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venerdì 28 gennaio 2022

La Moralità della Scienza: in cosa dobbiamo credere?




Le disputationes medievali erano un metodo epistemologico ben superiore a quello dei moderni dibattiti televisivi urlati. 



Dopo una carriera decennale nella scienza, non avrei mai pensato di dovermi domandare certe cose che non mi ero mai domandato. Avevo sempre pensato che la conoscenza fosse "neutrale" -- i dati provano qualcosa? Allora quella cosa è vera.

In realtà, la faccenda è molto più complessa di così. Nessuno di noi ha in mano "i dati" -- tutto quello che abbiamo sono resoconti di persone che li hanno ottenuti, o li hanno avuti da qualcuno che li ha ottenuti, oppure da qualcuno che conosce qualcuno che conosce qualcuno che li ha ottenuti, eccetera.
Si pone il problema: a chi credere? E su che basi? Qui, mi sono imbattuto in un articolo di Don Stefano Carusi (vedi più sotto), che parla di "Moralità nella Scienza". Suona strano, lo so. Parlare di "moralità" è passato di moda. Suona come una roba ottocentesca di gente impaludata. Un imbroglio per fregarti. 

Si, ma su tutto si può essere fregati, su tutto si può equivocare, tutto si può capire al contrario. Ma, alla fine dei conti, la moralità si identifica con l'onestà. Ti fidi di qualcuno perché sai che non ti ha fregato nel passato e ti puoi aspettare che non ti freghi nel futuro. Chiamalo come vuoi, ma nella vita ci si basa molto su quello.  

Una disputatio medioevale non avrebbe mai accettato come partecipanti certi virologi televisivi che vanno per la maggiore oggi e che candidamente confessano di essere pagati dalle industrie farmaceutiche. La disputatio seguiva certe regole, e i disputanti dovevano essere persone non soltanto competenti, ma di riconosciuto valore morale. I maestri di teologia del Medioevo avrebbero visto con orrore i nostri dibattiti televisivi urlati e beceri. 

Cose che agli scienziati sembrano ridicole. Ma lo sono veramente? I nostri antenati non erano dei fessi e avevano sviluppato metodi epistemologici che per molti versi erano assai più evoluti dell'ingenua "fede nella scienza" che ci viene propinata giornalmente in TV. E i paladini della scienza in TV sono spesso persone per le quali si può ragionevolmente sospettare che abbiano interessi economici o di carriera per raccontarci una certa cosa invece di un altra. 

Dice Carusi.

"Si tratta quindi spesso, anche in ambito “scientifico”, di opinione del tale o tal’altro studioso, che - se è onesto - deve ammettere di aver fatto lui stesso per primo una scelta volontaria in favore di un’opinione, foss’anche la più probabile; opinione dello studioso che poi viene proposta a colui che, non avendo studiato direttamente l’ipotesi, potrà a sua volta (non essendo un dogma di fede infusa necessario all’eterna salvezza) scegliere se credere o meno, in base a criteri che riposano sulla competenza dello scopritore, sull’onestà intellettuale mostrata durante la sua vita ed anche sul suo disinteresse economico, sulla sua immunità da logiche di carriera, di prestigio o di ricatto, fattori tutti che ne accrescono la credibilità."

Su questa faccenda, pensateci sopra un attimo. Noterete che è l'esatto opposto di quello che ci hanno raccontato negli ultimi tempi e che continuano a raccontarci. Per intenderci, l'opposto della tesi tipica di un Roberto Burioni che ha affermato più di una volta un concetto che posso riassumere con "io ho un dottorato e tu no, dunque ho ragione io." Purtroppo, però, il dottorato ci da qualche informazione sulla competenza di chi sostiene una certa tesi ma non sulla sua affidabilità. 

Qui di seguito, il testo di Carusi. Da un punto di vista puramente scientifico, è ingenuo e  molto criticabile. Ma quello che deve dire sulla faccenda di "credere nella scienza" lo dice, e molto chiaramente. Perché non aver tenuto conto della moralità di chi propone una certa tesi è alla base di tutto il disastro in cui ci siamo trovati immersi e ci troviamo ancora.




« Credo nella Scienza » …o nel consenso emotivo?

 Moralità del “credere” ai dati scientifici

Di Don Stefano Carusi, 17 Gennaio 2022

« Io credo nella scienza », « bisogna credere nella scienza », ecco la frasi che risuonano oggi ad ogni piè sospinto per richiedere o giustificare il proprio aprioristico assenso ad un insieme di dati “scientifici”, compresi quelli che talvolta non possono essere conosciuti se non da pochissimi esperti e forse con certezza nemmeno da loro. Di fatto oggi si assiste, su uno sfondo di interessi stratosferici, alla fusione di una supposta “Fede nella Scienza” con l’emotività sapientemente condotta dalle briglie dei Media, cui si tributa a sua volta un cieco assenso. Ed è proprio quello stesso consenso mediatico, che non risparmia il ricorso all’irrazionalità isterica, ad invocare incessantemente la copertura della “scienza” in cui « si deve credere ». Gli stessi che sofisticamente ci avevano insegnato fino a poco tempo fa che la “Scienza” (quella con la maiuscola) esclude ogni credo, men che meno in Dio, ci dicono oggi che bisogna « credere nella scienza » ed alcuni ecclesiastici sono persino giunti, nell’asservimento imperante ai poteri mondani, a dire che è grave peccato non obbedire alle tesi correnti “della scienza”.

Come è possibile che lo scientismo di matrice razionalista si stia sposando così bene con l’emotività d’ispirazione immanentista e quindi assai poco “razionale”? La ragione profonda di questo matrimonio sta nella morte della filosofia del reale, quella del buon senso su cui si fonda la metafisica classica e nello scientismo che, in fondo fin dalla sua nascita, ha bisogno per sopravvivere dell’immanentismo, ovvero di una fervida attività dell’io, creatore di realtà, che si sostituisce alla metafisica reinventando il reale, magari ricorrendo alla matematica laddove la matematica non ha molto da dire. E’ così che i connotati dello scientismo diventano quelli di una vera e propria religione, religione rivelata in più, non certo da Dio, ma dagli organi che “rivelano” il pensiero corretto, esigendo l’assenso e creando il consenso. Questo processo, che a rigor di logica è antiscientifico, merita un lungo approfondimento, in quest’articolo concentriamo per il momento l’attenzione sull’asserzione ormai quasi dogmatica « io credo nella scienza » e sui suoi risvolti morali.

