano.

Gli Stati Uniti avevano stabilito il controllo dell'importazione per tutte le imprese dell'Europa occidentale, il che significava una rapida crescita delle sanzioni economiche. Questo controllo di importazione, quando identificato per un'azienda. le chiudeva completamente i mercati degli Stati Uniti, compresi i mercati finanziari.

Nonostante questo, cinque aziende provenienti da Germania, Francia, Italia e Regno Unito avevano continuato a rifornire l'Unione Sovietica. Il risultato delle sanzioni adottate dagli Stati Uniti era stato il fallimento delle tre società. Di conseguenza, l'Europa era stata costretta a obbedire ai dettami degli Stati Uniti.

In  aggiunta, nel maggio del 1983, prima dell'incontro al vertice economico a Williamsburg, l'Agenzia Internazionale per l'Energia ha firmato un accordo sulla questione del gas. Il documento dichiarava l'intenzione dell'Europa di evitare la dipendenza da un unico fornitore, con un chiaro riferimento all'Unione Sovietica. Il documento annunciava anche la necessita del'accelerazione dello sviluppo del giacimento Troll in Norvegia. In tal modo, gli Stati Uniti  avevano chiesto all'Europa di pagere un "premio per la sicurezza", nel senso di prezzo del gas norvegese aumentato e degli investimenti per velocizzare la costruzione degli impianti per LNG.

Come risultato, gli Stati Uniti erano riusciti a rimandare la messa in servizio della prima linea del gasdotto trans-siberiano  per due anni e mezzo, e cancellare la seconda linea del gasdotto. Il costo per Mosca della perdita della seconda parte del gasdotto siberiano sarebbe stato di circa $ 10-15 miliardi di dollari all'anno, senza contare i costi di un ritardo di due anni per portare la prima parte on-line.

La strategia dell'amministrazione Reagan, progettata per 5 - 10 anni, era iniziata nel 1982. E il 23 dicembre del 1991, due giorni prima dal'annuncio della dissoluzione dell'Unione Sovietica, Gorbaciov ha annunciato un default su 96 miliardi di dollari di debiti in valuta estera.

Questo vecchio episodio della guerra fredda può servire come un libro scolastico per capire l'attuale fase di confronto tra la Russia e l'Occidente. Veronica Krasheninnikova, direttrice del Centro per gli studi internazionali e giornalismo MIA "Russia Today", dice: “Trenta anni dopo l'inizio dello sviluppo della strategia di Reagan per soffocare l'Unione Sovietica, nel 2012, Barack Obama sembra aver messo a punto un piano simile - questa volta contro la Russia”.
(continua)

martedì 22 luglio 2014

L'ipotesi non provata dei 6 milioni di barili al giorno di petrolio iracheno per il 2020

Da “Crude Oil Peak”. Traduzione di MR

Dato il tumulto etnico in Iraq provocato dalla recente presa da parte di ISIS di alcune città a nord e a ovest dell'Iraq, non è certo in che modo questo avrà un impatto sulla produzione di petrolio nel sud controllato dalla Shia, da dove provengono la maggior parte delle esportazioni irachene. Al momento, le esportazioni di petrolio dai nuovi terminali petroliferi di Basrah non sembrano essere state condizionate dai disordini, ma questo può cambiare. Non sappiamo cosa succederà, specialmente se questo conflitto si allarga la guerra virtuale fra Arabia Saudita e Iran che è stata finora limitata alla Siria (dove la produzione di petrolio aveva già raggiunto il picco). Sarebbe prudente per i governi che stanno ancora pianificando nuove strutture dipendenti dal petrolio come strade ed aeroporti accantonare questi progetti e prepararsi piuttosto alle carenze di petrolio.

Quasi un anno fa ho scritto questo articolo: 9/8/2013 Le esportazioni di petrolio greggio dell'Iraq bloccate in mezzo agli attacchi agli oleodotti

http://crudeoilpeak.info/iraq-crude-oil-exports-stall-amid-pipeline-attacks

Questo post è un aggiornamento.


