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venerdì 10 marzo 2023

Compostaggio domestico: un passo verso l'economia circolare



La mitica compostiera elettrica di Ugo Bardi. 



Questo articolo è riprodotto dal blog della ditta SAEC

Di Ugo Bardi

Non c’è cosa più infamata e disprezzata al mondo della parte organica dei rifiuti domestici. La parte che puzza del sacchetto, quella che tende a formare liquidi immondi, quella che attira insetti, topi, batteri, e altre creature orribili. Insomma, il peggio del peggio, l’essenza del concetto di “rifiuto” che viene da una parola latina che vuol dire “buttar via.”

Eppure, il rifiuto organico è la parte più utile del rifiuto domestico. È quella parte che può essere trasformata completamente in un prodotto utile senza bisogno di trattamenti complicati e costosi. Confrontate, per esempio, con la plastica: riciclare la plastica è un incubo. Richiede tecnologie complicate e il risultato non è mai così buono come la plastica originale (si chiama “downcycling” – “riciclaggio verso il basso”).

Invece, dal riciclo della frazione organica si ottiene “compost” che è un ottimo fertilizzante e substrato per la coltivazione. Se il compost è fatto bene, non esiste il problema del “downcycling.” Se lo fate partendo, per esempio, dagli scarti dei pomodori, lo potete utilizzare per coltivare pomodori altrettanto buoni di quelli originali. Ci potete anche fare un “ammendante,” ovvero un materiale che migliora le caratteristiche fisiche del suolo, e anche un substrato per coltivare funghi commestibili.

Purtroppo, il compost ha una cattiva fama, più che altro sulla base dei vecchi metodi dei contadini e i loro cumuli di letame. In effetti, non era roba profumata. Ma il compost, di per sé non puzza. Anzi, è un prodotto naturale, e madre natura non ama lo spreco, che è invece una caratteristica delle cose puzzolenti. Fatevi due passi in un bosco. Specialmente se è appena piovuto, sentite un odore che è difficile da descrivere in parole, ma che tutti conosciamo. È un odore piacevole, che alcuni trovano addirittura inebriante. Ed è l’odore dell’attività dei batteri e dei funghi impegnati a compostare foglie e tutto quello che c’è di organico al suolo.



Ma noi umani non siamo altrettanto bravi dei batteri a compostare la materia organica, specialmente quelli di noi che vivono in città. Se qualcuno abbandona un sacchetto della spazzatura per terra in una strada, in breve tempo si genera un odore nauseabondo. Vi ricordate la crisi dei rifiuti di Napoli dei primi anni del 2000? Ecco, era successo proprio quello, ma su larga scala. Il risultato era che i batteri “buoni” non avevano la possibilità di fare il loro mestiere ed erano rimpiazzati da batteri meno buoni che, nel decomporre la materia organica tiravano fuori molecole odorose di vario tipo, fra le quali per esempio la “putresceina” che capite bene dal nome che non è una cosa piacevole da annusare.

D’altra parte, è anche vero che noi umani possiamo imparare. E stiamo imparando come gestirci meglio la parte organica dei nostri rifiuti domestici. È una storia che comincia molto tempo fa, quando i rifiuti non venivano considerati un problema e, anche in città, molte famiglie avevano piccoli orti e appezzamenti di terra. Non c’era plastica fra i rifiuti domestici: era tutto materiale organico che si poteva smaltire semplicemente sparpagliandolo in giardino, oppure facendo dei piccoli cumuli di compost. Ma, con gli anni, tutto è cambiato. Gli spazi per orti e giardini sono diminuiti e, soprattutto, la composizione dei rifiuti è cambiata. I rifiuti oggi contengono sostanze che non si potrebbero sparpagliare in giardino sperando che spariscano da sole, per esempio la plastica.

Circa un secolo fa, le grandi città hanno cominciato a mettere in opera dei sistemi municipali di raccolta dei rifiuti. All’inizio, i cittadini buttavano tutto nei bidoni della spazzatura, il tutto veniva caricato su dei camion puzzolenti e poi scaricato alla rinfusa dentro delle discariche a cielo aperto. Il risultato era un disastro di robaccia inquinante, maleodorante, e che poteva inquinare le falde freatiche con i liquami che la decomposizione produceva.

Col tempo, si è cominciato a fare di più e di meglio. Oggi, la raccolta differenziata ha enormemente migliorato le cose. Si cerca di separare la frazione organica dei rifiuti domestici per compostarla in impianti centralizzati, oppure trasformarla in energia in forma di biogas. Indubbiamente una cosa buona, ma rimane molto da migliorare. La frazione organica dei rifiuti domestici è oggi intorno al 40% del totale. Di questi, solo circa la metà viene compostata. Altre frazioni vanno all’incenerimento o alla produzione di biogas, ma rimane una frazione importante che finisce nell’indifferenziato a renderlo puzzolente.

Insomma, si può e si deve migliorare. Soprattutto, uno dei problemi principali del compostaggio centralizzato è la piaga del “conferimento improprio”. Molta gente non ha idea di come funzioni il compostaggio, non capisce la differenza fra organico o inorganico, e butta di tutto nei cassonetti dell’organico. Quando questo materiale arriva all’impianto, ci si trova di tutto. Alcuni rifiuti impropri possono essere filtrati, per esempio se c’è dentro un paio di scarpe. Ma la plastica, il metallo, e altre cose, finiscono spezzettati negli impianti di trattamento e, fatalmente, riemergono nel compost nella forma di pezzettini di materiale che non è compost. Nella peggiore delle ipotesi, il compost non può essere utilizzato come tale e va a finire in discarica come compost non a specifica.

Come possiamo migliorare? L’idea è di partire dall’inizio della catena di trasformazione. Se si parte da un materiale migliore – ovvero ben selezionato – allora tutto il processo è più semplice è il risultato è di buona qualità. Una linea possibile è la raccolta porta-a-porta dove il cittadino può essere guidato a selezionare meglio i propri rifiuti. Ma forse meglio ancora è l’idea di incoraggiare il compostaggio domestico con investimenti specifici da parte delle Amministrazioni centrali e/o periferiche (Regioni, Province, Comuni).

­­­­­­­In un certo senso il compostaggio domestico è un ritorno a quello che si faceva 100 anni fa, quando ognuno compostava i propri rifiuti a casa propria. È una cosa che già le aziende municipalizzate stanno facendo, incoraggiando i cittadini a compostare fornendo gratuitamente piccole compostiere domestiche in plastica o altri materiali e facendo sconti sulla tassa sui rifiuti per chi lo fa. La frazione di rifiuti compostata in questo modo, però, rimane molto piccola, al massimo qualche percento del totale. Questo è dovuto a vari fattori. In primo luogo, si può fare solo se uno ha un giardino. Poi, questi bidoni da compostaggio sono poco efficienti, funzionano solo in estate, attirano insetti e altri animali, possono anche emettere cattivi odori se non sono gestiti bene.