« Io credo

Prima di tutto « io credo ». Cosa significa “credere”? Restando a livello naturale e senza voler entrare nel discorso sulla fede infusa che non è il nostro oggetto, si può affermare che “credere” vuol dire sottomettere l’intelligenza ad un oggetto non evidente in sé oppure evidente in sé, ma non a colui che crede.

Per fare qualche esempio possiamo pensare alla nostra data di nascita, mia madre ha evidenza che essa sia avvenuta il 3 gennaio, io no. Credo alla sua parola perché ella sa con certezza e non mi inganna. Questa certezza viene detta “evidentia in attestante”. Ovvero mi fido di colui che attesta, il quale ha conoscenza diretta ed evidenza di quanto afferma. In ambito scientifico questo tipo di assenso è quello che viene da chi crede ad uno scienziato che ha fatto un esperimento il quale con certezza assoluta ha dato un risultato, risultato evidente e certo per lo scienziato, ma non per l’allievo che gli “crede”, perché “ha fede in lui”, in questo caso prudentemente. Diverso è il caso in cui non ci sia nessuna prova certa nemmeno da parte dello scienziato che studia, in tal caso la certezza diminuisce, perché manca l’ “evidentia in attestante”. E’ il caso, ad esempio, di cosa ci sia al centro della terra, un dato che non è evidente a nessuno e non lo sarà per qualche tempo. Se affermo che c’è un nucleo incandescente lo faccio per fede, fede naturale in un’ipotesi scientifica che, presente in tutti i libri di scuola, è diventata “consenso”, forse anche credibile, ma che resta ipotesi per lo studioso che se l’è inventata e che ci crede non per “scienza” in senso stretto, come vedremo. Affermazione che rimane ipotesi per lo scienziato e per l’allievo che ha deciso di credergli. In questo caso, rispetto al caso precedente, gli atti di fede sono almeno due, il primo è quello dello scienziato alla propria teoria - sia essa fondata - il secondo è quello dell’allievo che a sua volta crede allo scienziato. Se poi c’è una catena d’intermediari gli atti di fede si moltiplicano. Se poi tutta una “comunità scientifica” ha deciso di credere all’ipotesi non dimostrata da nessuno, ci sono tanti atti di fede almeno quanti sono gli scienziati “credenti” al nucleo incandescente che nessuno ha mai visto, né perforato con esperimenti di carotaggio, ma solo ipotizzato in ragione di alcuni “effetti”. Qui per completezza va ricordato anche un fenomeno che di scientifico ha ben poco, infatti la pretesa dello scientismo di dare risposte a tutto soffre di dover tacere su questioni fondamentali, quindi davanti ad alcuni misteri della natura non ancora chiariti preferisce aver fede in un’ipotesi e se necessario uniformare il consenso di fede. Un po’ come ammisero tempo fa alcuni scienziati: « Dobbiamo credere al darwinismo - anche se le prove sono scarse - perché altrimenti non resta che il creazionismo », ma siccome la Creazione è un’ “eresia” condannata dal loro dogma, non ci si può nemmeno riflettere…

Semplificando potremmo dire che quando non ho evidenza di un’ipotesi di studio, non ho visto, conosciuto, studiato e dimostrato personalmente la tal cosa, quando non ho quindi un accesso diretto alla veridicità del tal enunciato, posso scegliere di “crederci”. La cosa per me non è evidente, la mia intelligenza tuttavia, il più delle volte in ragione dell’autorevolezza e della veridicità conclamata di chi mi propone a credere la tal cosa, per un intervento della mia volontà, si sottomette e dice - senza averne evidenza o senza averlo dimostrato - « credo », « ti credo », « ci credo ». Si badi bene il credere di fede naturale, riponendo fede in quel tale teste che mi comunica una cosa a me non evidente è un processo non solo legittimo, ma necessario alla vita quotidiana e lodevole, se prudente, così come sarebbe assurdo verificare ogni volta con analisi chimiche ciò che compro dal panettiere: mi fido di lui che è degno di fiducia sia perché sa quel che ha messo nel pane, sia perché ha sempre agito bene e senza inganni. L’affidabilità del teste evidentemente è premessa fondamentale del credere in ogni ambito, compreso quello “scientifico”.

nella scienza »

Cosa si intende per “scienza” ? Per Aristotele, che parte dalla cosiddetta filosofia del senso comune” (cfr. “Per il rilancio della filosofia perenne), la scienza è la conoscenza certa per mezzo della causa necessaria. Scienza significa conoscere le cause proprie delle cose. In un giudizio di scienza quindi propriamente detta non « si crede ». Non si crede perché o si ha percezione immediata ed evidente della verità o si ha una dimostrazione razionale che esclude ogni dubbio. Conosco attraverso le cause necessarie, so che quella cosa necessariamente è causa della tal cosa e non di un’altra. In questo caso si parla di scienza propriamente detta, non di fede. So, non credo. Pur non escludendo diversi livelli nel rigore della dimostrazione a seconda dei diversi campi, nell’aristotelismo il procedimento propriamente scientifico si ha quando da una cosa nota giungo alla conoscenza di una cosa che prima non mi era nota e conosco il rapporto di causa-effetto necessario fra le due cose.

Per la visione di alcuni moderni, ma sarebbe meglio dire per il positivismo scientista ottocentesco, ampiamente superato, ma duro a morire nella sua retorica, la scienza è solo la descrizione di fenomeni attraverso il cosiddetto “metodo scientifico”. Ovvero, volendo raggiungere l’oggettività delle affermazioni, una volta osservato un fenomeno si cerca di creare un modello matematico che descriva il funzionamento del fenomeno in certe condizioni, si passa poi a verificare il suddetto modello con degli esperimenti per verificarne la validità. E’ evidente che tale “conoscenza scientifica” non è oggetto di fede. Non ci credo, la dimostro. Nessuno contesta che sia vera, si contesta solo che visti i “limiti matematici” che si impone, sottovaluta troppo le capacità astrattive dell’intelligenza umana davanti ad altri tipi di conoscenza e, essendo “scienza da laboratorio”, ci si passi l’espressione, vale solo quando determinate precisissime condizioni possono essere riprodotte.

