sabato 7 febbraio 2015

Spiegazione dei miti energetici

Da “Our finite world”. Traduzione di MR

Di Gail Tverberg

Repubblicani, Democratici e ambientalisti, tutti hanno i loro miti energetici preferiti. Persino chi crede nel picco del petrolio ha i suoi miti preferiti. Quelle che seguono sono alcune credenze sbagliate provenienti da diverse prospettive energetiche. Comincerò con un mito recente e poi parlerò di quelli che esistono da più tempo.

Mito 1. Il fatto che i produttori di petrolio stiano parlando di volere esportare petrolio greggio significa che gli Stati Uniti hanno più che sufficiente petrolio greggio per il proprio fabbisogno.

La storia vera è che i produttori vogliono vendere il loro petrolio greggio al prezzo più alto possibile. Se hanno una scelta fra raffinerie A, B e C in questo paese a cui vendere il petrolio, la quantità massima che possono ricevere per il loro petrolio è limitata dal prezzo che pagato da queste raffinerie, meno il costo di spedizione del petrolio a queste raffinerie. Se diventa improvvisamente possibile vendere petrolio greggio a raffinerie altrove, emerge la possibilità che sia disponibile un prezzo più alto in un altro paese. Le raffinerie sono ottimizzate per un particolare tipo di greggio. Se, per esempio, le raffinerie in Europa sono a corto di greggio leggero e dolce per tale petrolio dalla Libia è in gran parte ancora indisponibile, una raffineria europea potrebbe essere disposta a pagare un prezzo più alto per il petrolio greggio di Bakken (che a sua volta produce greggio leggero e dolce) che una raffineria in questo paese. Anche coi costi di spedizione, un produttore di petrolio potrebbe essere in grado di fare un profitto maggiore sul suo petrolio venduto fuori dagli Stati Uniti che non su quello venduto all'interno degli Stati uniti.

Gli Stati Uniti hanno consumato 18,9 milioni di barili al giorno di prodotti petroliferi durante il 2013. Per soddisfare il loro fabbisogno di petrolio, gli Stati Uniti hanno importato 6,2 milioni di barili al giorno nel 2013 (compensando i prodotti petroliferi esportati con il petrolio greggio importato). Così, gli Stati Uniti sono, e continueranno probabilmente ad essere, dei grandi importatori di petrolio greggio.

Se la produzione e il consumo rimangono ad un livello costante, aggiungere esportazioni di petrolio greggio richiederebbe a sua volta un'aggiunta di importazioni. Queste importazioni di petrolio greggio potrebbero essere un diverso tipo di petrolio rispetto a quello esportato – molto probabilmente greggio acido e pesante anziché dolce e leggero. O forse le raffinerie statunitensi specializzate in petrolio greggio leggero e dolce saranno costrette ad aumentare il loro prezzo di acquisto perché sia compatibile coi prezzi del petrolio greggio mondiali di quel tipo di prodotto.

La ragione per cui le esportazioni di petrolio greggio hanno senso dal punto di vista di un produttore di petrolio è che questo si muove per fare più soldi esportando il suo greggio verso raffinerie oltreoceano che pagheranno di più. Come questo funzionerà alla fine non è chiaro. Se le raffinerie statunitensi di greggio leggero e dolce vengono costrette ad aumentare i prezzi del petrolio che comprano e il prezzo di vendita dei prodotti petroliferi americani non aumenta per compensare, allora altre raffinerie di greggio leggero e dolce andranno fuori mercato, sistemando un eccesso di offerta di tali raffinatori. O forse i prezzi  dei prodotti finiti statunitensi cresceranno, a riprova del fatto che gli Stati Uniti in passato hanno in qualche misura ricevuto un contratto (collegato al divario fra i prezzi del petrolio Brent europeo e WTI statunitense), relativo ai prezzi mondiali. In questo caso i consumatori statunitensi finiranno per pagare di più.

La sola cosa che è molto chiara il desiderio di spedire petrolio greggio all'estero non riflette troppo il totale di petrolio greggio prodotto negli Stati Uniti. Al massimo, quello che significa è una sovrabbondanza di raffinerie, nel mondo, adatte al greggio leggero e dolce. Questo succede perché negli anni il mix mondiale di petrolio è generalmente passato a tipi di petrolio più pesante ed acido. Forse se c'è più petrolio dalle formazioni di scisto, il mix comincerà a tornare come in origine. Questo è un “se” molto grande, tuttavia. I media tendono a esagerare anche le possibilità di tale estrazione.

Mito 2. L'economia non ha realmente bisogno di tanta energia.

Noi esseri umani abbiamo bisogno di cibo del tipo giusto che ci fornisca l'energia di cui abbiamo bisogno per svolgere le nostre attività. L'economia è molto simile: ha bisogno di energia dei tipi giusti per svolgere le proprie attività.

Un'attività essenziale dell'economia è quella di coltivare e lavorare il cibo. Nei paesi in via di sviluppo, nelle zone calde del mondo, la produzione, immagazzinamento, trasporto e preparazione del cibo conta per la maggior parte dell'attività economica (Pimentel e Pimentel, 2007). Nelle società tradizionali, gran parte dell'energia proviene dal lavoro umano ed animale e dalla combustione di biomasse. Se un paese in via di sviluppo sostituisce i combustibili moderni alle fonti energetiche tradizionali per la produzione e la preparazione del cibo, l'intera natura dell'economia cambia. Possiamo vedere che questa cosa è iniziata ad accadere su base mondiale dai primi anni dell'800, quando energie diverse dall'uso della biomassa si sono diffuse.


Figura 1. Consumo mondiale di energia per fonte, sulla base delle stime di Vaclav Smil da “Transizione energetica: storia, requisiti e prospettive” insieme ai dati statistici della BP sul 1965 e successivi

La Rivoluzione Industriale è cominciata nel tardo 700 in Gran Bretagna. E' stata resa possibile dall'uso del carbone, che ha reso possibile fare metalli, vetro e cemento in quantità molto più grandi che in passato. Senza carbone, la deforestazione sarebbe diventata un problema, soprattutto in prossimità di aree urbane fredde come Londra. Col carbone, è diventato possibile usare i processi industriali che richiedevano calore senza il problema della deforestazione. I processi che usano alti livelli di calore sono anche diventati più economici, perché non era più necessario tagliare alberi, fare carbonella da legna e trasportarla per lunghe distanze (perché i boschi vicini erano già stati esauriti).