Grazie alla tecnologia la soluzione potrebbe essere un’altra. Ormai da almeno un decennio in Oriente, Cina e Giappone, si usano comunemente dei “compostatori elettrici.” Sono macchine ben più evolute e sofisticate dei bidoni da giardino. All’interno, il sistema controlla e mantiene costante sia l’umidità come la temperatura, assicurando condizioni ottimali per il compostaggio. Oggi fortunatamente il mercato offre soluzione tecnologiche decisamente avanzate che non puzzano, non sono rumorosi, non attirano insetti, e sono abbastanza piccoli e con designed veramente gradevoli da poter essere facilmente inseribili in qualsiasi arredamento di cucina o anche su un piccolo balcone. Il fatto di essere gestiti a livello familiare evita il conferimento improprio: nessuno butterebbe un paio di scarpe vecchie dentro il proprio compostatore, come del resto non le butterebbe dentro la pentola del lesso!

Questi impianti vanno benissimo anche a livello condominiale, oppure a livello di piccola azienda, per esempio un bar o un ristorante. In questo caso, richiedono un minimo di supervisione per evitare che qualcuno rovini tutto buttandoci dentro qualcosa di sbagliato. Per esempio, la comune segatura ha la capacità di avvelenare i batteri “buoni” che lavorano per noi. Non va assolutamente messa nel compostatore! Lo stesso per la plastica detta “biodegradabile” che non è detto affatto che lo sia. Imparare a fare del buon compost è un po’ come imparare a cucinare. Ci vuole un po’ di tempo e, le prime volte, può capitare di bruciare l’arrosto.

Questi nuovi compostatori elettrici, ormai completamente automatizzati sono parte della tendenza all’elettrificazione di tutti i servizi domestici. Mentre una volta usavamo fornelli a gas, adesso si usano a induzione. E lo stesso per il riscaldamento, che oggi tende a essere fatto usando pompe di calore elettriche. I compostatori elettrici usano piccole potenze. Sono bene isolati, quindi poche decine di Watt sono sufficienti per mantenere la temperatura interna a circa 40°C, mentre solo ogni tanto il sistema mette in moto l’asta di mescolamento, arrivando a consumare qualche centinaio di Watt. Sono anche sistemi che si sposano bene con il fotovoltaico domestico. Nel futuro, è probabile che saranno gestiti in modo tale da funzionare solo quando l’energia fotovoltaica è disponibile. In questo modo peseranno zero sulle spese energetiche delle famiglie.

Ma, alla fine dei conti, perché uno dovrebbe mettersi un dispositivo del genere in casa? C’è più di una ragione. La più semplice è lo sconto sulla tassa sui rifiuti. Un altro vantaggio è che non avrete più bisogno di andare in giro con sacchetti di roba puzzolente, oppure di tenerveli in casa aspettando il giorno della raccolta. Poi, se avete un giardino o un piccolo orto, o se avete qualche amico o parente che ce l’ha, vedrete che il compost che producete è un vero toccasana per ortaggi e fiori. E se avete dei vasi da fiori, potete divertirvi a fare l’“orto a sorpresa”. Sparpagliando un po’ di compost sulla superficie del vaso, i semi degli ortaggi che avete compostato germoglieranno, producendo di nuovo pomodori, peperoni, e zucchine. Provateci!


venerdì 12 febbraio 2021

Chiudere Cassandra? Cosa ne Pensate?

 


Alcuni di voi avranno notato come ho recentemente chiuso la versione in inglese di Cassandra, "Cassandra's Legacy." Non perché non andasse bene in termini di contatti, ma perché era stata oggetto di un sabotaggio specifico da parte dei motori di ricerca e di Facebook e così l'ho sostituito con un altro blog intitolato "The Seneca Effect"  

La situazione è diversa per quanto riguarda "Effetto Cassandra" che non è stato censurato, almeno per il momento, ma sta vedendo una graduale discesa nel numero dei contatti. 

Il problema non è tanto il numero di contatti in calo, ma proprio il concetto stesso del blog. "Cassandra" era nato per divulgare l'importanza del problema dell'esaurimento delle risorse. Direi che a distanza di circa 10 anni, è chiaro che i "Cassandristi" avevano ragione -- come aveva ragione la loro eroina storica, profetessa di Troia. 

Ma, ancora come era successo al tempo della guerra di Troia, il messaggio del blog di Cassandra è stato completamente ignorato. Lo è tuttora. Mentre fino a qualche anno fa c'era ancora una parvenza di "dibattito" su questi argomenti, adesso lo spazio si è completamente chiuso. Cose come il "Picco del petrolio" sono relegate fra le fake news e vengono discusse soltanto su siti di nicchia. L'argomento "risorse" è diventato politicamente scorretto e non menzionabile, perlomeno sui media principali.

Lo stesso è vero per un altro argomento sul quale il blog si era impegnato. Quello della necessità di una transizione energetica verso le rinnovabili. Qualcosa di questo argomento è arrivato alle stanze del potere, con l'istituzione di un "ministero della transizione ecologica" che però molto probabilmente, se ci sarà, sarà un carrozzone impegnato a dare una verniciatina di verde alle azioni delle solite lobby. 

Del resto, lo stesso movimento ambientalista sembra essersi bevuto completamente l'idea che le rinnovabili non possono produrre energia in quanto dipendono dall'energia fossile per la costruzione degli impianti. Questo è altrettanto evidente di come era evidente una volta che il carbone non avrebbe mai potuto produrre energia in quanto era dipendente dai cavalli.

In questo contesto, qual'è il messaggio di Cassandra? Difficile dirlo e non è sorprendente che il blog sia in declino. 

A questo punto, sto pensando seriamente di chiudere un blog che ormai fa poco più che sopravvivere a se stesso. L'idea è di lasciarlo on line, ma muoversi su altre linee e su altre cose. Non è una decisione definitiva, ma una proposta di discussione. Ai commentatori di discuterne.

U.B.