Vero è tuttavia che non tutte le scienze, pur restando vere scienze secondo la loro graduazione e in rapporto all’oggetto e metodo proprio, sono riconducibili sic et simpliciter all’evidenza della verità o alla dimostrazione razionale necessaria, come direbbe Aristotele, o al metodo scientifico sperimentale con la sua reversibilità di verifica, riproduzione in laboratorio, linearità e chiarezza del ricorso alla matematica, come direbbe lo scientista. Non solo la stessa fisica sperimentale moderna ci ricorda oggi che non possiamo conoscere direttamente molti fenomeni, ma solo descriverne approssimativamente gli effetti (si pensi alla descrizione del comportamento dell’elettrone), ma vi sono scienze come la medicina e la biologia sperimentali, per esempio, le quali non possono maneggiarsi solo con criteri di necessarietà delle conclusioni. Esse infatti non sono in grado di risalire alle “cause” di tutti gli “effetti” e spesso possono solo ipotizzare, senza poter “riprodurre il fenomeno” anche perché esso presenta spesso troppe “varianti”. Vi sono più spiegazioni plausibili, quindi quando ci si trova nella necessità di scegliere o di costruire un sistema di studio, può anche legittimamente intervenire nel processo di studio l’affermazione « io credo ». Può intervenire proprio perché non vi è scienza assoluta nel senso sopra descritto, ed è necessario anche ipotizzare in casi specifici l’assenso dell’ « io credo ». Ciò non è affatto raro in questo tipo di studi, poiché per poter procedere può anche essere necessario supporre una verità. Si tratta in tal caso di « un atteggiamento attivo della mente che formula a se stessa l’adesione data ad un enunciato, ove manchi l’uno o l’altro degli elementi richiesti perché si abbia sapere scientifico », ovverosia manca proprio « la certezza perfetta, che esclude il rischio d’errore » e manca « l’evidenza, capace d’imporsi a tutte le menti »1.

Quindi ripetiamo quel che avviene: « la mente formula a se stessa l’adesione a tale enunciato », in altre parole “ci crede”, il processo quindi è interno a noi, non è un’inappellabile costatazione di fatti certi totalmente esterni all’io. Quindi tanto più è necessario sostenere che « si crede alla scienza » per difendere la data opinione, tanto più stiamo affermando che la tesi non gode affatto della certezza scientifica propriamente detta, ovvero quella della conoscenza attraverso le cause necessarie se si è aristotelici o della verifica col metodo scientifico se ci si vuole limitare al vecchio modello positivista. In ambo i casi dover dire « credo nella scienza » significa affermare che manca la certezza che si ha in altri campi della scienza.

L’assenso che si dà quindi in tal caso « esprime una scelta tra l’affermazione e la negazione possibili, o fra più enunciati possibili ». Diventa quindi forzatamente la scelta volontaria di un’opinione. Sottolineiamo che volontaria non significa arbitraria, ma che la sola intelligenza in questa caso non sta semplicemente constatando una verità evidente, ma deve intervenire la volontà, che, valutato un insieme di fattori, fa la sua libera scelta in un senso. E questo perché siamo nel campo della credenza-opinione, la quale « comporta per se stessa il rischio d’errore, in quanto insufficientemente fondata dal punto di vista sperimentale o razionale, e tale rischio è necessariamente riconosciuto da chi opina »2. Bisogna quindi riconoscerlo, non mentire alla propria intelligenza e ammettere la natura non evidente dell’affermazione.

Moralità del “credere” ai dati scientifici

Si tratta quindi spesso, anche in ambito “scientifico”, di opinione del tale o tal’altro studioso, che - se è onesto - deve ammettere di aver fatto lui stesso per primo una scelta volontaria in favore di un’opinione, foss’anche la più probabile; opinione dello studioso che poi viene proposta a colui che, non avendo studiato direttamente l’ipotesi, potrà a sua volta (non essendo un dogma di fede infusa necessario all’eterna salvezza) scegliere se credere o meno, in base a criteri che riposano sulla competenza dello scopritore, sull’onestà intellettuale mostrata durante la sua vita ed anche sul suo disinteresse economico, sulla sua immunità da logiche di carriera, di prestigio o di ricatto, fattori tutti che ne accrescono la credibilità.

E ciò perché l’attendibilità del teste in questa materia è capitale. Quindi, non essendoci nessuna evidenza, per colui che, come Aristotele, sta con i piedi per terra e vuole fare una scelta moralmente buona è anche necessario - ed è veramente “scientifico” - chiedersi: il teste è interessato? Mi ha mostrato integralmente gli studi che lo hanno condotto a tali conclusioni? Se dovesse sostenere la tesi opposta verrebbe cacciato dall’università o dal suo lavoro? Sta proponendo come “certo” ciò che è in ancora “incerto”, quindi è intellettualmente disonesto? E’ possibile che alcuni scienziati, anche se numerosi, possano essere condizionabili, specie se sono in ballo interessi considerevoli, o succubi del potere? Ci sono mai state repressioni che possono aver condizionato la libertà dello scienziato? Il cosiddetto consenso della “comunità scientifica”, specie se lo studio è in fase embrionale, è reale a seguito di studi ineccepibili o è anche frutto di chi controlla il “consenso emotivo delle masse”?

Queste domande certo non possono entrare in un “modello matematico” o in un “indice di positività”, ma sono veramente scientifiche poiché la mia conoscenza attraverso le cause, se deve “credere” a un dato scientifico, deve anche interrogarsi sulla credibilità e quindi il disinteresse del teste. Solo in tal modo il mio atto di credere sarà prudente. Quanto detto - per chi è rimasto ancorato alla filosofia realista e non sogna un sapere scientifico che ha risposte a tutto e subito in forma d’algoritmo - è ancor più vero nei primi anni successivi ad una scoperta. Particolarmente nelle sperimentazioni in campo medico, ricordando che la nostra conoscenza del funzionamento del corpo umano ha dei limiti, non parliamo poi del sistema immunitario. Alcune scoperte acquistano se non scientificità assoluta, almeno maggiore credibilità quando sono state vagliate dal tempo. La mia “fede” non nella scienza - che non vuol dire niente - ma in quella specifica cura medica ormai assodata perché ha dato buoni frutti sul lungo termine, è diventata col tempo anche “fede ragionevole”. O anche “talmente ragionevole” che sarebbe addirittura imprudente non credervi in ragione delle tante conferme pervenute negli anni. Ma è vero anche il contrario : dal punto di vista morale potrebbe essere gravemente imprudente, e potrebbe anche essere peccato grave di credulità - se c’è piena avvertenza - dare il proprio assenso imprudentemente, ovvero senza le necessarie verifiche. Specie se abbiamo ruoli di scienziati, medici o governanti, con gravi responsabilità su chi ci ascolta o ci obbedisce.