La disponibilità di carbone ha permesso che si diffondesse l'uso di nuove tecnologie: Per esempio, secondo Wikipedia, il primo motore a vapore è stato brevettato nel 1608 e il primo motore a vapore commerciale è stato brevettato nel 1712. Nel 1781, James Watt ha inventato una versione migliorata del motore a vapore. Ma per attuare davvero il motore a vapore usando treni di metallo che corrono su binari, serviva il carbone, per rendere relativamente a buon mercato grandi quantità di metallo. Cemento e metallo potevano essere usati per fare moderni impianti idroelettrici, permettendo la produzione in quantità di elettricità. Dispositivi come le lampadine (che usano vetro e metallo) potevano essere costruite in quantità, così come i cavi per trasmettere l'elettricità, permettendo un giorno lavorativo più lungo.

L'uso del carbone ha anche portato a cambiamenti in agricoltura, tagliando le necessità di agricoltori e allevatori. Sono stati costruiti dispositivi come gli aratri d'acciaio, mietitrebbie e ranghinatori, che potevano essere trainati da cavalli, trasferendo il lavoro dagli esseri umani agli animali. La recinzione di filo spinato ha permesso alla parte occidentale degli Stati Uniti di diventare terreno agricolo, piuttosto che un grande spazio non recintato. Con meno persone necessarie in agricoltura, ne sono diventate disponibili di più per il lavoro in città e fabbriche. La nostra economia ora è molto diversa da quella che era introno al 1820, a causa dell'aumento dell'uso di energia. Abbiamo grandi città con cibo e materie prime trasportate da lontano ai centri popolati. I trattamento di acqua e fogne riducono grandemente il rischio di trasmissione di malattie di gente che vive in tale promiscuità. I veicoli alimentati a petrolio o a elettricità eliminano la confusione del trasporto animale. Molte più strade possono essere pavimentate. Se dovessimo provare a lasciare il sistema ad alta energia di oggi e tornare a un sistema che usi biocombustibili (o solo biocombustibili con l'aggiunta di dispositivi che possono essere fatti coi biocombustibili), ciò richiederebbe cambiamenti enormi.

Mito 3. Possiamo facilmente transitare alle rinnovabili.

Nella Figura 1, le sole rinnovabili sono l'idroelettrico e i biocombustibili. Mentre la fornitura energetica è aumentata rapidamente, la popolazione è aumentata altrettanto rapidamente.

Figura 2. Popolazione mondiale, basata sulle  stime di Angus Maddison, interpolate dove necessario.

Quando guardiamo l'uso di energia su base pro capite, il risultato è quello mostrato nella Figura 3, sotto.


Figura 3. Consumo energetico mondiale pro capite, calcolato dividendo il consumo energetico mondiale (sulla base delle stime di Vaclav Smil da Transizioni energetiche: Storia, Requisiti e Prospettive insieme ai dati statistici della BP del 1965 e successivi) per le stime della popolazione, sulla base dei dati di Angus Maddison.

Il livello di consumo energetico del 1820 sarebbe al livello base – Sufficiente solo a coltivare e ad elaborare cibo, calore per le case, produrre vestiti e rifornire industrie molto fondamentali. Sulla base della Figura 3, anche questo ha richiesto un po' più di 20 gigajoules di energia pro capite. Se sommiamo i biocombustibili pro capite e l'idroelettrico sulla Figura 3, daranno come risultato solo 11 gigajoules di energia pro capite. Per tornare al livello del 1820 di consumo pro capite di energia, avremmo bisogno di aggiungere qualcos'altro, come il carbone, o aspettare molto, molto tempo finché (forse) le rinnovabili che comprendono l'idroelettrico possano diffondersi abbastanza.

Se vogliamo parlare di rinnovabili che possano essere fatte senza combustibili fossili, la quantità sarebbe ancora più piccola. Come osservato precedentemente, l'energia idroelettrica moderna è permessa dal carbone, quindi questo lo dovremmo escludere. Dovremmo anche escludere i biocombustibili moderni, come l'etanolo fatto col mais e il biodiesel fatto coi semi di colza, perché sono in gran parte permessi dall'agricoltura e dai mezzi di trasporto di oggi e indirettamente dalla nostra capacità di fare metalli in quantità. Ho incluso eolico e solare nella categoria dei “Biocombustibili” per convenienza. Sono anche così pochi in quantità che non sarebbero visibili come una categoria separata, essendo l'eolico solo l'1,0% della fornitura energetica mondiale nel 2012 e il solare lo 0,2%, secondo i dati BP. Dovremmo escludere anche loro, perché richiedono a loro volta combustibili fossili per essere prodotti e trasportati.

In totale, la categoria dei biocombustibili senza tutte queste aggiunte moderne potrebbe essere vicino alla quantità disponibile nel 1820. La popolazione ora è circa sette volte più grande, il che suggerisce che solo un settimo di energia pro capite. Naturalmente, nel 1820 la quantità di legna usata ha portato ad una deforestazione significativa, quindi anche questo livello di uso del biocombustibile non era l'ideale. E ci sarebbe il dettaglio aggiuntivo del trasporto della legna ai mercati. Nel 1820, avevamo i cavalli per il trasporto, ma non avremmo abbastanza cavalli per questo scopo oggi.

Mito 4. La popolazione non è collegata alla disponibilità di energia.

Se confrontiamo le Figure 2 e 3, vediamo che l'ondata della popolazione che ha avuto luogo immediatamente dopo la Seconda Guerra Mondiale ha coinciso col periodo in cui l'uso di energia pro capite si stava espandendo rapidamente. L'aumento dell'abbondanza degli anni 50 (alimentata dai bassi prezzi del petrolio e dall'aumento della capacità di acquistare beni usando petrolio) ha permesso ai genitori di avere più figli. Migliori condizioni igieniche e innovazioni come gli antibiotici (resi possibili dai combustibili fossili) hanno a loro volta permesso a un numero maggiore di questi bambini di raggiungere la maturità.

Inoltre, alla Rivoluzione Verde, che ha avuto luogo durante questo periodo, viene riconosciuto di aver salvato miliardi di persone dalla fame. Ha diffuso l'uso dell'irrigazione, dei fertilizzanti sintetici e dei pesticidi, dei semi ibridi e lo sviluppo di sementi ad alto rendimento. Tutte queste tecniche sono state permesse dalla disponibilità di petrolio. Un uso maggiore di attrezzature agricole, che permettono che i semi vengano seminati più vicini fra loro, ha a sua volta aiutato ad aumentare la produzione. In quel periodo, l'elettricità ha raggiunto le comunità agricole, permettendo l'uso di attrezzature come le mungitrici automatiche. Se diamo uno sguardo più lungo alla situazione, scopriamo che è avvenuta una “curva” nella popolazione mondiale più o meno ai tempi della Rivoluzione Industriale e della diffusione dell'uso del carbone (Figura 4).