giovedì 4 giugno 2020

L'impero del cancro del pianeta: il nuovo libro di Bruno Sebastiani

 L'impero del cancro del pianeta


Chi di voi, osservando dal finestrino di un aereo le case, le strade, i capannoni e i campi coltivati sottostanti, non ha avuto l’impressione di trovarsi in presenza di un melanoma, di un vero e proprio tumore maligno ai danni del corpo del pianeta?
In gergo “cancrista” questa si chiama la “prova dell’aeroplano” e ne hanno parlato, tra gli altri, Lewis Mumford e Konrad Lorenz.
Questa raffigurazione terrificante è la conferma visiva di come ormai l’intero globo terracqueo sia diventato un immenso, sconfinato impero dell’essere umano, ovvero del cancro del pianeta.
Ad esso è dedicato il mio nuovo libro, intitolato per l’appunto “L’impero del cancro del pianeta” (Mimesis editore) e sottotitolato “L’organizzazione della società ai tempi dell’ecocidio”.
Per la presentazione dei libri precedenti vedere Il cancro del pianeta e Il cancro del pianeta consapevole.
Ho cercato con questo saggio di scendere metaforicamente dall’aeroplano e di calarmi dentro alla realtà della malattia per vedere come le cellule neoplastiche si sono organizzate al fine di sostenere il loro esorbitante aumento numerico.
Si sa che il cancro è originato da una o più cellule che subiscono un’alterazione genetica tale da rifiutare il meccanismo omeostatico che blocca la proliferazione delle cellule quando il loro numero diventa eccessivo. Venendo meno questo freno, la popolazione delle cellule alterate straborda ovunque, come è accaduto alla nostra specie.
Ogni cellula va nutrita e se il loro numero è elevatissimo, occorre trovare elevatissime quantità di cibo. È il problema con il quale da decenni convive drammaticamente il genere umano, senza che gran parte di esso si renda conto dei problemi e dei drammi che si celano dietro agli scaffali pieni dei supermercati.
Ho cercato di affrontare questa realtà con l’aiuto di altri autori che prima di me l’hanno indagata con grande competenza. Tra questi Raj Patel, Lester R. Brown, Philip Lymbery e Stefano Liberti. Arricchito dai dati, dalle notizie e dai pareri di costoro e di altri autori, ho avuto una ulteriore conferma che quanto accaduto negli ultimi decenni si inquadra perfettamente nell’ottica della teoria cancrista.
Il compito che mi sono assunto, infatti, non è di effettuare una nuova indagine in aggiunta a quelle già esistenti, ma di mostrare all’uomo contemporaneo come i fatti e i processi sociali che si svolgono sotto ai suoi occhi altro non sono che tasselli di un comportamento tipicamente cancerogeno.
Molti autori hanno descritto i mali che affliggono il mondo per cause antropiche, ma poi non sono giunti a trarre le conclusioni più coerenti.
Un nome su tutti, quello di Aurelio Peccei. Il fondatore del Club di Roma nel suo saggio “Cento pagine per l’avvenire” (Giunti Editore, Firenze 2018) scrive:
È […] in uno slancio di creatività eccezionale o in un momento di smarrimento che la Natura produce la sua ultima grande specie […] homo sapiens? È questi il suo capolavoro, o invece non è che un refuso sfuggito al controllo della selezione […]? (pag. 56)
Un […] comportamento aberrante della nostra specie la rende gravemente colpevole davanti al tribunale della vita. Si tratta della sua proliferazione esponenziale, che non si può definire che cancerosa.” (pag. 66)
Siamo per caso una specie di geni, destinati in fin dei conti a trionfare su tutto? O al contrario […] non ci siamo forse trasformati in mostri, magari mostri geniali, che finiranno per restar vittime del loro stesso malsano operare?” (pag. 80)
Questi dubbi e questi atti di accusa non si concretizzano però in una coerente teoria cancrista, ma si stemperano in un atto di fede che sinceramente non condivido:
Pur riconoscendo che questa tesi ha dei punti validi, io sono portato a dare una risposta meno pessimista a questi interrogativi cruciali sulla natura e sul destino dell’uomo. La condizione umana è grave, ma può essere migliorata – a certe condizioni.” (pag. 81)
Questa affermazione fa capire come Peccei, nonostante le sue intuizioni sulla nocività del genere umano, sia sempre rimasto sostanzialmente antropocentrico.
La sua preoccupazione non è per la gravità delle condizioni della biosfera, ma per quella del genere umano.
Per un ulteriore approfondimento del pensiero del fondatore del Club di Roma vedere “Aurelio Peccei precursore del Cancrismo?
È come se un medico si preoccupasse dello stato di salute del tumore anziché di quello dell’ammalato.
Credo che questa metafora renda bene l’idea della inversione di prospettiva operata dalla teoria cancrista: non è del genere umano che ci dobbiamo preoccupare ma della biosfera nel suo complesso, anche perché noi comunque della biosfera facciamo parte e se le sue condizioni di salute migliorassero pure noi ne beneficeremmo.
Ma, al punto in cui siamo, questa opzione non è realistica, al contrario tutto sembra indicare che la strada intrapresa vada esattamente in direzione opposta.
Questo è l’oggetto del mio saggio: vedere come la società si sia strutturata per far fronte alle esigenze alimentari ed energetiche di una popolazione mondiale in costante aumento e, soprattutto, come questa organizzazione non consenta inversioni di rotta, pena l’impossibilità di garantire cibo e energia ai miliardi di uomini e donne che abitano il pianeta.
L’agricoltura intensiva, gli allevamenti concentrazionari e l’acquacoltura sono altrettanti capitoli de “L’impero del cancro del pianeta” dove vengono analizzati origini, sviluppo e prospettive dei sistemi più efficaci per produrre cibo. A guardarli da vicino, questi sistemi non possono che suscitare orrore, ma in un altro capitolo del libro spiego come il pensare di sostituirli con la cosiddetta “agroecologia” sia pura utopia.
È una ulteriore riprova che la via imboccata non ha alternative e non può essere percorsa a ritroso. Anche se la crescita della massa tumorale che noi rappresentiamo per la biosfera un giorno dovesse arrestarsi per mancanza di risorse, ciò avverrebbe al limite di ciò che il Pianeta può offrire in termini di terra coltivabile e di animali macellabili, dopo aver distrutto tutte le cellule sane vegetali e animali esistenti.
Ciò significherebbe comunque il collasso della biosfera, la morte dell’ammalato di cancro.
Il discorso è ancora più drammatico se si pensa alla situazione di quello che ho chiamato il “cibo per le macchine”, ovvero l’energia necessaria a far funzionare i miliardi e miliardi di apparati, dispositivi, congegni e altre attrezzature artificiali realizzate dall’uomo nell’illusione di rendere più comoda la sua vita a tempo indeterminato.
Un apposito capitolo del libro è dedicato a tale realtà e alla disperata ricerca di quelle inesauribili fonti di energia pulita che dovrebbero risolvere ogni nostro problema, ma che appaiono ancora ben lontane dal poter sostituire i combustibili fossili.
A tal proposito il Cancrismo ritiene però che, anche se queste fonti di energia pulita e rinnovabile si rendessero disponibili e fossero in grado di soddisfare le esigenze di tutte le macchine del mondo, la salute della biosfera non ne trarrebbe beneficio.
L’uomo - cancro del pianeta ne approfitterebbe infatti per dilatare a dismisura i suoi consumi ai danni di ogni altra residua realtà sana della biosfera, e con questo suo comportamento non farebbe che affrettare i tempi del collasso.
Non si tratta di pessimismo né di visione cupa della vita. È solo oggettivo realismo che trova la sua spiegazione nella metafora che assimila l’essere umano a una cellula tumorale e l’intera umanità alla massa neoplastica che divora lentamente l’organismo dell’ammalato di cancro.
Pochi pensatori, e non tra i più famosi, hanno sin qui avuto il coraggio di esplicitare una teoria così radicale, e io, giunto al termine della mia “trilogia” su “Il cancro del pianeta”, ho avvertito il desiderio di curiosare in rete per vedere chi mi avesse preceduto nel denunciare il comportamento cancerogeno di Homo sapiens.
È nata così la corposa Appendice su “I precursori del cancrismo” posta in calce al volume. Si tratta del primo documento che riunisce personaggi provenienti da esperienze diverse ma uniti nella visione cancrista dell’essere umano.
Di ognuno ho analizzato i punti di contatto e quelli di divergenza rispetto alla teoria sviluppata nei miei tre saggi.
Ma un elemento su tutti accomuna gli autori presi in considerazione: nessuno di essi ha mai sistematizzato le proprie intuizioni in uno o più lavori storico - dottrinali di ampio respiro, tali cioè da configurare la nascita di una teoria o corrente filosofica sulla nocività dell’essere umano per la biosfera.
Con questo mio nuovo libro e con i due precedenti mi auguro di essere riuscito a colmare almeno in parte questa lacuna nella storia del pensiero, in attesa che altri riprendano questo tema per svilupparlo e diffonderlo in modo ancor più autorevole.

domenica 24 giugno 2018

Le Schegge Madri di Emma Chiaia - Come Cambiare il Mondo



di Ugo Bardi

I fiorentini hanno fama di essere abbastanza antipatici, convinti come sono di sapere tutto loro. Immaginatevi un fiorentino che sia anche un professore universitario e il risultato potrebbe essere preoccupante in termini di spocchia. Avete capito a chi mi riferisco e se volete aver conferma dei miei molteplici difetti - tipici dei fiorentini - potete chiedere a mia moglie Grazia che mi sopporta da più di 40 anni.