12/6/2014 I residenti di Mosul scappano dall'ISIS e cercano di attraversare il fiume Tigri verso est

Una mappa del Centro per l'Informazione sulla Politica Energetica (Washington) descrive la situazione strategica del petrolio:

L'Iraq potrebbe “rispedire chi fa le previsioni economiche al tavolo da disegno”
13/6/2014


Fig 1: Mappa che mostra i recenti avanzamenti dell'ISIS e le infrastrutture petrolifere

http://energypolicyinfo.com/2014/06/iraq-disruption-could-%E2%80%9Csend-economic-forecasters-back-to-the-drawing-board%E2%80%9D/ 

La pianificazione energetica torna al punto di partenza

E' importante capire che la IEA ipotizza in tutte le sue proiezioni che l'OPEC coprirà sempre il divario fra la produzione non OPEC e la crescita della domanda di petrolio prevista come risultato della crescita del PIL (rivolgersi all'OPEC). E l'Iraq gioca un ruolo centrale in questo concetto, come mostrato in questo grafico usando i dati dello scenario delle nuove politiche della IEA del suo ultimo WEO (novembre 2013):


Fig 2: Contributo ipotizzato dell'Iraq alla produzione di petrolio del Medio Oriente dell'OPEC

In particolare, nel periodo fino al 2020, si presume che l'Iraq contribuisca con 5,8 milioni di barili al giorno (mb/g) alla produzione globale di petrolio. Notate che nello scenario delle nuove politiche la domanda di petrolio (e – su definizione della IEA – le forniture) in quel periodo si presume che crescano ad un tasso molto modesto del 1,1% (in confronto al  1,4% dell'attuale scenario). La IEA ha anche lavorato sui propri calcoli secondo i quali la produzione del petrolio di scisto statunitense crescerà fino a 4,3 mb/g per il 2025 (p 476)

http://www.worldenergyoutlook.org/publications/weo-2013/ 

Un anno prima il WEO del 2012 della IEA (Capitolo 13 “L'Iraq oggi: energia ed economia”) aveva quest'idea della produzione e del consumo futuri dell'Iraq:


Fig 3: scenario centrale del WEO del 2012 della IEA per l'Iraq

http://www.iea.org/publications/freepublications/publication/WEO2012_free.pdf

Lo scenario centrale è lo scenario delle nuove politiche. L'ipotesi era di 6,1 mb/g per il 2020, non molto diverso dal WEO del 2013.

Produzione di petrolio greggio dell'Iraq




Fig 4: Produzione di petrolio greggio e Liquidi del Gas Naturale (LGS) fino a dicembre 2013

Quando ho scritto questo post, i dati mensili più recenti della IEA arrivavano solo al dicembre 2013. Possiamo vedere che la produzione nel 2012 ha cominciato a superare il massimo precedente ottenuto nel 2000. I LGN sono trascurabili. Dati più recenti suggeriscono che la produzione media nei primi 4-5 mesi del 2014 è stata di 3,1 mb/g (tavola 5.5 “comunicazione diretta” nel rapporto mensile del mercato del petrolio dell'OPEC) e di 3,3 mb/g (tavola 3 del rapporto mensile del mercato del petrolio della IEA).

Esportazioni di petrolio da Nord


Le esportazioni di petrolio dal Nord sono già terminate a causa dei continui attacchi agli oleodotti verso la Turchia all'inizio dell'anno.


Fig 5: Esportazioni di greggio dell'Iraq dai giacimenti del Nord e del Sud.

I dati provengono da qui: http://somooil.gov.iq/en/ 

Operatività delle raffinerie nel Nord

L'azienda delle raffinerie del Nord http://www.nrc.oil.gov.iq/ comprende:
(1) Il complesso della raffineria di Baiji (310.000 b/d)

  • Raffineria di Salahuddin 1 70.000 b/d
  • Raffineria del Nord 150.000 b/d + 20.000 b/d
  • Raffineria Salahuddin 2 70.000 b/d
  • Unità di polimerizzazione 20.000 b/d (da luglio 2011)
  • 2 treni di lubrificazione dell'impianto  125 kt pa