Concludendo, posso credere a questo o a quello scienziato per ragioni fondate e non emotive o di comodo, ma affermare « credo nella Scienza » non vuol dire nulla. Non esiste un credo nella Scienza, esiste una possibilità di attribuire minore o maggiore credibilità a uno studioso o ad un altro in merito ad una specifica affermazione. Il resto è solo quell’emotività irrazionale intimamente connessa al suddetto scientismo positivista ottocentesco, che, avendo rinnegato la metafisica classica, quando manca di certezze cerca di imporle “a suon di maggioranze” reali o fittizie.





martedì 10 agosto 2021

Consenso: un'arte che stiamo perdendo. Il caso della scienza del clima

 

Dal blog "The Seneca Effect"

Nel 1956, Arthur C. Clarke scrisse "The Forgotten Enemy", una storia di fantascienza che trattava del ritorno dell'era glaciale ( fonte immagine ). Sicuramente non era la migliore storia di Clarke, ma potrebbe essere stata la prima scritta su quell'argomento da un noto autore. Diversi altri autori di fantascienza hanno esaminato lo stesso tema, ma ciò non significa che, a quel tempo, esistesse un consenso scientifico sul raffreddamento globale. Significa solo che un consenso sul riscaldamento globale è stato ottenuto solo più tardi, negli anni '80. Ma quali meccanismi sono stati utilizzati per ottenere questo consenso? E perché, oggigiorno, sembra impossibile raggiungere il consenso su qualsiasi cosa? Questo post è una discussione su questo argomento che usa la scienza del clima come esempio.

 

di Ugo Bardi

 

Forse ricorderete come, nel 2017, durante la presidenza Trump, sia circolata brevemente sui media l'idea di organizzare un dibattito sui cambiamenti climatici sotto forma di un incontro "squadra rossa contro squadra blu" tra gli scienziati del clima ortodossi e i loro avversari. Gli scienziati del clima erano inorriditi all'idea. Erano particolarmente sgomenti per le implicazioni militari dell'idea "rosso contro blu" che suggeriva il modo in cui avrebbe potuto essere organizzato il dibattito. Da parte del governo, invece, si è subito capito che in un dibattito scientifico equo la loro parte non aveva nessuna possibilità di successo. Quindi, il dibattito non ha mai avuto luogo ed è un bene che sia stato così. Forse chi lo proponeva aveva buone intenzioni (o forse no), ma in ogni caso sarebbe degenerato in una rissa e avrebbe creato solo confusione.

Eppure, la storia di quel dibattito che non si è mai tenuto suggerisce un punto che la maggior parte delle persone comprende: la necessità del consenso . Nulla nel nostro mondo può essere fatto senza una qualche forma di consenso e la questione del cambiamento climatico ne è un buon esempio. Gli scienziati del clima tendono ad affermare che esiste un consenso e talvolta lo quantificano come il 97% o addirittura il 100%. I loro avversari affermano il contrario

In un certo senso hanno ragione entrambi. Esiste un consenso sul cambiamento climatico tra gli scienziati, ma questo non è vero per il grande pubblico. I sondaggi dicono che la maggior parte delle persone ha delle nozioni sui cambiamenti climatici e concorda sul fatto che bisogna fare qualcosa al riguardo, ma non è la stessa cosa di un consenso approfondito e informato. Inoltre, questa maggioranza scompare rapidamente non appena è il momento di fare qualcosa che tocca il portafoglio di qualcuno. Il risultato è che, per più di 30 anni, migliaia dei migliori scienziati del mondo hanno continuato ad avvertire l'umanità di una terribile minaccia in arrivo, e non è stato fatto nulla di serio per fermarla. Solo proclami, greenwashing e "soluzioni" che peggiorano il problema (l'" economia basata sull'idrogeno " ne è un buon esempio).

Quindi, la costruzione del consenso è una questione fondamentale. La si può chiamare una scienza o vederla come ciò che altri chiamano "propaganda". Alcuni rifiutano l'idea stessa come una forma di "controllo mentale" o la praticano in vari metodi di negoziazione basata su regole. È un argomento affascinante che va al cuore della nostra esistenza di esseri umani in una società complessa. 

Qui, invece di affrontare la questione da un punto di vista generale, discuterò un esempio specifico: quello del "raffreddamento globale" contro il "riscaldamento globale", e come si è ottenuto un consenso sul fatto che il riscaldamento sia la vera minaccia. È una disputa che spesso si dice sia la prova che non esiste consenso nella scienza del clima. 

Avrete sicuramente sentito la storia di come, solo pochi decenni fa, il "raffreddamento globale" fosse la visione scientifica generalmente accettata del futuro. E come quegli sciocchi scienziati hanno cambiato idea, passando invece al riscaldamento. Al contrario, potreste anche aver sentito che questo è un mito e che non c'è mai stato un consenso sul fatto che la Terra si stesse raffreddando.

Come sempre, la  realtà è più complessa di quanto la politica voglia che sia. Il raffreddamento globale come consenso scientifico è una delle tante leggende generate dalla discussione sui cambiamenti climatici e, come la maggior parte delle leggende, è sostanzialmente falsa. Ma ha perlomeno alcuni collegamenti con la realtà. È una storia interessante che ci dice molto su come si ottiene il consenso nella scienza. Ma dobbiamo cominciare dall'inizio.

L'idea che il clima della Terra non fosse stabile è emersa a metà del XIX secolo con la scoperta delle passate ere glaciali. A quel punto, una domanda ovvia era se le ere glaciali potessero tornare in futuro. La questione è rimasta al livello di speculazioni sparse fino alla metà del XX secolo, quando il concetto di "nuova era glaciale" è apparso nella "memesfera" (l'insieme dei memi pubblici umani). Possiamo vedere questa evoluzione utilizzando Google "Ngrams", un database che misura la frequenza delle stringhe di parole in un ampio corpus di libri pubblicati ( Grazie, Google !!).