Specialmente per quanto riguarda la letteratura, mi ritengo un criticone anche un po' spocchioso - al punto che ho teorizzato la fine della letteratura occidentale sul mio blog delle Chimere. E quando penso che un romanzo fa pietà lo dico - come ho fatto per esempio in un post recente.

Ciò detto, la settimana scorsa ero a Milano per un convegno e mi è capitato di scambiare due parole con Emma Chiaia, giornalista e scrittrice. Mi è bastato per incuriosirmi a sufficienza da comprare il suo romanzo "Per Fortuna ho Scelto Te".  C'è qualcuno che ancora legge romanzi, oggi? Evidentemente, si, perlomeno uno c'è! Così, mi sono detto, "proviamo."

Ora, il primo impatto con questo romanzo è stato pessimo. Mi sono trovato fra le mani un mattone di 440 pagine, con una copertina sfumata in rosa che non sa di nulla, un titolo che, anche quello, bah? Mi sono letto il primo capitolo che descrive i sentimenti di una ragazzina di 16 anni. Mi sono detto, "Ho buttato via 16 euro per comprare un romanzetto rosa da quattro soldi. "

E ho pensato di buttar via anche il libro. Poi mi sono detto, beh, proviamo a leggere il secondo capitolo. E poi anche il terzo. E il quarto. E poi me lo sono divorato tutto. Romanzo assolutamente FAVOLOSO!!!! Ragazzi, fatevelo dire da uno che è parecchio "jaded" come si dice in inglese, ovvero un gran criticone - come si dice in Toscana. Questo è uno dei migliori romanzi che abbia letto da un bel pezzo.

Non che il romanzo non abbia dei difetti. Emma Chiaia è una giornalista con molta esperienza, e quindi scrive in uno stile ben rodato, ma si sente che è uno stile che va bene per articoli brevi - su 440 pagine rischia un po' di "allungare il brodo" (che credo sia anche quello un modo di dire toscano). Ma, a parte questo, è proprio un bel romanzo. Ma veramente bello. Ben congegnato, una storia che ti "prende," un meccanismo narrativo che non perde un colpo. E, in più, una serie di personaggi tutti ben caratterizzati, tutti con una loro storia, tutti interessanti, tutti bene integrati nell'impianto narrativo. Come abbia fatto Emma Chiaia ad azzeccare così bene il suo primo romanzo, beh, sono i misteri della letteratura.

La storia ruota molto - ma non soltanto - intorno alla protagonista, Sara Castelli, ragazzina sedicenne con qualche pulsione ecologista e con tanti problemi esistenziali. Un personaggio non del tutto originale, ma ben congegnato. La storia avanza con l'incontro con Laura su Facebook, una ragazza più o meno della stessa età, che viene fuori che vive in Australia, ma nel futuro. Qui forse si poteva tirare di più sulla suspence della reale provenienza di Laura, la cui natura aliena viene fuori in modo un po' brusco. Ma, rivelato questo punto, il romanzo macina in avanti sulla curiosità di sapere di più di Laura e del suo mondo.

Alla fine, Sara viene trasportata in qualche modo in questo mondo futuro a trovare la sua amica (ormai del cuore) Laura. Nei vecchi romanzi di fantascienza, quelli che viaggiavano nel futuro lo trovavano pieno di gente che girava su macchine volanti e andava sulla Luna per il fine settimana. Nel futuro descritto da Emma Chiaia, sono tutti vegani, ambientalisti, rilassati e simpatici. Vanno a piedi o in bicicletta (anche elettriche) e ci sono anche degli ottimi ristoranti! Però gli abitanti del futuro sono anche molto preoccupati perché rischiano di scomparire - se loro sono il futuro della terra, e se i terrestri del tempo di Sara distruggono l'ambiente della terra - quel mondo futuro non potrà mai esistere.

Non vi voglio raccontare di più nel caso che il romanzo vi incuriosisca al punto da volerlo leggere. Diciamo che Sara si vede affidare una missone dagli abitanti del futuro. Fra molte difficoltà, riesce a portarla a termine - e la storia ha molte conseguenze pratiche: fa venir voglia anche al lettore di fare quello che fa Sara nel romanzo.

Allora, c'è ancora spazio per la letteratura in Occidente? Dopo aver letto questo romanzo, arriverei a dire che forse si - notando anche, però, che il romanzo di Emma Chiaia sembra pesantemente influenzato dai manga/anime giapponesi. In effetti, la storia sembra direttamente ispirata dall'anime di Makoto Shinkai, "Your name."  E forse è qui molta della magia della storia: per andare avanti, bisogna imparare dagli altri. E, in Occidente, ne abbiamo disperatamente bisogno perché altrimenti mi sa che non sappiamo più veramente cosa raccontare.






Nota aggiunta il giorno dopo. Il post l'ho scritto di getto, subito dopo aver finito di leggere il romanzo. Ripensandoci sopra, però, mi sono venute in mente un altro paio di note he vi passo qui di seguito.

- Impianto Narrativo. Come dicevo nel post, l'impianto narrativo di "Per Fortuna ho scelto te" è molto ben congegnato e strutturato. Ci sono però un paio di problemi - marginali, ma ci sono. Uno è il fatto che viene detto più di una volta alla protagonista che ci sono altre persone che il popolo del futuro ha mandato in cerca delle "schegge." Però, non vengono mai fuori esplicitamente nella storia. Qualcosa di simile vale per il personaggio di Tell che - oltre ad essere l'amante della madre di Laura - si suppone sia un extraterrestre che viene dal pianeta C7. Questa cosa del pianeta C7, francamente, rimane un po' appiccicata lì e non ci viene detto molto dei suoi abitanti, chi sono, da dove arrivano, come fa Tell a trovarsi dove si trova e perché. C'è la scena in cui Tell appare a Sara confortandola in un brutto momento per lei. Il che va bene, è una scena non priva di interesse, ma mi viene in mente che sarebbe stata l'occasione invece per fare entrare in scena qualcun altro degli emissari del popolo del futuro che avrebbero potuto svelarsi parzialmente. Tell è un bel personaggio, un po' misterioso, ma non avrebbe avuto veramente bisogno di venire da un altro pianeta.