Figura 4. Popolazione mondiale sulla base dei dati dal “Atlante della storia del mondo”, McEvedy e Jones, Penguin Reference Books, 1978 e di Wikipedia-Popolazione mondiale.

Inoltre, se guardiamo i paesi che hanno avuto grandi diminuzioni nel consumo di energia, tendiamo a vedere il declino della popolazione. Per esempio, a seguito del collasso dell'Unione Sovietica, ci sono state diminuzioni nel consumo di energia in diversi paesi la cui energia è stata colpita (Figura 5).


Figura 6. Popolazione come percentuale come percentuale della popolazione del 1985, per paesi selezionati, sulla base dei dati EIA.  

Mito 5. E' facile sostituire un tipo di energia con un'altra.

Ogni passaggio da un tipo di energia ad un altro è probabile che sia lento e costoso, sembre che possa riuscire. Un grande problema è il fatto che diversi tipi di energia hanno usi molto diversi. Quando la produzione di petrolio si è diffusa, durante e a seguito della Seconda Guerra Mondiale, ha aggiunto nuove capacità, in confronto al carbone. Col solo carbone (e l'idroelettrico, permesso dal carbone), potevamo avere auto alimentate a batteria, con una portata limitata. Oppure auto alimentate ad etanolo, ma l'etanolo richiedeva una quantità enorme di terreno per coltivare le colture necessarie. Potevamo avere treni, ma questi non andavano da una porta all'altra. Con la disponibilità di petrolio, siamo stati capaci di avere un veicolo per il trasporto personale che andava di porta in porta e camion che consegnavano beni da dove venivano prodotti al consumatore, o in qualsiasi altro luogo desiderato.

Siamo stati anche in grado di costruire aerei. Con gli aerei, siamo stati in grado di vincere la seconda Guerra Mondiale. Gli aerei hanno anche reso possibili gli affari internazionali su scala molto maggiore, perché è diventato possibile, per i dirigenti, visitare le operazioni all'estero in un lasso di tempo relativamente breve e perché è stato possibile portare lavoratori da un paese all'altro per la formazione, se necessario. Senza il trasporto aereo, è dubitabile che l'attuale numero di attuali affari integrati a livello internazionale possano essere mantenuti.

Il passare del tempo non cambia le differenze intrinseche fra diversi tipi di combustibili. Il petrolio è ancora il combustibile preferito per il viaggio a lunga distanza, perché (a) è energia densa, quindi sta in un serbatoio relativamente piccolo, (b) è un liquido, quindi è facile da distribuire alle stazioni di servizio e (c) ora siamo impostati per l'uso di combustibile liquido, con un numero enorme di auto e camion sulla strada che usano petrolio e stazioni di servizio che servono i loro veicoli. Inoltre, il petrolio funziona molto meglio dell'elettricità per il trasporto aereo.

Passare all'elettricità per il trasporto è probabile che sia un processo lento e costoso. Un punto importante è che il costo dei veicoli elettrici deve essere abbassato fino a che i compratori se li possano permettere, se non vogliamo che il passaggio abbia un effetto fortemente avverso sull'economia. E' osì perché i salari non cresceranno per permettere di pagare auto care e il governo non può permettersi grandi sussidi per tutti. Un altro problema è che la gamma di veicoli elettrici dev'essere aumentata, se i proprietari di veicoli devono essere in grado di continuare ad usare i loro veicoli per la guida a lunga distanza. A prescindere dal tipo di passaggio che viene fatto, questo passaggio necessita di essere attuato lentamente, in un periodo di 25 anni o più, cosicché i compratori non perdano il valore di scambio dei loro veicoli alimentati a petrolio. Se il passaggio viene fatto troppo rapidamente, i cittadini perderebbero il loro valore di scambio delle loro auto alimentate a petrolio e a causa di questo non sarebbero in grado di permettersi i nuovi veicoli.

Se un passaggio a veicoli da trasporto elettrici deve essere fatto, anche molti veicoli, oltre alle auto, dovranno essere fatti elettrici. Ciò includerebbe i camion a lunga percorrenza, gli autobus, gli aerei, i macchinari da costruzione e quelli agricoli, tutti dovrebbero essere fatti elettrici. Il costo dovrebbe essere abbassato e le apparecchiature di ricarica necessarie dovrebbero essere installate, aggiungendosi ulteriormente alla lentezza del processo di trasformazione. Un altro problema è che anche a prescindere dagli usi energetici, il petrolio viene usato in molte applicazioni come materia prima. Per esempio, viene usato per fare erbicidi e pesticidi, strade asfaltate e scandole per i tetti, medicine, cosmetici, materiali da costruzione, tinte e aromatizzanti. Non c'è alcuna possibilità che l'elettricità possa essere adattata a questi usi. Forse il carbone potrebbe essere adattato a questi usi, perché è a sua volta un combustibile fossile.

Mito 6. Il petrolio “finirà” perché è limitato in quantità e non rinnovabile.

Questo mito in realtà è più vicino degli altri alla realtà. La situazione è un po' diversa dal “finire”, tuttavia. La situazione reale è che i limiti del petrolio è probabile che distruggano l'economia in diversi modi Questa distruzione economica è probabile che sia la cosa che porta ad un improvviso crollo della fornitura di petrolio. Una possibilità probabile è che una mancanza di disponibilità di debito e i salari bassi impediranno ai prezzi del petrolio di salire al livello di cui hanno bisogno i produttori per la sua estrazione. In questo scenario, i produttori di petrolio avranno poco interesse ad investire in nuova produzione. Ci sono prove del fatto che questo scenario stia già cominciando a verificarsi. C'è un'altra versione di questo mito che è ancora più sbagliata. Secondo questo mito, la situazione della disponibilità di petrolio (e della disponibilità di altri tipi di combustibili fossili) è come segue:

Mito 7. La disponibilità di petrolio (e la disponibilità di altri combustibili fossili) comincerà ad esaurirsi quando la disponibilità è esaurita per il 50%. Possiamo pertanto aspettarci un declino lungo e lento dell'uso dei combustibili fossili. 

Questo è il mito preferito di chi crede al picco del petrolio. Indirettamente, convinzioni simili sono alla base dei modelli del cambiamento climatico. Ciò si basa su ciò che io credo sia una, lettura sbagliata degli scritti di Marion King Hubbert. Hubbert era un geologo e un fisico che ha previsto un declino della produzione del petrolio statunitense e, alla fine, di quella mondiale, in vari documenti, compresi energia nucleare e combustibili fossili, nel 1956. Hubbert ha osservato che in certe circostanze, la produzione di vari combustibili fossili tende a seguire una curva piuttosto simmetrica.


Figura 7. Immagine del 1956 di Marion King Hubbert della previsione della produzione di petrolio greggio mondiale, assumendo una quantità di petrolio recuperabile finale di 1.250 miliardi di barili. 