(2) Raffineria di Kirkuk 30.000 b/d
(3) Raffineria di Siynia 30.000 b/d
(4) Raffineria di Kisik 20.000 b/d
(5) Raffineria di Qaiyarah 34.000 b/d
(6) Raffineria di Hadithah 16.000 b/d
(7) Raffineria di Aljazirah 20.000 b/d

Il complesso della raffineria di Baiji è stato attaccato dall'ISIS ma sembra che sia tornato sotto il controllo del governo. I soldati Peshmerga curdi hanno occupato la postazione abbandonata dell'esercito a Kirkuk con la sua raffineria. La situazione potrebbe rapidamente cambiare. Baiji è già stata attaccata nel febbraio 2011. Le raffinerie devono essere mantenute in funzione altrimenti tutte le parti finiranno benzina a gasolio per spostarsi. L'Istituto per lo Studio della Guerra (Washington) segue tutti gli eventi da vicino

http://www.understandingwar.org/ e http://iswiraq.blogspot.com.au/

Notate che il giacimento di Kirkuk ha superato il proprio picco del petrolio:
21/1/2013

“I problemi coi curdi sono ulteriormente aumentati quando Baghdad ha annunciato un nuovo piano per avere il doppio della produzione dei giacimenti petroliferi di Kirkuk che si trovano nella zona contesa. La produzione dal giacimento di Kirkuk, che è stato scoperto nel 1927, è diminuita a 260.000 b/g da un massimo di 900.000 b/g di 15 anni fa ed ha fortemente bisogni di ricupero”.

http://peak-oil.org/2013/01/peak-oil-review-january-21-2013/

Gestione degli investimenti petroliferi di Baghdad

Secondo il WEO della IEA del 2012 (Capitolo 13 “L'Iraq oggi: energia ed economia”) l'industria del petrolio e del gas irachena ha bisogno di 20 miliardi di dollari americani all'anno fra il 2015 e il 2020 per aumentare la produzione di petrolio dell'Iraq fino a 6,1 mb/g per il 2020 e costruire raffinerie per soddisfare la domanda locale. Il governo locale di Baghdad sarà in grado di gestire un tale programma di investimento se è occupato a combattere l'ISIS mentre è sotto pressione dell'agitazione dei sunniti? Chi investirà in Iraq in circostanze del genere?



Fig 6: Investimenti richiesti per l'industria del petrolio e del gas irachena

http://www.iea.org/publications/freepublications/publication/WEO2012_free.pdf

Nella recente Panoramica sull'Investimento Mondiale in Energia della IEA

http://www.iea.org/publications/freepublications/publication/name,86205,en.html 

gli investimenti totali richiesti nel Medio Oriente per sviluppare e produrre petrolio fino al 2035 è di 2 trilioni di dollari (tavola 1,3). Usando i numeri del grafico sopra, quasi il 20% di questo investimento dovrebbe avvenire in Iraq.

Coinvolgimento dell'Iran 



Fig 7: Petrolio sotto-prodotto dell'Iraq

Dobbiamo confrontare la storia della produzione di petrolio dell'Iraq con quella dell'Iran. La produzione di petrolio dell'Iran ha raggiunto il picco a metà degli anni 70 (produzione eccessiva sotto lo Shah), cosa che ha innescato la seconda crisi petrolifera nel 1979. L'Iran ora si trova al suo secondo ed ultimo picco petrolifero, acuito dalle sanzioni. La produzione totale cumulativa fra il 1965 e il 2012 è stata di 63 Gb. Al contrario, la produzione petrolifera dell'Iraq durante lo stesso periodo è stata molto minore, 32 Gb. E' diminuita durante la guerra Iran/Iraq negli anni 80 e poi durante il programma 'petrolio in cambio di cibo' negli anni 90. Entrambi i paesi dichiarano di avere approssimativamente lo stesso volume di riserve. Il geologo petrolifero irlandese Colin Campbell ha avvertito che quelle riserve ufficiali sono in realtà quelle originali, non quelle che rimangono. Ciò significa che la produzione cumulativa doveva essere sottratta dalle riserve ufficiali. Dovrebbe pertanto essere chiaro che l'esaurimento del petrolio iracheno è molto minore di quello iraniano. La sotto-produzione di petrolio dell'Iraq è la ragione delle forti aspettative sulla futura produzione petrolifera dell'Iraq.