- Genere narrativo. Non so se ho detto da qualche parte che l'unico tipo di romanzo che io riesco a leggere è il romanzo epico. Non mi fate leggere Sartre o cose del genere - io posso soltanto leggere storie dove il protagonista ha una difficile missione da compiere e la compie, imparando qualcosa e trasformandosi in una persona diversa nel processo. L'eroe del romanzo epico non deve essere un muscoloso sterminatore di mostri (anche se gli/le può capitare di doverlo fare) ma deve avere perlomeno un profondo senso del dovere. Su questo punto, il personaggio di Sara Castelli è perfetto. Una ragazza apparentemente fragile, ma con una volontà di ferro. Non sfigura se messa a confronto con Achille Pié Veloce o Ged l'Arcimago.


- Personaggi principali della storia - non tantissimi, ma comunque una sfida per lo scrittore/la scrittrice. Qui, Chiaia li gestisce tutti in modo magistrale, l'unico che viene fuori un po' legnoso a momenti e l'anziano ecologista Umberto Cella.

  1. Sara Castelli
  2. Veronica Castelli
  3. Laura
  4. Alison
  5. Giampietro
  6. Tell
  7. Valerio Rovati
  8. Fabrizia
  9. Federico   
  10. Concetta De Nittis
  11. Umberto Cella
                                                                                                                                                                                                                                                                     

mercoledì 4 ottobre 2017

Tre Ecologisti Italiani (III): Luigi Sertorio





Gli altri due post di Silvano Molfese sugli ecologisti italiani sono quello su San Francesco, e quello su Italo Calvino

di Silvano Molfese


Concludo questa trilogia, in ordine cronologico, con Luigi Sertorio, ecofisico,  che nel 1990 ha pubblicato il libro “Thermodinamics of complex systems” ed ha continuato con altri lavori occupandosi di come l’uomo, con questa organizzazione produttiva, dotato di protesi di potenza e di abilità sempre più potenti, si interfaccia con la biosfera.

A tal proposito Sertorio ci ricorda che:

“La Natura non è benigna, non guarda con tenerezza i figli incoscienti e non regala loro consigli di saggezza. Opera sull’uomo perché l’uomo è un organismo appartenente alla biosfera e obbediente alle sue leggi. Sta all’uomo capire per tempo queste leggi. Se lo stato, l’economia non capiscono, ci sarà la collisione con la barriera della dinamica organica violata. E lì si vedrà chi è intelligente.” (*)
Luigi Sertorio, con armonioso rigore scientifico, ha dato a mio avviso una definizione fondamentale di biosfera.

Riporto interamente tale definizione ripresa da  “Storia dell’incertezza”,  pagine 96 e 97.
Biosfera

La biosfera terrestre è una macchina fotonica sostenitrice di informazione. Questa definizione è pensata per essere generalizzata al contesto astrofisico, cioè al di fuori del caso particolare di cui noi esseri umani siamo parte. Cerchiamo di spiegare come è fatta questa macchina, cosa esegue, e come si definisce il suo funzionamento stazionario.

1. Flusso di fotoni provenienti da una stella e dotati di lunghezza d'onda tale da mettere in azione il processo di formazione di molecole complesse partendo da molecole prelevate dall'ambiente inorganico. Questa è l'interfaccia fotosintetica che connette la stella alla biosfera.

2. Costruzione di una moltitudine di organismi caratterizzati da altre forme di metabolismo e di attività esterna.

3. Dinamica interattiva fra tutti gli organismi dotati di tempi propri di permanenza diversissimi (per esempio quattro ordini di grandezza) ma brevi rispetto alla durata di una stella longeva come il Sole, quindi con tempi di morte e di nascita distribuiti nel segmento temporale di esistenza della biosfera madre che è la realizzazione di permanenza lunga (altri sei ordini di grandezza).

4. La morte degli organismi rilascia molecole inorganiche nell'ambiente inorganico.

5. Il prelievo e il rilascio devono formare ciclo. Questo implica prima di tutto che il set delle molecole entranti deve coincidere col set delle molecole uscenti, che chiameremo molecole asintotiche. Ciò posto, ciclo vuol dire che il flusso molecolare asintotico entrante deve bilanciare il flusso molecolare asintotico uscente. Solo in tal modo la biosfera madre può sussistere.

6. Quando la biosfera funziona in regime stazionario la potenza del flusso di fotoni entranti nella fotosintesi caratterizzata dalla temperatura della stella, deve bilanciare la potenza in uscita, caratterizzata dalla temperatura media del pianeta ospitante.

L’insieme di questi sei punti definisce la biosfera come macchina perfetta la cui potenza è in equilibrio con l'ambiente inorganico. Alla base di tutto c'è l'esistenza della stella Sole e del pianeta Terra. Stelle e pianeti sono realizzazioni di permanenza dentro la dinamica cosmologica. La coppia stella-pianeta fornisce l'ambiente inorganico dotato di permanenza. Il funzionamento stazionario della macchina biosfera specifica in che modo la biosfera può essere permanente. 

La vita è elaborazione di informazione. La complessità delle macro-molecole e delle loro interazioni - è il supporto dell'informazione. Scrivere e trasmettere informazione vuol dire operare su stati complessi, e la complessità organica è la massima conosciuta. È ovvio che qui si parla di informazione analogica, non digitale.

La permanenza della biosfera implica il concetto di autoconsistenza.  Autoconsistenza vuol dire che l'interazione di tutti gli organismi caduchi si organizza in modo tale da preservare la vita del super organismo biosfera. Permanenza e informazione sono indissolubili: è ciò che chiamiamo armonia della Natura.”

(*)  Luigi Sertorio .  La mappa del denaro –  capitolo 6,  paragrafo La punizione
      della natura - in corso di pubblicazione.

sabato 16 settembre 2017

Tre Ecologisti Italiani (II): Italo Calvino




Qui sopra, Italo Calvino. Il primo post di questa serie, quello su Francesco di Assisi, si trova a questo link.


Di Silvano Molfese


Potrà sembrare strano, se non addirittura provocatorio, l’inserimento di Italo Calvino in questa trilogia di ecologisti italiani; infatti egli è universalmente conosciuto come letterato ma è uno scrittore particolare che fin dalla nascita si è nutrito dei saperi delle scienze naturali, di botanica, di zoologia, dai suoi genitori. Infatti nel clima della Guerra Fredda, con la pressante minaccia di una guerra nucleare, siamo nel 1957, Italo Calvino ne “Il barone rampante” (capitolo XXVIII ), scrive:

“E dire che Cosimo in quel tempo aveva scritto e diffuso un Progetto di Costituzione per Città Repubblicana con Dichiarazione dei Diritti degli Uomini, delle Donne, dei Bambini, degli Animali Domestici e Selvatici, compresi Uccelli Pesci e Insetti, e delle Piante sia d'Alto Fusto sia Ortaggi ed Erbe. Era un bellissimo lavoro, che poteva servire d'orientamento a tutti i governanti; invece nessuno lo prese in considerazione e restò lettera morta. … Di giorno, Cosimo aiutava i tracciatori a delineare il percorso della strada. Nessuno meglio di lui era in grado di farlo: sapeva tutti i passi per cui la carreggiabile poteva passare con minor dislivello e minor perdita di piante.“

Due ecologi forestali Orazio Ciancio e Susanna Nocentini riportano le riflessioni di Pogue R. Harrison  (Ciancio e Nocentini, 1996 )

“Il romanzo contiene una critica poetica dell’ideologia umanistica dell’illuminismo. Il barone di Calvino, di nome Cosimo, passa la sua vita sugli alberi. Acquista fama tra i philosophes (Voltaire, Diderot, ecc.) per certi trattati «politicamente corretti» che scrive su temi come le costituzioni repubblicane e i contratti sociali. Tuttavia, Cosimo scrive un trattato che per qualche ragione viene ignorato dagli intellettuali del suo tempo. "

Dato il titolo, si comprende perché non riesca ad attirare la loro attenzione: Progetto di Costituzione per Città Repubblicana con Dichiarazione dei Diritti degli Uomini, delle Donne, dei Bambini, degli Animali Domestici e Selvatici, compresi Uccelli Pesci e Insetti, e delle Piante sia d’Alto Fusto sia Ortaggi ed Erbe.