Una ragione importante per cui questo tipo di previsione è sbagliata è perché è basata su uno scenario in cui qualche altro tipo di fornitura energetica è in grado di diffondersi prima che la disponibilità di petrolio cominci a declinare.

Figura 8. Figura dal saggio di Hubbert del 1956 Energia nucleare e combustibili fossili.

Con questa diffusione di fornitura energetica, l'economia può continuare come in passato senza grandi problemi finanziari che emergono in relazione alla ridotta disponibilità di petrolio. Senza una diffusione di una disponibilità energetica di qualche altro tipo, ci sarebbe un problema troppo elevato di popolazione in relazione al declino della disponibilità di energia. La disponibilità di energia pro capite diminuirebbe rapidamente, rendendo sempre più difficile produrre beni e servizi a sufficienza. In particolare, mantenere i servizi di governo è probabile che diventi un problema. Le tasse necessarie è probabile che aumentino troppo in relazione a ciò che i cittadini si possono permettere, portando grandi problemi, persino il collasso, sulla base delle ricerche di Turchin e Nefedov (2009).

Mito 8. L'energia rinnovabile è disponibile in quantità essenzialmente illimitate.

Il problema con tutti i tipi di fornitura energetica, dai combustibili fossili al nucleare (basato sull'uranio), al geotermico, all'idroelettrico all'eolico e al solare, sono i ritorni decrescenti. A un certo punto, il costo della produzione di energia diventa meno efficiente e a causa di ciò il costo di produzione comincia ad aumentare. E' il fatto che i salari non aumentano che per compensare questi costi più alti, e che i sostituti più economici non diventano disponibili, che causa problemi finanziari per il sistema economico. Nel caso del petrolio, l'aumento dei costi di estrazione arriva perché il petrolio economico da estrarre viene estratto prima, lasciando solo il petrolio costoso da estrarre. E' questo il problema che stiamo sperimentando di recente. Problemi simili sorgono col gas naturale e col carbone, ma il rialzo netto dei costi potrebbe arrivare più tardi perché sono disponibili in qualche modo in quantità maggiori rispetto alla domanda.

L'uranio ed altri metalli hanno lo stesso problema coi ritorni decrescenti, in quanto le porzioni più economiche da estrarre vengono estratte prima e alla fine dobbiamo passare ai minerali di densità inferiore. Parte del problema con le cosiddette rinnovabili è che sono fatte di minerali e questi minerali sono soggetti agli stessi problemi di esaurimento degli altri. Ciò potrebbe non essere un problema se i minerali sono molto abbondanti, come ferro ed alluminio. Ma se i minerali hanno una disponibilità inferiore, come le terre rare e il litio, l'esaurimento potrebbe portare all'aumento dei costi di estrazione e infine a costi più alti dei dispositivi che usano quei minerali.

Un altro problema è la scelta dei siti. Quando gli impianti idroelettrici vengono costruiti, i luoghi migliori tendono ad essere scelti per primi. Gradualmente, vengono aggiunti i luoghi meno adatti. Lo stesso vale per le pale eoliche. Le pale eoliche offshore tendono ad essere più costose di quelle a terra. Se i luoghi sulla terraferma, vicini ai centri popolati, fossero stati disponibili in abbondanza per la recente costruzione europea, sembra probabile che questi sarebbero stati usati al posto delle pale offshore.

Quando si tratta di legna, l'uso eccessivo e la deforestazione è stato un problema costante nei secoli. Quando la popolazione cresce e altre risorse energetiche diventano meno disponibili, è probabile che la situazione diventi anche peggiore. Infine, le rinnovabili, anche se usano meno petrolio, tendono tuttavia ad essere dipendenti dal petrolio. Il petrolio è importante per far funzionare le attrezzature di estrazione e per trasportare i dispositivi dal luogo in cui vengono costruiti al luogo dove devono essere messi in servizio. Vengono usati elicotteri (che richiedono petrolio) per la manutenzione delle pale eoliche, specialmente offshore, e per la manutenzione delle linee di trasmissione dell'elettricità. Anche se le riparazione possono essere fatte coi camion, per far funzionare quei camion serve in genere petrolio. La manutenzione delle strade richiede a sua volta petrolio. Persini trasportare legna sul mercato richiede petrolio.

Se ci fosse una vera carenza di petrolio, ci sarebbe un enorme crollo della produzione di rinnovabili e la manutenzione delle rinnovabili esistenti diventerebbe più difficile. I pannelli solari che vengono usati fuori dalla rete elettrica potrebbero durare più a lungo, ma le batterie, gli inverter, le linee di trasmissione dell'elettricità a lunga distanza e molte altre cose che ora diamo per scontate è probabile che scompaiano. Quindi, le rinnovabili non sono disponibili in quantità illimitata. Se la disponibilità di petrolio viene gravemente limitata, potremmo persino scoprire che molte rinnovabili esistenti non durano nemmeno troppo a lungo.



venerdì 6 febbraio 2015

Le piramidi di Seneca: quanto rapidamente è caduta la civiltà Maya?

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




Il ciclo di costruzione dei monumenti della civiltà Maya. Da “Sylvanus G. Morley e George W. Brainerd, Gli Antichi Maya, Terza edizione  (Stanford University Press, 1956), pagina 66”. Per gentile concessione di Diego Mantilla.

Una volta dato un nome ad un fenomeno, si può concentrare l'attenzione ed imparare sempre di più su di esso. Così, l'idea del “dirupo di Seneca” risulta essere un'idea feconda. Ci racconta che, in diversi casi, il ciclo di sfruttamento delle risorse naturali segue una curva inclinata in avanti, in cui il declino è molto più rapido della crescita. Questo è coerente con ciò che ha scritto il filosofo Romano Lucio Anneo Seneca: “la crescita procede lentamente, ma la strada per la rovina è rapida”. Con qualche trucco matematico, il risultato è la curva seguente:


Questa curva descrive il comportamento di diversi sistemi complessi, comprese intere civiltà che hanno vissuto un collasso improvviso dopo un lungo periodo di crescita relativamente lenta. Nel mio primo post sul dirupo di Seneca, ho già parlato del collasso della civiltà Maya.  (*)


Qui potete osservare il comportamento Seneca, anche se i dati della densità di popolazione Maya sembrano essere piuttosto qualitativi ed incerti. Tuttavia, i dati che ho ricevuto recentemente da Diego Mantilla (vedete all'inizio del post) sono chiari: se si prende la costruzione di monumenti come riferimento della ricchezza della civiltà Maya, allora il collasso è stato improvviso, certamente più rapido della crescita.