 

Vedete che la possibilità di una "nuova era glaciale" è entrata nella coscienza pubblica già negli anni '20, poi è cresciuta e ha raggiunto un picco nei primi anni '70. Altre stringhe come "Earth cooling" e simili danno risultati simili. Si noti inoltre che il database "English Fiction" genera un picco per il concetto di "nuova era glaciale" all'incirca nello stesso periodo, negli anni '70. In seguito, il raffreddamento è stato completamente sostituito dal concetto di riscaldamento globale. Possiamo vedere nella figura sottostante come è arrivato il crossover alla fine degli anni '80.

 


Anche dopo che iniziò a declinare, l'idea di una "nuova era glaciale" rimase popolare e i giornalisti amavano presentarla al pubblico come una minaccia imminente. Ad esempio, Newsweek ha pubblicato un articolo intitolato "The Cooling World " nel 1975, ma il concetto ha fornito un buon materiale per il genere catastrofico. Ancora nel 2004, era alla base del film " The Day After Tomorrow. "

Questo significa che gli scienziati credevano che la Terra si stesse raffreddando? Ovviamente no. Non c'era consenso sulla questione. Lo stato della scienza del clima fino alla fine degli anni '70 semplicemente non consentiva certezze sul clima futuro della Terra.

Ad esempio, nel 1972, il noto rapporto al Club di Roma,  "I limiti alla crescita ", rilevava la crescente concentrazione di CO2 nell'atmosfera, ma non affermava che avrebbe causato il riscaldamento - evidentemente il problema non era ancora chiaro nemmeno per gli scienziati impegnati in studi sull'ecosistema globale. 8 anni dopo, nel 1980, gli autori del " The Global 2000 Report to the President of the US " commissionato dal presidente Carter, avevano già una comprensione molto migliore degli effetti sul clima dei gas serra. Tuttavia, non hanno escluso il raffreddamento globale e ne hanno discusso come uno scenario plausibile.

Il Global 2000 Report è particolarmente interessante perché fornisce alcuni dati sull'opinione degli scienziati del clima così com'era nel 1975. Sono stati intervistati 28 esperti ai quali è stato chiesto di prevedere la temperatura media mondiale per l'anno 2000. Il risultato è stato nessun riscaldamento o un riscaldamento minimo di circa 0,1 C. Nel mondo reale, tuttavia, le temperature sono aumentate di oltre 0,4 C nel 2000. Chiaramente, nel 1980, non esisteva un consenso scientifico sul riscaldamento globale. Sul punto si veda anche l'articolo di Peterson (2008 ) che analizza la letteratura scientifica degli anni Settanta. Trovava che la maggior parte degli articoli erano in favore del riscaldamento globale, ma anche una minoranza significativa sosteneva l'assenza di variazioni di temperatura o il raffreddamento globale.

Ora stiamo arrivando al punto veramente interessante di questa discussione. Il consenso sul riscaldamento della Terra non esisteva prima degli anni '80, ma poi è diventato la norma. Come è stato ottenuto?

Ci sono due interpretazioni che fluttuano oggi nella memesfera. Una è che gli scienziati hanno concordato una cospirazione globale per terrorizzare il pubblico sul riscaldamento globale al fine di ottenere vantaggi personali. L'altra che gli scienziati sono analizzatori di dati a sangue freddo e che hanno fatto come disse John Maynard Keynes: "Quando ho nuovi dati, cambio idea". 

Entrambi sono leggende. Quello sulla cospirazione scientifica è ovviamente ridicolo, ma il secondo è altrettanto sciocco. Gli scienziati sono esseri umani e i dati non sono un vangelo di verità. I dati sono sempre incompleti, affetti da incertezze e devono essere selezionati. Prova a invetare la legge di gravitazione universale di Newton senza ignorare tutti i dati sulla caduta di piume, fogli di carta e uccelli, e capirai cosa intendo. 

In pratica, la scienza è nata come una macchina per la costruzione del consenso. Si è evoluta proprio allo scopo di assorbire nuovi dati in un processo graduale che non porta (normalmente) al tipo di divisione partigiana tipica della politica. 

La scienza utilizza un procedimento derivato da un antico metodo che, in epoca medievale, era chiamato disputatio e che affonda le sue radici nell'arte della retorica dell'antichità classica. L'idea è quella di discutere i problemi mettendo uno di fronte all'altro i campioni delle diverse tesi e cercando di convincere un pubblico informato utilizzando i migliori argomenti che possono raccogliere. La disputatio medievale poteva essere molto sofisticata e, ad esempio, ho discusso la " Controversy of Valladolid " (1550-51) sullo stato degli indiani d'America. Le Disputstiones teologiche normalmente non potevano armonizzare posizioni veramente incompatibili, ad esempio convincendo gli ebrei a diventare cristiani (è stato tentato più di una volta, ma vi potete immaginare i risultati). Ma a volte portavano a buoni compromessi e mantenevano il confronto a livello verbale (almeno per un po').

Nella scienza moderna, le regole sono leggermente cambiate, ma l'idea rimane la stessa: gli esperti cercano di convincere i loro avversari usando i migliori argomenti che possono raccogliere. Deve essere una discussione, non un litigio. Le buone maniere vanno mantenute e la caratteristica fondamentale è saper parlare una lingua reciprocamente comprensibile. E non solo: i relatori devono concordare su alcuni principi di base della cornice della discussione.  Durante il Medioevo, i teologi discutevano in latino e concordavano che la discussione doveva essere basata sulle scritture cristiane. Oggi gli scienziati discutono in inglese e concordano sul fatto che la discussione debba essere basata sul metodo scientifico.

Nei primi tempi della scienza si usavano dibattiti uno contro uno (forse ricorderete il famoso dibattito sulle idee di Darwin che coinvolse Thomas Huxley e l'arcivescovo Wilberforce nel 1860). Ma, al giorno d'oggi, è raro. Il dibattito si svolge in convegni e seminari scientifici a cui partecipano parecchi scienziati che guadagnano o perdono "punti prestigio" a seconda di quanto sono bravi a presentare le proprie opinioni. Occasionalmente, un presentatore, in particolare un giovane scienziato, può essere "fatto alla griglia" dal pubblico in una piccola rievocazione delle cerimonie di raggiungimento della maggiore età dei nativi americani. Ma, cosa più importante di tutte, durante la conferenza si svolgono discussioni informali. Questi incontri non devono essere vacanze, sono funzionali allo scambio di idee faccia a faccia. Come ho detto, Si fa molta scienza nelle mense e davanti a un bicchiere di birra. Probabilmente, la maggior parte delle scoperte scientifiche inizia in questo tipo di ambiente informale. Nessuno, per quanto ne so, è mai stato colpito da un raggio di luce dal cielo mentre guardava una presentazione in power point.