Il trattato di Cosimo viene ignorato perché il suo tempo è interessato soltanto alla dichiarazione dei diritti dell’uomo – i diritti dei soggetti umani, non degli oggetti o delle specie della natura. Oggi noi siamo testimoni delle conseguenze di queste dichiarazioni unilaterali dei diritti di un’unica specie, incuranti dei diritti naturali di tutte le altre specie. In questo senso il trattato di Cosimo era in anticipo sui suoi tempi – e anche sui nostri, rispetto a tale questione.”  (h/t Antonio Scalise)

Eravamo alla fine degli anni ’50 e in Italia si pensava allo sviluppo ed alla crescita di tutto il sistema industriale: adesso ci ritroviamo con centinaia di migliaia di ettari cementificati, asfaltati, elevato inquinamento, siccità ecc. : riusciremo a riparare i guasti prodotti?


Bibliografia

Ciancio O.,  Nocentini S.  1996. - Il bosco e l’uomo: L’evoluzione del pensiero forestale dall’umanesimo moderno alla cultura della complessità. La selvicoltura sistemica e la gestione su basi naturali.  Su Accademia italiana di Scienze Forestali, Il bosco e l’uomo, 21-115
(https://aisfdotit.files.wordpress.com/2013/06/bosco-e-uomotutto.pdf)

Harrison Pogue R., 1992. Foreste. Garzanti.

lunedì 27 giugno 2016

Il mestiere del capro espiatorio: le ragioni del fallimento del movimento ecologista

Questo documento di qualche anno fa, di Donella Meadows, ci racconta la storia di come i "verdi" abbiano preso il posto dei comunisti come capro espiatorio e bersaglio privilegiato per tutti i guai che ci affliggono.


Da “Donnella Meadows Institute”. Traduzione di MR

Di Donella Meadows, 4 giugno 1992

Qualche settimana fa ho avuto l'onore, presumo, di apparire National Public Radio con Dennis Avery, una persona che si autodefinisce esperto agricolo presso l'Istituto Hudson. Non avevo mai incontrato il signor Avery, ma visto che l'Istituto è un'organizzazione radicalmente conservatrice, mi aspettavo che la discussione fosse accesa.

sabato 21 maggio 2016

Il grande dolore: come affrontare il collasso del nostro mondo

Da “Common Dreams”. Traduzione di MR (via Bodhi Paul Chefurka)

Per rispondere adeguatamente, prima potremmo aver bisogno di elaborare il lutto

Di Per Espen Stoknes


'Affrontare la perdita del nostro mondo', dice Stoknes, 'ci impone di scendere nella rabbia, nel pianto e nella tristezza, non di aggirarli per saltare sul carro dell'ottimismo o scappare nell'indifferenza' (Foto: Nikola Jones/flickr/cc)

Gli scienziati del clima dicono in modo schiacciante che affronteremo un riscaldamento senza precedenti nei prossimi decenni. Quegli stessi scienziati, proprio come voi e me, lottano con le emozioni che vengono evocate da questi fatti e da queste terribili previsioni. I miei figli – che ora hanno 12 e 16 anni – potrebbero vivere in un mondo più caldo che in qualsiasi altro momento nei precedenti 3 milioni di anni e potrebbero affrontare sfide che stiamo appena cominciando a contemplare e in molti modi potrebbero venire privati del mondo ricco e variegato nel quale siamo cresciuti. Come ci relazioniamo – e come conviviamo – con questa triste consapevolezza?
Fra diverse popolazioni, i ricercatori di psicologia hanno documentato un lungo elenco di conseguenze per la saluta mentale del cambiamento climatico: traumi, shock, stress, ansia, depressione, lutto complicato, tensioni sulle relazioni sociali, abuso di sostanze, senso di disperazione, fatalismo, rassegnazione, perdita di autonomia e senso del controllo, così come perdita di identità personale ed occupazionale.

giovedì 14 aprile 2016

La trappola della scimmia


Di Jacopo Simonetta.

Questo articolo è già stato pubblicato sul n. 8 della rivista online "Overshoot".   Il numero è scaricabile gratuitamente a questo link:  http://www.rientrodolce.org/

La trappola della scimmia è un recipiente che contiene qualcosa di molto buono da mangiare; la scimmia vi infila la mano per prenderlo, ma il pugno chiuso non può uscire dalla bocca del vaso.   In realtà niente impedisce all'animale di lasciare l’esca e andarsene, ma non vuole rinunciare alla sua leccornia e così continua a stringere.   Ma più si agita, più monta il panico e più si stringono le dita, finché arriva il cacciatore che uccide la scimmia e se la mangia.

Oggetto reale o metafora dell’avidità umana poco importa. Qui vorrei utilizzarla come spunto per una riflessione su qualcosa che a noi umani è molto caro.   Qualcosa da cui siamo abituati ad attenderci ogni bene e che può diventare una trappola mortale.

Per arrivarci vorrei partire da un modello economico proposto da Herman Daly per spiegare come l’incremento della produzione di beni e servizi non necessariamente giova all'economia; anzi può diventare la macchina che la distrugge.  Sembra un paradosso, ma non lo è, come molti dei fenomeni che stanno condizionando il nostro presente ed il nostro futuro.

Partiamo da una semplice considerazione: ad ogni incremento della produzione corrisponde un aumento del vantaggio per il produttore.  Se vendere 100 pizze al giorno porta un determinato vantaggio, poniamo 100 euro di guadagno netto, produrre 200 pizze dovrebbe dare un vantaggio maggiore.   Di solito è così, ma di quanto?   Non di altri 100 €.   Perché?   Perché incrementando la disponibilità di un bene diminuisce il desiderio per il medesimo, mentre aumentano le spese per produrlo e commercializzarlo.

Ad ogni attività commerciale, come ai processi biologici, si applica l’implacabile legge dei ritorni decrescenti.   Qualunque cosa cresca, da un certo momento in poi, comincia ad incontrare una resistenza sempre maggiore al suo sviluppo finché questo necessariamente si arresta.
In termini termodinamici la faccenda si spiega col fatto che, man mano che qualcosa cresce, aumentano le sue necessità e, dunque, le sue difficoltà a reperire abbastanza energia per continuare a crescere.