Qualcosa di simile si può dire degli antichi Egizi, anche se i dati della costruzione di piramidi sono più rarefatti ed incerti di quelli sui Maya. Alla fine anche l'Impero Romano sembra essere collassato più rapidamente di quanto sia cresciuto.

I Maya quindi non hanno fatto meglio di altre civiltà della storia umana. Come hanno fatto anche le altre civiltà, si sono mossi verso la propria morte trascinando i piedi, cercando di evitare l'inevitabile. Non ci sono riusciti e non si sono resi conto che opporsi al collasso in questo modo è un classico esempio di come “spingere le leve dalla parte sbagliata”. Ciò può soltanto posticipare il collasso, ma alla fine lo rende più rapido.

Noi faremo meglio dei Maya? Si spera di sì, ma...

(*) Dunning, N., D. Rue, T. Beach, A. Covich, A. Traverse, 1998, "Interazioni Umano-Ambiente in un Bacino Idrografico: la Paleoecologia della Laguna Tamarindito, Guatemala”, Rivista di Archologia Applicata 25 (1998):139-151.




giovedì 5 febbraio 2015

Presentazione di "Extracted" oggi a Firenze


Oggi pomeriggio, alle 16:30; presentazione di "Extracted", il libro di Ugo Bardi, a Firenze. Aula Magna di Piazza San Marco. Parlerà per primo il segretario generale del Club di Roma, Graeme Maxton, poi altri, incluso l'autore.

 In attesa dell'evento, vi passo qualche immagine della "Cena dei Catastrofisti" (o, se preferite, la "Cena delle Cassandre) con il segretario Maxton e alcuni seguaci del blog "Effetto Risorse", ieri sera al Mercato Centrale. (Graeme è quello con la sciarpa, nelle prime due foto)








mercoledì 4 febbraio 2015

Il collasso dell'industria del petrolio di scisto statunitense

Da “RENew Economy”. Traduzione di MR (h/t Antonio Turiel)

Di Giles Parkinson

Da quando il collasso dei prezzi del petrolio è iniziato a metà dello scorso anno, tutti gli occhi sono stati puntati a come avrebbe risposto l'industria petrolifera. Di già, circa 200 miliardi in progetti sono stati o tagliati drasticamente o differiti, in gran parte perché non possono competere coi costi.

L'industria statunitense del petrolio di scisto è a sua volta sofferente. Questo grafico sotto dell'analista dell'industria Baker Hughes mostra il crollo drammatico del numero di piattaforme in funzione nell'industria dello scisto.



In soli tre mesi, il numero di piattaforme è crollato del 24%, o 389 dal massimo storico di 1609 registrato la settimana del 10 ottobre dello scorso anno. Come osserva Mark Lewis, della società di indagine con sede a Parigi Kepler Chevreux: “In tutti i dati storici di Baker Hughes che risalgono fino al luglio del 1987, non ci sono precedenti in quanto a un crollo di questa velocità e gravità”.
Dunque, cosa significa questo?

Lewis osserva che il numero di piattaforma statunitensi è un indicatore importante dell'offerta statunitense (più piattaforme ci sono, più offerta ci sarà). Per questa ragione, probabilmente al momento è il singolo indicatore più considerato nei mercati mondiali del petrolio, in quanto offre la migliore guida a quello che succederà all'offerta di petrolio di scisto statunitense nei prossimi mesi.

Ciò è importante perché è l'industria statunitense dello scisto che è stata il motore fondamentale dell'offerta globale di greggio negli ultimi 5 anni e senza l'enorme aumento del petrolio di scisto dal 2009, la produzione globale di petrolio greggio sarebbe del 2014 in realtà stata inferiore rispetto a quella del 2005. Questa è la stessa offerta che i sauditi e gli altri membri dell'OPEC hanno preso di mira.

Ciò che suggerisce il crollo improvviso del numero di piattaforme, dice Lewis, è che il mercato sta cominciando a rivalutare il modello del petrolio di scisto, deriso da alcuni come una specie di schema Ponzi a causa della sua dipendenza dal riciclaggio di capitale e da nuove trivellazioni per sostituire i pozzi che si esauriscono entro un anno o due.

Il significato di questo è che le previsioni della bolla dello scisto ora potrebbero avverarsi. Come ha scritto nella sua analisi “Drill, Baby, Drill” David Hughes del Post Carbon Institute, ci sono sempre stati dubbi su quanto sarebbe stata sostenibile la rivoluzione dello scisto.

“Primo, i pozzi di gas e petrolio di scisto hanno dimostrato di esaurirsi rapidamente, i giacimenti migliori sono già stati sfruttati e non si ipotizza nessuna scoperta di grandi giacimenti”, ha scritto nel 2013.

“Così, con una produttività media per pozzo in declino e sempre più pozzi (e giacimenti) necessari semplicemente a mantenere la produzione, un “tapis roulant di esplorazioni” limita il potenziale a lungo termine delle risorse di scisto”.

Hughes ha osservato questo dalla fine del 2011, i giacimenti migliori erano già in declino. Dal 2012, il tasso di declino molto alto dei pozzi di gas di scisto richiede 42 miliardi di dollari statunitense all'anno per trivellare più di 7.000 pozzi – solo per mantenere la produzione.

Il collasso del prezzo del petrolio sembra aver portato una fine prematura ma del tutto logica al boom.
Come ha osservato Hughes allora: “Bene che vada, il gas di scisto, il tight oil ed altre risorse non convenzionali forniscono una tregua temporanea dal dover affrontare i problemi reali: i combustibili fossili sono finiti (limitati, ndr) e la produzione di nuove risorse fossili tende ad essere sempre più costosa e ambientalmente dannosa.

“I combustibili fossili sono il fondamento della economia moderna globale, ma la continua dipendenza da essi crea rischi maggiori per la società che trascendono le nostre sfide economiche, ambientali e geopolitiche. Le migliori risposte a questo a questo enigma comporteranno un ripensamento della nostra attuale traiettoria energetica”.

martedì 3 febbraio 2015

Ron Patterson: il picco del petrolio è arrivato

DaPeak Oil Barrell”. Traduzione di MR (rev. Luca Pardi)

Di Ron Patterson

In questa vita non c'è niente di certo. Pertanto non sto dichiarando che siamo al picco del petrolio in modo assoluto, ma solo che si tratta di una quasi certezza. Sto mettendo la mia reputazione in gioco facendo l'affermazione che il periodo settembre 2014 – agosto 2015 sarà l'anno del picco del petrolio. Sotto trovate le ragioni di quest'affermazione.