Esportazioni petrolifere dal Sud

Per ora, non sembra che l'avanzata dell'ISIS nel Nord dell'Iraq abbia avuto un impatto sulla produzione e sull'esportazione di petrolio nel Sud. Ma questo potrebbe cambiare.


Fig 8: Giacimenti petroliferi e terminal di esportazione nel Sud dell'Iraq

Per usare le parole di Dick Cheney del suo discorso “il petrolio non è uno svago” del 1999: Ecco dove si trova alla fine il premio.

http://www.resilience.org/stories/2004-06-08/full-text-dick-cheneys-speech-institute-petroleum-autumn-lunch-1999

Ignorati i primi avvisi

Nell'agosto 2007 su un programma televisivo a tarda sera sulla ABC:

Un giornalista britannico discute l'intervista con Bin Laden

TONY JONES: … lei scrive di una strategia progettata, di fatto, dallo stratega militare di Al Qaeda, lo stesso uomo che ha aiutato a progettare ciò che sta succedendo in Iraq con l'insorgenza lì a l'infiltrazione della gente di Al Qaeda in Iraq, ha messo in piedi un piano che lei ha pubblicato e che arriva fino al 2020. A che punto siamo del piano? Dove si propone di arrivare quel piano?

ABDUL BARI ATWAN: Stiamo affrontanto un problema enorme in Medio Oriente. …penso che nel 2020 vedremo un Medio Oriente del tutto diverso...

http://www.abc.net.au/lateline/content/2007/s2013661.htm

Apparentemente, ci sono nuovi attori in questo piano. La confusione viene descritta meglio da Robin Fisk, un giornalista che ha vinto molti premi sul Medio Oriente che vive a Beirut:
12/6/2014 “La storia dell'Iraq e la storia della Siria sono uguali – politicamente, militarmente e giornalisticamente: due capi, uno sciita, l'altro alawita, che combattono per l'esistenza dei loro regimi contro il potere di un crescente esercito musulmano sunnita internazionale”.

http://www.independent.co.uk/voices/iraq-crisis-sunni-caliphate-has-been-bankrolled-by-saudi-arabia-9533396.html

4 anni dopo, in un documentario televisivo sulla crisi petrolifera, il capo economista della IEA Fatih Birol ha veertito che dovremmo lasciare il petrolio prima che lui lasci noi:
28/4/2011 Avviso di crisi petrolifera della IEA: i governi dovrebbero averci lavorato 10 anni fa

http://crudeoilpeak.info/iea-oil-crunch-warning-governments-should-have-worked-on-it-10-years-ago

La panoramica di quest'anno sull'Iraq della IEA (maggio 2014)

La produzione irachena è aumentata di 140.000 b/g fino a 3,34 mb/g in aprile a seguito della partenza di nuova produzione nelle regione meridionale del paese e nonostante la sospensione continua di flussi degli oleodotti dai giacimenti del nord al porto mediterraneo di Ceyhan, in Turchia. Le esportazioni di greggio sono aumentate di 110.000 b/g, con spedizioni del greggio di Basrah dai terminali di esportazione del Golfo che hanno coperto tutte le esportazioni lo scorso mese. Ciò ha segnato un record massimo per il gigantesco giacimento di West Qurna‐2 nel sud dell'Iraq, partito a fine marzo con una produzione iniziale che si attesta sui 120.000 b/g. Tuttavia, le esportazioni del sud dell'Iraq potrebbero rimanere limitate a 2,5-2,6 mb/g per il resto dell'anno a causa di vincoli tecnici.

http://omrpublic.iea.org/omrarchive/15may2014fullpub.pdf

Conclusione

Nel decimo anno del picco della produzione di petrolio, i disordini in Medio oriente si allargano. Anche prima che si possa vedere il picco del petrolio (annuale) nello specchietto retrovisore delle statistiche petrolifere, la lotta per le riserve di petrolio rimaste e sui flussi petroliferi si sta intensificando. Ora, si sta finalmente intravedendo nei governi l'ipotesi di lasciare il petrolio prima che il Medio oriente lasci noi?