Contemporaneamente, ogni accrescimento comporta anche un aumento dei costi, siano questi energetici, monetari o d’altro genere.   Per fare più pizze è necessario non solo comprare più farina e mozzarella, ma anche ingrandire il forno ed assumere personale.   Per reperire più cibo è necessario camminare di più.   Per catturare più luce occorre mantenere tronchi e rami sempre più grandi e pesanti.   Per pompare più petrolio è necessario perforare pozzi sempre più profondi eccetera.   Finché le uscite equivalgono alle entrate e la crescita si ferma.    Una legge che gli economisti conosco bene e che chiamano “legge del quando fermarsi”.

Quello che di solito non si dice è che, col tempo, le strutture realizzate per catturare energia si usurano ed aumenta quindi il bisogno di energia per la loro manutenzione.   Man mano che il tempo passa, il fabbisogno di energia aumenta, aumentano le difficoltà a reperirne abbastanza ed i sistemi cominciano a diventare fatiscenti, finché collassano.

Tutte le strutture dissipative, di qualunque natura e dimensione, invecchiano e muoiono; dalle cellule alle galassie.   Ed è un bene, perché è proprio questo che consente l’evoluzione.   “La Morte è l’artificio mediante cui si mantiene la Vita” diceva Goethe.

Tornando alle nostre preoccupazioni economiche, se è assodato che i vantaggi marginali non possono che diminuire ed i costi marginali non possono che aumentare, come è possibile pensare che la crescita economica possa proseguire all'infinito?

Sostanzialmente per due motivi:

Il primo è che, comunemente, si ritiene che i ritorni decrescenti si applichino alle singole attività, ma non alle economie complessive.   Si presume infatti che ci sia sempre la possibilità di inventare nuovi prodotti o servizi, man mano che quelli già disponibili raggiungono il fatidico livello d’arresto.   Un’idea che era perfettamente ragionevole quando fu concepita un paio di secoli or sono.

All'epoca, sulla Terra c’era meno di un miliardo di persone, abbondanza di risorse e spazi apparentemente illimitati in cui disperdere i nostri rifiuti.   Pensare la stessa cosa oggi, in un mondo in cui ogni giorno ci sono 300.000 persone in più a grattare il fondo del barile di risorse come l’acqua, il suolo, la biodiversità e l’aria; un mondo in cui le caratteristiche chimiche e fisiche dell’atmosfera e degli oceani sono state gravemente alterate dall'accumulo di rifiuti è semplicemente una stupidaggine.

Il secondo motivo è più interessante perché è vero che disponiamo di potenti mezzi in grado di spostare il famoso punto di equilibrio del “quando fermarsi” sia a livello di singole attività che di intere economie: la crescita demografica, la pubblicità (e tutti gli altri trucchi del consumismo), il progresso tecnologico.

Per capirne il ruolo dobbiamo osservare con più attenzione il modello di Daly.

a) 1 = Limite economico; 2 = Limite di saturazione; 3 = Catastrofe.  
Da H. Daly modificato.
 All'aumentare dei consumi, il vantaggio marginale diminuisce ed i costi salgono, fino a che si equivalgono.   Oltrepassare questo punto di equilibrio significa investire per distruggere ricchezza, anziché costruirne.  Chi potrebbe fare una cosa simile?   Eppure succede.

Vediamo meglio i tre punti di possibile crisi.

1 - Il “ Limite economico” si raggiunge quando la curva dei benefici calanti incrocia quella dei costi montanti.   E’ questo il famoso punto “quando fermarsi”.   Qui è fondamentale tener presente che, parlando di intere economie e non di singole attività, la curva dei costi include necessariamente anche tutte le esternalità che, invece, non figurano nei bilanci delle imprese.   Questo è uno dei motivi per cui spesso le imprese trovano vantaggioso spingere l’economia generale in territorio collettivamente negativo.

2 – Il “limite di saturazione” può trovarsi in qualunque punto della curva e corrisponde a quando la gente ne ha fin troppo di qualcosa.   Smette di comprare, la curva dei vantaggi precipita e finisce il gioco.   L’economia neoclassica nega formalmente l’esistenza di questo limite con il postulato di “non sazietà” la cui validità è però smentita dai fatti, oltre che dallo sviluppo iperbolico dell’industria pubblicitaria e, più in generale, tutto l’armamentario del consumismo.  



Ma anche altre forzanti, in particolare la crescita demografica, possono facilmente spostare il limite economico ben addentro al territorio della crescita anti-economica.    Cioè in posizioni in cui la somma dei costi, comprese le esternalità, supera i ricavi.   Parlando di economie, il fatto di aver raggiunto od anche superato il punto di equilibrio non significa infatti che tutte le attività siano negative.   Anzi, di solito alcune vanno meglio di prima ed altre nuove nascono, anche se si sviluppano a spese di altre che chiudono.
In pratica, l’economia diventa un gioco a somma negativa, ma ciò non impedisce che vi siano dei vincitori e poiché sono proprio questi che assurgono al potere vi sono ben poche possibilità che fermino la macchina.
Ma quel che è più importante, è che in questo modo ci avvicina al terzo limite.

3 – Il “Limite della catastrofe ecologica”.   Sappiamo, o dovremmo sapere, che qualunque attività umana modifica l’ecosistema da cui preleva le risorse necessarie e scarica i rifiuti risultanti.   Entro certi limiti, l’ecosistema si adatta, mantenendo comunque una sua funzionalità.

Oltre questo limite, l’ecosistema collassa in un sistema quasi privo di vita, completamente incapace di sostenere qualsivoglia attività umana.   L’esempio classico è quello della messa a coltura di territori vergini che può portare allo sviluppo di agro-ecosistemi molto complessi e vitali, così come a lande desolate a seconda dell’intensità con cui si sfruttano i suoli, l’acqua e la biodiversità.

Anche l’esistenza di questo limite viene esplicitamente negata, o perlomeno ridotta ad una possibilità del tutto teorica, dalla scuola economica corrente in base al presupposto che lo sviluppo economico sia in grado di produrre anche i mezzi per riparare i danni che produce.  Il fatto che un’infinità di attività e di economie siano già collassate assieme agli ecosistemi di cui vivevano non sembra interessare i grandi guru del denaro.

Ma ciò che qui ci interessa è il ruolo chiave rivestito dalla tecnologia.   L’effetto principale del progresso tecnico è infatti quello di rendere più efficienti i processi produttivi.

L’intera élite mondiale ed anche buona parte della risicata nicchia ambientalista conta proprio sull'aumento dell’efficienza produttiva per togliere dal fuoco le castagne dell’umanità senza che nessuno si faccia troppo male.

Ma se i processi produttivi diventano più efficienti, i costi di produzione diminuiscono, la curva dei costi marginali si sposta verso il basso ed il punto di equilibrio verso destra.   Eventualmente fino a coincidere con il punto di rottura che scatena la catastrofe.   Oltre, ovviamente, non ci sono più attività economiche di sorta.

Parlando di economia globale, non sappiamo esattamente dove questo “punto” si trovi, anzi potremmo addirittura averlo già superato.   Non possiamo saperlo, ma possiamo essere certi che c’è.


In altre parole, l’aumento di efficienza produttiva e commerciale portano benefici a chi se ne serve, ma a costo di avvicinare progressivamente il sistema alla soglia di collasso.   Finché vi sono ampi margini di manovra, rappresentati da risorse e possibilità di smaltimento prive di forti controindicazioni, i vantaggi superano certamente gli svantaggi.