Per prima cosa, il picco del petrolio non è una teoria. L'affermazione secondo la quale il picco del petrolio è una teoria è del tutto assurda. Gli idrocarburi fossili sono stati creati dai corpi di alghe sepolte milioni di anni fa e sono presenti in quantità limitata. E finché continuiamo ad estrarli a milioni di barili al giorno, è solo buon senso affermare che un giorno raggiungeremo il punto in cui la loro estrazione comincerà a declinare. Di fatto molti paesi in cui viene estratto il petrolio sono già in declino. Quindi, ovviamente, se i singoli paesi possono sperimentare il picco del petrolio, allora il mondo nel suo complesso può a sua volta sperimentarlo.

Tutti i grafici sotto sono in migliaia di barili al giorno di Greggio + Condensato con gli ultimi dati aggiornati a settembre 2014.


Per prima cosa voglio affrontare la porzione del mondo che ha raggiunto il picco del petrolio circa quattro anni fa, nel gennaio 2011. Cioè ovunque tranne Stati Uniti e Canada. Non sto dicendo che ogni altro paese al di fuori di Stati Uniti e Canada abbiano raggiunto il picco del petrolio, ma che nel complesso lo hanno raggiunto. Il mondo al di fuori di Stati Uniti e Canada è rimasto ormai per diversi anni su un plateau accidentato ed ora, anche con l'aumento di settembre 2014, è ancora di 1.670.000 barili al di sotto del picco di gennaio 2011. Tuttavia solo pochi paesi sono responsabili di questo plateau. Il plateau accidentato è in realtà iniziato nel 2005 col picco in luglio. Da allora, al di fuori di Stati Uniti e Canada, ci sono stati 15 paesi con aumenti di produzione e 21 paesi con declini di produzione. Ecco una panoramica dei 15 vincitori al di fuori di Stati Uniti e Canada.



Affrontiamo i vincitori uno alla volta:

Iraq: La EIA ha dati solo fino a settembre , ma l'Iraq ha in realtà aumentato la produzione di circa 300.000 barili al giorno fino a dicembre, ma si dice che sia leggermente in diminuzione a gennaio. Ciò mette l'Iraq in attivo di circa 1,5 milioni di barili al giorno da quando hanno cominciato il loro programma di trivellazione a riempimento (si tratta di una tecnica di recupero avanzato) nel 2009. L'Iraq ha ancora un po' di potenziale di crescita, ma il suo rischio di diminuzione ora è anche maggiore.

Russia: La Russia ha raggiunto il picco, anche secondo gli analisti russi. Declinerà solo leggermente nel 2015 ma il suo declino accelererà in seguito.

Brasile: Il Brasile ha un po' di potenziale di crescita e molto potenziale di declino. Le finanze di Petrobras sono un gran casino. Moody's l'ha declassata a Baa3, appena sopra lo stato di 'spazzatura' e presto ci si attende un ulteriore declassamento. Aumentare molto di più la loro produzione 'pre-salt' richiederà molti più prestiti in denaro. Cosa che non è molto probabile.

Qatar: La EIA dice che la produzione C+C è aumentata di 598.000 barili al giorno fra il luglio 2005 a il settembre 2014. Il Rapporto Mensile sul Mercato del Petrolio dell'OPEC dice che la loro produzione di greggio è declinata di 78.000 barili al giorno durante quel lasso di tempo. Il grafico sopra è stato fatto coi dati EIA che conteggiano il condensato come petrolio. Il rapporto dell'OPEC solo il greggio. Nel grafico sotto i dati EIA sono fino a settembre, quelli dell'OPEC fino a dicembre 2014.



La EIA dice che il Qatar ha aumentato la produzione di condensato dai sui enormi giacimenti di gas. La produzione di petrolio greggio del Qatar è in declino dal 2008. Il greggio del Qatar continuerà a declinare ed è probabile che anche il loro condensato raggiunga il picco.

Angola: L'Angola ha raggiunto il picco nel 2009 e 2010 ed ora è in declino. Tuttavia, parte del declino è causato da problemi politici. E' probabile che quei problemi peggiorino.

Colombia: La produzione della Colombia è raddoppiata negli ultimi 8 anni ma ha raggiunto il suo picco nel 2013 e si è mantenuta quasi piatta negli ultimi due anni. La Colombia ha raggiunto il picco e declinerà, anche se il declino sarà probabilmente molto lento. Ho incluso la Colombia nel grafico sotto che mostra quattro paesi che hanno di recente raggiunto il picco.

Kazakistan: Il Kazakistan è al picco dei suoi giacimenti attualmente in produzione. E probabile che la produzione diminuirà finché non entra in produzione Kashagan, circa nel 2017. Questo giacimento che un tempo prometteva di produrre oltre un milione di barili al giorno ora si pensa che produrrà a malapena 300.000 barili al giorno... se entrerà mai in produzione. Ma non ci si attende niente di spettacolare dal Kazakistan, specialmente in considerazione del fatto che ci si aspetta che i suoi vecchi giacimenti comincino a declinare presto.

Cina: La Cina ha raggiunto il picco nel 2010 e si è mantenuta stabile da allora. Mi aspetto che la Cina cominci a declinare presto.

Azerbaijan: L'Azerbaijan ha raggiunto il picco nel 2010 e da allora è stato in declino costante.

Emirati Arabi Uniti, Oman e Kuwait: Tutti e tre questi paesi del Medio oriente hanno implementato massicci programmi di trivellazione a riempimento nell'ultimo decennio, più o meno. Ma tutti e tre ora hanno raggiunto il picco. Queste tre nazioni, insieme alla Colombia, mostrano un bell'aumento di produzione poi un picco di arrotondamento al vertice.



Questi quattro paesi sono responsabili di 1,5 milioni di barili al giorno dell'aumento dal 2005. Tutti e quattro ora hanno raggiunto il picco, o perlomeno vi si trovano molto vicini.

Arabia Saudita: L'Arabia Saudita ha portato il suo ultimo giacimento non sfruttato in produzione, Manifa. Ora non ne hanno più. I sauditi stanno producendo a pieno regime. Potrebbero, con grande sforzo, produrre qualche barile in più al giorno, ma fondamentalmente sono al picco proprio in questo momento.

E guardate i 21 perdenti.


Ho cambiato i numeri negativi in numeri assoluti per renderne più facile la lettura. Ma fondamentalmente, queste sono le nazioni che hanno raggiunto il picco e sono in declino. Un paio, Iran e Libia, a causa di problemi politici, hanno declinato molto di più di quanto avrebbero fatto senza quei conflitti. Tuttavia è improbabile per entrambi che recuperino presto. Siria e Sudan, compreso il sud del Sudan, e Yemen sono altri paesi che non recupereranno in questo decennio, o molto dopo che saremo nella fase di discesa del picco del petrolio.

Ciò porta a Stati Uniti e Canada.