Sarebbe difficile sostenere che gli scienziati siano più abili nel cambiare le loro opinioni di quanto i teologi medievali e gli scienziati più anziani tendano ad attenersi alle vecchie idee. A volte si sente dire che la scienza avanza un funerale alla volta; non è sbagliato, ma sicuramente un'esagerazione: le opinioni scientifiche cambiano anche senza dover aspettare che muoia la vecchia guardia. Il dibattito in una conferenza può decisamente spostarsi in una certa direzione sulla base della brillantezza di uno scienziato, della disponibilità di buoni dati e della competenza complessiva dimostrata. 

Posso testimoniare che, almeno una volta, ho visto qualcuno del pubblico alzarsi dopo una presentazione e dire: "Caro signore, ero di parere diverso fino a quando non ho sentito il suo discorso, ma ora mi ha convinto. Mi sbagliavo e lei è nel giusto. " (e vi posso dire che questa persona aveva più di 70 anni, i bravi scienziati possono invecchiare bene, come succede per il vino). In molti casi, la conversione non è così improvvisa e così spettacolare, ma succede. Ovviamente, il denaro può fare miracoli nell'influenzare le opinioni scientifiche ma, finché ci atteniamo alla scienza del clima, non ci sono molti soldi coinvolti e la corruzione non è diffusa come in altri campi, come in medicina.

Quindi, possiamo immaginare che negli anni '80 la macchina del consenso abbia funzionato come avrebbe dovuto e ha portato l'opinione generale degli scienziati del clima a passare dal raffreddamento al riscaldamento. È stata una buona cosa, ma la storia non è finita con questo. Restava da convincere le persone al di fuori del ristretto campo della scienza del clima, e questo non era ovvio. 

Dagli anni '90 in poi, la disputatio è stata dedicata a convincere sia gli scienziati che lavorano in campi diversi dal clima sia il pubblico informato. C'era un problema serio in questo: la scienza del clima non è una cosa da dilettanti, è un campo in cui l'effetto Dunning-Kruger (persone che sopravvalutano la propria competenza) può essere dilagante. Gli scienziati del clima si sono trovati a dover affrontare vari tipi di oppositori. In genere, scienziati anziani che si rifiutavano di accettare nuove idee o, a volte, geologi che vedevano la scienza del clima invadere il loro territorio e risentirsi per questo. Occasionalmente, gli avversari potevano segnare punti nel dibattito concentrandosi su punti ristretti che loro stessi non avevano completamente compreso (ad esempio, il "punto caldo troposferico" era un trucco alla moda). Ma quando il dibattito coinvolgeva qualcuno che conosceva abbastanza bene la scienza del clima, il destino degli avversari era segnato: finivano asfaltati facilmente.

Questi dibattiti sono andati avanti per almeno un decennio. Forse conoscete il libro del 2009 di Randy Olson, " Non essere uno scienziatcosì" che descrive questo periodo. Olson ha sicuramente capito il punto fondamentale del dibattito: devi rispettare il tuo avversario se vuoi convincere lui o lei, e anche il pubblico. Sembrava funzionare, lentamente. Si facevano progressi e il problema climatico diventava sempre più noto.

E poi, qualcosa è andato storto. Di brutto. Gli scienziati si sono trovati improvvisamente coinvolti in un altro tipo di dibattito per il quale non avevano alcuna formazione e poca comprensione. Vedete in Google Ngrams come l'idea che il cambiamento climatico fosse una bufala è decollata negli anni 2000 ed è diventata una caratteristica della memesfera. Notate come è cresciuto rapidamente: ha avuto un culmine nel 2009, con lo scandalo Climategate, ma non è diminuito in seguito.



Era un modo completamente nuovo di discutere: non più una disputatio. Niente più regole, niente più rispetto reciproco, niente più linguaggio comune. Solo slogan e insulti. Uno scienziato del clima ha descritto questo tipo di dibattito come come essere coinvolti in una "rissa da bar a mani nude". Da lì in poi, la questione climatica si è politicizzata e fortemente polarizzata. Nessun progresso è stato fatto e nessun progresso si sta facendo in questo momento.

Perché è successo? In gran parte, è stato a causa di una campagna di pubbliche relazioni professionale volta a denigrare gli scienziati del clima. Non sappiamo chi l'abbia progettata e pagata ma, sicuramente, esistevano (ed esistono ancora) lobby industriali che avrebbero perso molto se si fosse attuata un'azione decisa per fermare il cambiamento climatico. Chi ha ideato la campagna ha avuto vita facile contro un gruppo di persone tanto ingenue in termini di comunicazione quanto esperti in materia di scienze del clima. 

La storia di Climategate è un buon esempio degli errori commessi dagli scienziati . Se leggete l'intero corpus delle migliaia di email rilasciate nel 2009, da nessuna parte troverate che gli scienziati stavano falsificando i dati, erano coinvolti in cospirazioni o cercavano di ottenere guadagni personali. Ma sono riusciti a dare l'impressione di essere una cricca settaria che si rifiutava di accettare le critiche dei suoi avversari. In termini scientifici, non hanno fatto nulla di male, ma in termini di immagine è stato un disastro. Un altro errore degli scienziati del clima è stato quello di cercare di schiacciare i loro avversari rivendicando il 97% del consenso scientifico. Anche supponendo che sia vero (potrebbe anche essere), gli si è ritorto contro, dando ancora una volta l'impressione che gli scienziati del clima siano autoreferenziali e non tengano conto delle obiezioni degli altri. 