Non per nulla in ogni società che è collassata i successi del passato hanno indotto la gente a tenersi stretto il suo progresso.   Esattamente come fa la scimmia con la sua pagnotta.

D'altronde, per la scimmia fare diversamente significherebbe rimanere a pancia vuota.   Per una società umana mollare la presa significherebbe avviare volontariamente il proprio declino politico ed economico.   Cioè restare a pancia vuota, essere invasi o, perlomeno, rischiare parecchio.   Ma continuare ad alzare la posta ha sempre avuto il risultato di rimandare la resa dei conti finché non sopraggiunge il cacciatore, nelle vesti di una raffica di catastrofi tanto più devastanti, quanto più a lungo è stato possibile rimandare.

Sono pochissimi e parziali gli esempi storici di società che sono state capaci di fermarsi ad un livello a cui era ancora possibile stabilizzare il sistema per periodi relativamente lunghi.

Dunque il rilancio economico ed ancor più il progresso tecnologico da cui ci attendiamo salvezza sono esattamente quelle cose che hanno già condannato a morte molti di noi e forse l’umanità intera, se non la Biosfera.

Dovremmo allora considerare “cattiva” la tecnologia?    Sarebbe come se un gatto considerasse cattivi i propri artigli perché gli hanno permesso di catturare tutti i topi del quartiere.   Non ha senso.   Tra l’altro, avremo bisogno di tutto quel che abbiamo per scendere la parte destra del “Picco di Seneca”.

Il fatto è semplicemente che abbiamo elaborato una forma di evoluzione troppo efficiente e questo ci ha permesso di distruggere una buona fetta del Pianeta.  Per chi ne ha assaporato i frutti, è stato bello non sentire più la fame, poter guarire da tante malattie, andare in vacanza ed in pensione, viaggiare in automobile o in aereo, eccetera.   Niente di strano che più sentiamo sfuggirci tutto ciò, più forte stringiamo le dita.   E chi è vissuto sperando di realizzare lo stesso sogno, ucciderà e morirà prima di rinunciarvi. La tecnologia ci ha spacciati non già perché sia cattiva, bensì perché funziona troppo bene!

Ci sarebbero, o ci sarebbero stati, a mio avviso almeno due modi per sfuggire alla trappola.   Man mano che la tecnologia riduceva i costi di produzione, si sarebbero dovuti imporre limiti crescenti alla disponibilità delle risorse e/o al diritto di acquistare determinati beni o servizi.   Gli strumenti per ottenere questo erano molti: dalla tassazione al razionamento, ma in ogni caso una cosa simile avrebbe significato semplicemente la fine dell’economia di mercato.

Una mostruosità che solo a dirla scatena derisione e scandalo, ma che accadrà comunque in un futuro non lontano e senza bisogno di riesumare ideologie che hanno già ampiamente fallito.   Basterà che una risorsa insostituibile raggiunga costi di estrazione, raffinazione e trasporto eccessivi per il mercato. Per fare un esempio fra i tanti possibili, che faremo quando il petrolio avrà dei costi di “produzione” di 150 $ al barile?   A quel prezzo non potrà essere venduto, ma neppure se ne potrà fare a meno.   Dunque, semplicemente, l’industria petrolifera sarà in qualche modo nazionalizzata o militarizzata e continuerà a lavorare come potrà, consegnando i suoi prodotti ai servizi essenziali (oltre che ad una ristretta cerchia di oligarchi).

In conclusione, è possibile che nel nostro futuro si verifichi un repentino collasso delle attività economiche.   Molti lo temono, ma personalmente credo più probabile che ad una serie di crisi parziali si risponderà con una progressiva militarizzazione dell’economia e della società.   Perlomeno in quei paesi che al momento avranno i mezzi e la capacità per poterlo fare.   Non sarà piacevole, ma potrebbe andare anche peggio.


sabato 7 gennaio 2012

Regolare i conti con la Natura

Guest post di Antonio Turiel (in spagnolo Saldando Cuentas con la Naturaleza).
Traduzione di Massimiliano Rupalti




Immagine dal The Daily Mail: dailymail.co.uk


*A proposito della diffusa leggenda che dice che "il ghiaccio antartico sta aumentando" vedi la nota in fondo a questo articolo.


"Regolando i Conti con la Natura" Di Antonio Turiel



Cari lettori,


un mio collega di laboratorio di tanto in tanto realizza campagne oceanografiche in Antartide. Un paio di anni fa, ebbe l'occasione di trovarsi coi sui vecchi amici in un ambiente che aveva visitato più di venti anni prima. Al ritorno mi ha raccontato molte storie sul suo viaggio, del fatto che avesse rivisto il suo vecchio vascello di ricerca oceanografica, i colleghi che ancora sono imbarcati lì...Poi è diventato pensieroso e mi ha detto: “Sai, la cosa peggiore non è che ogni volta ci sia più mare libero. Vent'anni fa gli iceberg erano bianchi, ora sono azzurri”. Risposi: “Già”, e siamo entrambi rimasti in silenzio. 


Il colore del ghiaccio indica la quantità di aria che si trova intrappolata al suo interno; nella misura in cui il ghiaccio resta intrappolato a maggior profondità ed è sottoposto a maggior pressione, l'aria tende a fuoriuscire ed il ghiaccio diventa sempre più azzurro. Quegli iceberg che aveva visto il mio collega erano di ghiaccio vecchio, probabilmente molto vecchio, ghiaccio che non aveva visto la luce del Sole da molto tempo, probabilmente da secoli. Lavorando in ciò in cui lavoro trovo molto scioccante sentire le urla ostinate del negazionismo climatico, poiché giorno dopo giorno i miei colleghi mi raccontano delle loro campagne di lavoro, o quelle dei loro colleghi, con una copertura pressoché globale. 


Raccontano che i clatrati dei fondali marini in alcune zone stanno evaporando, che le specie di pesci ed insetti tropicali si stanno spostando a latitudini più alte, che nelle specie di pesci presso le quali il sesso viene determinato dalla temperatura si osserva una sproporzione di femmine, che le temperature del Polo Nord e della Groenlandia superano di 8° la media del xx secolo in modo costante, che la maggior parte dei ghiacciai della Groenlandia stanno accelerando la perdita di ghiaccio e il fronte degli stessi retrocede, che la calotta di ghiaccio dell'Artico è sempre più sottile, che si cominciano a vedere terre libere da ghiaccio in Antartide durante l'estate australe... E questo senza tener conto di effetti più sottili come l'aumento dell'evaporazione e del suo possibile collegamento con l'aumento di eventi estremi (precipitazioni più intense in certi luoghi e, paradossalmente, siccità più pronunciate in altri, a seconda dei capricci della circolazione atmosferica generale). Se c'è qualcosa di evidente, questo è che si sta verificando un cambiamento del clima veloce e su larga scala, di una ampiezza maggiore di quello che ci mostrano i registri dell'ultimo milione di anni (escludendo le glaciazioni che sono di segno contrario) e, per quanto insensatamente possano insistere i negazionisti, scollegato dai cicli dell'attività solare.