Stati Uniti e Canada sono responsabili di circa il 120% dell'aumento della produzione mondiale dal 2005, anche se hanno iniziato la loro grande ascesa solo nel 2009. L'aumento di oltre 400.000 b/g del Canada a settembre è responsabile dell'ultimi picco di crescita. Ma questa cosa può andare avanti?
In una parola...no. L'aumento è stato quasi tutto in LTO (Light Tight Oil) e sabbie bituminose. Ed ora il calo dei prezzi li sta uccidendo entrambi. Se i prezzi rimangono bassi sia Canada che Stati Uniti cominceranno a declinare nella seconda metà di quest'anno. Ma anche se i prezzi tornassero entro una forbice di 70-80 dollari (è improbabile che crescano più di così), la loro produzione non crescerà comunque abbastanza velocemente da compensare il declino del resto del mondo.

Ma che ne è di quelle enormi riserve ancora sottoterra? Molti dicono che non abbiamo ancora prodotto le Ultime Riserve Recuperabili (URR) e finché non siamo almeno a metà strada, non possiamo trovarci al picco del petrolio. Be', ci sono alcuni problemi molto seri in questa logica. Primo, cosa si intende con la parola “recuperabile”? E a quale prezzo? Guardiamo un grafico molto importante.

I punti dei dati sul grafico sotto rappresentano la media da gennaio a novembre.


Qui c'è un grafico dei prezzi storici del petrolio greggio. Il prezzo medio, la linea blu, è il prezzo medio del petrolio di quell'anno. La linea arancione è il prezzo medio dal 1946 ad ogni punto della linea. Per esempio il prezzo medio del petrolio dei 34 anni dal 1947 al 1973 è stato di 23,68 dollari. E questo in dollari di oggi. Dal 1946 al 1973 le società petrolifere ricevevano una media di 23,68 dollari al barile per il loro petrolio e facevano montagne di soldi con quel prezzo. Oggi, il prezzo è più del doppio di quello e molte di loro stanno perdendo montagne di soldi.

Torniamo quindi alle riserve. Le riserve prodotte nel 1973 e negli anni precedenti erano molto redditizie a meno di 24 dollari al barile. Poi si è scatenato l'inferno in Medio oriente e i prezzi sono schizzati alle stelle. Quindi nella successiva dozzina di anni le società petrolifere hanno fatto profitti eccezionali. Ma nel 1986 i prezzi sono tornati alla norma. Fra il 1986 e il 2002 o prezzi del petrolio hanno avuto una media di 30,42 dollari al barile. (Non mostrati nel grafico). Anche a quel prezzo, le società petrolifere facevano ancora enormi profitti. Ma oggi stanno perdendo soldi a 50 dollari al barile.

Il problema sono quelle “riserve”. Le riserve di oggi semplicemente non sono le stesse di quelle di prima. Tutta la roba buona ed economica è già stata risucchiata. Ora non ci resta che raschiare il fondo del barile. Tutto il petrolio nuovo di oggi è difficile da trovare, si esaurisce molto prima e costa molte volte di più da produrre. Non è rimasto niente della roba economica, eccetto per qualche vecchio super giacimento nel quale si sta praticando la trivellazione a riempimento come se non ci fosse un domani.

Ancora una volta, ci troviamo al picco del petrolio proprio in questo momento. Il picco si svilupperà nella linea temporale dal 2014 al 2015. Il 2016 sarà il primo anno di calendario pienamente post picco. Non importa realmente quanti barili di petrolio rimangano nel sottosuolo. Il punto è che non lo estrarremo mai dal sottosuolo allo stesso ritmo al quale lo estraiamo ora.



lunedì 2 febbraio 2015

Uno scontro di epistemologie: perché il dibattito sul cambiamento non sta andando da nessuna parte

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi



(Da Wikipedia)  Epistemologia (ἐπιστήμη, episteme-conoscenza, comprensione; λόγος, logos-studio di) è la branca della filosofia che si occupa della natura e dello scopo della conoscenza [1] [2] e viene anche chiamata “teoria della conoscenza”. Messa in modo conciso, è lo studio della conoscenza e della credenza giustificata. Si domanda che cos'è la conoscenza e come possa essere acquisita e la misura in cui la conoscenza pertinente ad ogni dato soggetto o entità possa essere acquisita. (fonte dell'immagine)


Qualche settimana fa, qualcuno è atterrato pesantemente nella sezione dei commenti di un post sul cambiamento climatico sul blog della Società Chimica Italiana (SCI) con una serie di attacchi contro la scienza e gli scienziati del clima. Lo scontro seguente è stato tutto in lingua italiana ma, se seguite il dibattito sul clima, sapete molto bene come vanno queste cose. Il nuovo arrivato ha monopolizzato la discussione ripetendo le solite leggende: il clima è sempre cambiato, non c'è stato aumento di temperatura negli ultimi 15 anni, non c'è prova dell'effetto umano sul clima e così via. E potete immaginare come gli scienziati che seguono il blog abbiano reagito. La discussione è rapidamente degenerata in insulti assortiti e diffamazioni personali, finché il moderatore non ha chiuso i commenti. Ma è stato troppo tardi: il negazionista della scienza del clima è risultato il vincitore; mentre gli scienziati sono riusciti a dare l'impressione di avere una mentalità ristretta e di essere settari.

E' stato un classico caso di trolling climatico, ma con una differenza. Stavolta, il troll non ha cercato di nascondere la sua identità (come fanno di solito). Si è invece presentato con un nome, un indirizzo e un CV. Era il signor Rinaldo Sorgenti , vice presidente dell'Associazione degli Industriali del Carbone (“Assocarboni”). Questo fatto ci da la possibilità di capire cosa dia origine al tipo di comportamento che definiamo “trolling”. Naturalmente, non posso entrare nella mente del signor Sorgenti, ma sono disposto a scommettere che NON sia un disinformatore pagato – accusa che ha ricevuto nel dibattito. In altre parole, non nega la scienza del clima perché è sul libro paga di Assocarboni (in realtà, sostiene di non prendere soldi per la sua posizione di vice presidente, ma immagino che ne ricavi almeno qualche vantaggio). Direi anche che non è vero nemmeno l'opposto: il signor Sorgenti non è il vice presidente di Assocarboni perché è un negazionista della scienza del clima. No, scommetterei che negare la scienza del clima ed essere impegnato nell'industria del carbone siano due elementi non separati e non separabili della visione del mondo del signor Sorgenti. E questa visione del mondo ha poco o niente a che fare con ciò che chiamiamo scienza. Il signor Sorgenti non è uno scienziato, non sa come funzioni il metodo scientifico o, se lo sa, non crede che funzioni o che sia in qualche modo utile. Usa il metodo di dibattito usato comunemente nel dibattito politico, un metodo di discussione che chiamiamo “retorica”.