Permettetemi di citare un altro esempio di dibattito scientifico che è deragliato ed è diventato politico. Ho già citato lo studio del 1972 "I limiti della crescita". Era uno studio scientifico, ma il dibattito che ne seguì era al di fuori delle regole del dibattito scientifico. Una "frenesia alimentare" tra gli squali sarebbe una descrizione migliore di come gli economisti del mondo si sono uniti per fare a pezzi lo studio. Il "dibattito" si è rapidamente riversato sulla stampa ufficiale e il risultato è stata una demonizzazione generale dello studio, accusato di aver fatto "previsioni sbagliate" e, in alcuni casi, di pianificare lo sterminio dell'umanità. (Parlo di questa storia nel mio libro del 2011 " The Limits to Growth Revisited.") La cosa interessante (e deprimente) che possiamo imparare da questo vecchio dibattito è che non sono stati fatti progressi in mezzo secolo. Avvicinandosi al 50° anniversario della pubblicazione, possiamo trovare la stessa critica ripubblicata di nuovo sui siti Web, "previsioni sbagliate", e tutto il resto. 

Quindi, siamo bloccati. C'è una speranza per invertire la situazione? Difficilmente. La perdita della capacità di ottenere un consenso sembra essere una caratteristica dei nostri tempi: i dibattiti richiedono un minimo di rispetto reciproco per essere efficaci, ma questo si è perso nella cacofonia del web. L'unica forma di dibattito che rimane è quella rudimentale che vede i candidati presidenziali scambiarsi goffamente luoghi comuni tra loro ogni quattro anni. Ma un vero dibattito? Niente da fare, è sparito come le dispute tra teologi nel Medioevo.

La discussione sul clima, così come su tutte le questioni importanti, si è spostata sul Web, in gran parte sui social. E l'effetto è stato devastante sulla costruzione del consenso . Una cosa è guardare un essere umano dall'altra parte di un tavolo con due bicchieri di birra nel mezzo, un'altra è vedere un pezzo di testo cadere dal nulla come commento al tuo post. Questa è una ricetta per il litigio, e funziona così ogni volta. 

Inoltre, non aiuta che gli incontri e le conferenze scientifiche internazionali siano quasi scomparsi in una situazione che scoraggia gli incontri di persona. Gli incontri online si sono rivelati ore di noia in cui nessuno ascolta nessuno e tutti sono felici quando finisce. Anche se riesci a essere presente a un incontro di persona, non aiuta che il tuo collega ti appaia sotto forma di un contenitore di virus pericolosi, mascherato e da tenere sempre a distanza, se possibile dietro una barriera di plexiglas. Non è il modo migliore per stabilire un rapporto umano.

Questo è un problema fondamentale: se non si può costruire un consenso attraverso un dibattito, l'unica altra possibilità è usare il metodo politico. Significa raggiungere la maggioranza attraverso un voto (e si noti che nella scienza, come nella teologia, il voto non è considerato una tecnica accettabile di costruzione del consenso). Dopo il voto, la parte vincente può imporre la propria posizione alla minoranza usando una combinazione di propaganda, intimidazione e, a volte, forza fisica. Una tecnica estrema di costruzione del consenso è lo sterminio degli avversari. È stato fatto così spesso nella storia che è difficile pensare che non sarà fatto di nuovo su larga scala in futuro, forse nemmeno in uno remoto. Ma, a parte le implicazioni morali, il consenso forzato è costoso, inefficiente e spesso porta a stabilire dogmi. Quindi è impossibile adattarsi ai nuovi dati quando arrivano. 

Allora, dove stiamo andando? Le cose continuano a cambiare continuamente; forse troveremo nuovi modi per ottenere consenso anche online, il che implica, come minimo, non insultare e attaccare il tuo avversario fin dall'inizio. Per quanto riguarda una lingua comune, dopo che siamo passati dal latino all'inglese, potremmo ora passare a "Googlish", una nuova lingua mondiale che potrebbe forse essere strutturata per evitare scontri di assoluti - forse potrebbe essere solo priva di imprecazioni, forse potrebbe avere alcune caratteristiche specifiche che aiutano a creare consenso. Sicuramente serve una riforma della scienza che sbarazzi della corruzione dilagante in molti campi: il denaro è una sorta di consenso, ma non quello che vogliamo.

O, forse, potremmo sviluppare nuovi rituali. I rituali sono sempre stati un mezzo potente per ottenere consensi, basti pensare alla messa cristiana (la chiesa cristiana non si è ancora resa conto di aver ricevuto un colpo mortale dalle regole anti-virus ). I rituali possono essere trasferiti online? O avremmo bisogno di incontrarci di persona nella foresta come le "persone del libro" immaginate da Ray Bradbury nel suo romanzo del 1953 " Fahrenheit 451 "? Non lo possiamo dire. Non ci resta che cavalcare l'onda del cambiamento che, al giorno d'oggi, sembra essere diventata un vero tsunami. Galleggeremo o affonderemo? Chi puo 'dirlo? La riva sembra essere ancora lontana.


h/t Carlo Cuppini e "moresoma"



 

sabato 26 settembre 2015

Gli errori dei "contraristi" climatici

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Un nuovo articolo scopre errori comuni fra il 3% dei lavori scientifici climatici che rifiutano il consenso sul riscaldamento globale. 


Galileo mentre dimostra le sue teorie astronomiche. I "contraristi" (dall'inglese "contrarian") climatici non hanno praticamente niente in comune con Galileo. Foto: Tarker/Tarker/Corbis

Di Dana Nuccitelli

Coloro che rifiutano il 97% del consenso fra gli esperti sul riscaldamento globale antropogenico spesso invocano Galileo come esempio di quando una minoranza scientifica ha rovesciato la visione dominante. In realtà, i "contraristi" climatici (dall'inglese "contrarians") non hanno quasi niente in comune con Galileo, le cui conclusioni erano basate su prove scientifiche empiriche, sostenute da molti contemporanei scientifici e perseguitato dall'establishment politico-religioso. Ciononostante, c'è una debole possibilità che la minoranza del 2-3% abbia ragione e il consenso climatico del 97% torto. Per valutare quella possibilità, un nuovo articolo pubblicato su Journal of Theoretical and Applied Climatology esamina una selezione della ricerca climatica contraristae tenta di riprodurre i loro risultati. L'idea è che la ricerca scientifica veritiera debba essere riproducibile e tramite la riproduzione possiamo anche identificare qualsiasi errore metodologico in quella ricerca. Lo studio cerca anche di rispondere alla domanda perché questi saggi contrari giungono a conclusioni diverse rispetto al 97% della letteratura scientifica climatica?

Questo nuovo studio è stato condotto da Rasmus Benestad, me (Dana Nuccitelli), Stephan Lewandowsky, Katharine Hayhoe, Hans Olav Hygen, Rob van Dorland e John Cook. Benestad (che ha fatto la parte del leone nel lavoro di questo articolo) ha creato uno strumento usando il linguaggio di programmazione R per riprodurre i risultati e i metodi usati in alcuni degli articoli che rifiutano il consenso degli esperti sul riscaldamento cui si fa spesso riferimento. Usando questo strumento, abbiamo scoperto alcune cose in comune fra gli articoli di ricerca contraristi. Il Cherry picking è stata una caratteristica molto comune che hanno condiviso. Abbiamo scoperto che molti articoli contraristi hanno omesso informazioni contestuali importanti o ignorato dati chiave che non si adattavano alle conclusioni della ricerca. Per esempio, nella discussione di un lavoro del 2011 di Humlum et al. nel nostro materiale supplementare osserviamo,
Il cuore dell'analisi portata a termine [Humlum et al.] comportava l'adattamento alla curva basata su wavelet, con una vaga idea che la luna e i cicli solari in qualche modo possano condizionare il clima della Terra. Il problema più grave dell'articolo, tuttavia, era che ha scartato una grande frazione di dati dell'Olocene che non si adattavano alle loro dichiarazioni. 
Quando abbiamo provato a riprodurre il loro modello dell'influenza lunare e solare sul clima, abbiamo scoperto che il modello simulava  i loro dati della temperatura in modo ragionevolmente preciso soltanto per il periodo di 4.000 anni che hanno considerato. Tuttavia, per i dati che valgono per i 6.000 anni precedenti, che hanno buttato via, il loro modello non era in grado di riprodurre i cambiamenti di temperatura. Ma non c'è motivo di fidarsi della previsione di un modello se questo non è in grado di riprodurre con precisione il passato.

Abbiamo scoperto che l'approccio del “adattamento della curva” dell'articolo di Humlum è un altro tema comune della ricerca climatica contrarista. L''adattamento della curva' descrive prendendo alcune variabili diverse, di solito con cicli regolari, allungandole finché la combinazione non combaci con una data curva (in questo caso, quella dei dati della temperatura). E' una pratica di cui parlo nel mio libro e della quale il matematico John von Neumann una volta ha detto,
Con quattro parametri posso misurare un elefante e con cinque posso fargli muovere la proboscide.
La buona modellazione limiterà i valori possibili dei parametri usati, così che questi riflettano la fisica conosciuta, ma un cattivo 'adattamento della curva' non limita sé stesso alle realtà fisiche. Per esempio, discutiamo la ricerca di Nicola Scafetta e Craig Loehle, che spesso pubblicano saggi che cercano di dare la colpa del riscaldamento globale ai cicli orbitali di Giove e Saturno. Questa argomentazione particolare mostra anche una chiara mancanza di fisica plausibile, che è stata un tema comune che abbiamo identificato nella ricerca climatica contraria. In un altro esempio, Ferenc Miskolczi sosteneva, in degli articoli del 2007 e del 2010, che l'effetto serra è diventato saturo, ma come anch'io dico nel mio libro, il mito dell''effetto serra saturato" è stato sfatato all'inizio del XX secolo. Come osserviamo nel materiale supplementare del nostro saggio, Miskolczi ha omesso una parte importante della fisica conosciuta per ridare vita a questo mito secolare. Ciò rappresenta solo una piccola parte dei studi contrari e delle metodologie errate che abbiamo identificato nel nostro saggio.

Abbiamo esaminato 38 articoli in tutto. Come osserviamo, lo stesso approccio di replicazione potrebbe essere applicato agli articoli che sono coerenti col consenso degli esperti sul riscaldamento globale antropogenico e, indubitabilmente, alcuni errori metodologici verrebbero scoperti. Tuttavia, questi tipi di errori erano la norma, non l'eccezione, fra gli articoli contraristi che abbiamo esaminato. Come l'autore principale Rasmus Benestad ha scritto,
abbiamo deliberatamente scelto una selezione mirata per scoprire perché avessero ottenuto risposte così diverse e il modo più facile per farlo era quello di scegliere i lavori contraristi più visibili... La nostra ipotesi era che i saggi contraristi scelti fossero validi ed il nostro approccio era quello di falsificare questa ipotesi ripetendo il lavoro con occhio critico. 
Se potevamo trovare errori o debolezze, allora eravamo in grado di spiegare perché i risultati fossero diversi dal mainstream. Altrimenti, le differenze sarebbero la conseguenza di una vera incertezza.
Dopo tutto ciò, le conclusioni sono state sorprendentemente non sorprendenti per me. La replicazione ha rivelato un'ampia gamma di tipologie di errori, difetti ed imperfezioni che coinvolgevano sia la statistica sia la fisica.  

Potreste aver notato un'altra caratteristica della ricerca climatica contrarista – non c'è una teoria alternativa coesa e coerente al riscaldamento globale antropogenico. Alcuni danno la colpa del riscaldamento globale al sole, altri ai cicli orbitali di altri pianeti, altri ai cicli oceanici e così via. C'è un 97% di consenso degli esperti su una teoria coesa che è sostenuta in modo schiacciante dalle prove scientifiche, ma il 2-3% dei saggi che rifiutano quel consenso sono del tutto sconclusionati, persino in contraddizione fra di loro. La sola cosa che sembrano avere in comune sono gli errori metodologici come il cherry picking, l'adattamento delle curve, l'ignorare dati scomodi e il trascurare la fisica conosciuta. Se mai qualcuno dei bastian contrari fosse un Galileo dei giorni nostri, presenterebbe una teoria supportata dalle prove scientifiche e non una basata su errori metodologici. Una tale solida teoria convincerebbe gli esperti scientifici e comincerebbe a formarsi un consenso. Invece, come mostra il nostro saggio, i contraristi hanno presentato una varietà di alternative contraddittorie basate su errori metodologici, che pertanto non hanno convinto gli esperti scientifici. La teoria del riscaldamento globale antropogenico è la sola eccezione. E' basata su prove scientifiche schiaccianti e coerenti e pertanto ha convinto oltre il 97% degli esperti scientifici che è giusta.