Il caso di Sorgenti non è isolato. In diversi anni di dibattito (sempre che lo possiamo chiamare in questo modo), sono venuto in contatto con diverse persone che possono essere definite “troll” o “negazionisti”. La maggior parte di loro (compreso Sorgenti) crede (penso sinceramente) che si possano usare i metodi del dibattito politico per arrivare ad una conclusione su un campo scientifico difficile e complesso come la scienza del clima e si offendono se vengono bruscamente liquidati dagli scienziati. Gli scienziati sanno quanto lavoro e studio è necessario per capire la scienza del clima e si offendono per ciò che vedono come superficialità ed approssimazione nel dibattito. Il risultato è il tipo di scontro che abbiamo visto nel blog della SCI. E' stato, se volete, uno scontro di epistemologie: retorica contro metodo scientifico.

Come in tutti gli scontri di assoluti, i contendenti pensano di parlare lo stesso linguaggio e di partire dagli stessi assunti, ma non è così. Il problema viene identificato da Adam Dawson su “The Ruminator” in questi termini:

..... ma dovete capire che in America ci sono due diversi tipi di scienza. C'è la scienza che è vantaggiosa per le multinazionali, che buona, giusta e solida come una roccia. E' quella degli Smartphone, dei boiler, del GPS, del televisiore a schermo piatto da 62 pollici e 700 canali, delle pillole per l'erezione e ancora e ancora. E poi c'è la scienza che costa soldi alle multinazionali, che è fraudolenta, truffaldina e puro gibberish. Sotto la seconda definizione ci sono cose come la climatologia, le misurazioni dell'inquinamento, l'oceanografia ed altre discipline che potrebbero fottere i margini di profitto ai produttori di energia e al settore manifatturiero.

Penso che Dawson abbia centrato il bersaglio sui “due diversi tipi di scienza”, ma il punto non è tanto che alcuni tipi di scienza costano soldi alle multinazionali. La scienza e la tecnologia spingono per il cambiamento e il cambiamento spesso significa che qualcuno perderà soldi, ma questo non significa che il cambiamento è impossibile. Internet, per esempio, sta facendo fallire i quotidiani, ma la lobby dei quotidiani non sembra essere molto efficace nel fermare la sua espansione. Piuttosto, il punto fondamentale è che i campi scientifici come la scienza del clima usano metodi diversi per raccogliere i dati e gestire la conoscenza rispetto, diciamo, alla scienza dei dispositivi a stato solido. E' una differenza epistemologica: il tipo di certezza che può derivare da un esperimento di laboratorio ben eseguito su un dispositivo a stato solido non è possibile nella scienza del clima.

Il diverso approccio epistemologico diventa realmente fondamentale quando si tratta di implementare una politica sulla base del risultato dei modelli. Gli scienziati del clima in maggioranza sono d'accordo che non c'è un semplice rimedio tecnologico per evitare un cambiamento climatico disastroso. Quindi, ciò che proponiamo non è ingegneria pesante, ma un qualche tipo di ingegneria sociale basata su un consenso generale che il pericolo del cambiamento climatico è reale. Ora, come otteniamo un tale consenso? Per cominciare, dobbiamo condividere gli assunti di base su come vengono ottenute e validate le conclusioni della scienza del clima. Questa è una questione di epistemologia. E quando abbiamo a che fare con argomenti sociali, i metodi tradizionalmente accettati per raggiungere la conoscenza e il consenso non sono basati sul metodo scientifico. Il dibattito diventa politico e i metodi usati per i dibattiti politici sono completamente diversi. Come ho detto, è uno scontro di epistemologie.

Per diversi aspetti, sembra che stiamo imparando ad usare metodi epistemologici diversi nel dibattito sul clima: avete notato che l'affermazione secondo la quale esiste un “consenso del 97%” fra gli scienziati sul problema climatico? Ha avuto un notevole impatto, considerando quanto duramente sia stato criticato da parte dei negazionisti. Ma potete pensare ad un singolo caso nella storia della scienza in cui una controversia scientifica sia stata soggetta ad un voto di maggioranza? Mai, che io sappia. Nella scienza, crediamo che il metodo scientifico sia sufficiente per arrivare ad un consenso. Le controversie politiche sono cose diverse, i dati e le interpretazioni sono molto più incerte, quindi c'è la necessità di votare.

Non sto dicendo che la scienza dovrebbe trasformarsi in organizzazione politica. E' già qualcosa, tuttavia, che ci rendiamo conto di che cosa abbiamo a che fare, qualcosa che non è scientifica. E anche dobbiamo riconoscere che irrigidirsi e apparire offesi quando qualcuno maltratta la scienza del clima non è utile. Ancora peggio è affermare che qualcuno sia un disinformatore pagato perché non usa il metodo scientifico. Dobbiamo essere molto più intelligenti di così se vogliamo andare da qualche parte nel combattere il cambiamento climatico.


domenica 1 febbraio 2015

La maggior parte delle riserve di combustibili fossili mondiali deve rimanere sepolta per evitare il cambiamento climatico, dice uno studio

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Una nuova ricerca è la prima ad identificare quali riserve non devono essere bruciate per mantenere l'aumento della temperatura al di sotto dei 2°C, compreso oltre il 90% del carbone statunitense ed australiano e quasi tutte le sabbie bituminose del Canada 



 Trilioni di dollari di carbone, petrolio e gas conosciuti ed estraibili non possono essere sfruttati se si vuol mantenere l'aumento della temperatura globale al di sotto del limite di sicurezza dei +2°C, dice un nuovo rapporto. Foto: Les Stone/Les Stone/Corbis 

Di Damian Carrington

Grandi quantità di petrolio in Medio oriente, di carbone negli Stati Uniti, in Australia ed in Cina e molte altre riserve di combustibili fossili dovranno essere lasciati nel sottosuolo per evitare un cambiamento climatico pericoloso, secondo la prima analisi che identifica quali riserve esistenti non possono essere bruciate. Il nuovo lavoro rivela le implicazioni geopolitiche ed economiche profonde del contrasto al riscaldamento globale sia per i paesi che per le grandi società che dipendono dalla ricchezza di combustibili fossili. Il lavoro mostra che trilioni di dollari di carbone, petrolio e gas conosciuti ed estraibili, comprese gran parte delle sabbie bituminose del Canada, tutto il petrolio e il gas dell'Artico e gran parte del gas di scisto potenziale, non possono essere sfruttati se si vuol mantenere l'aumento della temperatura globale al di sotto del limite di sicurezza dei +2°C stabilito dalle nazioni del mondo. Attualmente, il mondo si sta dirigendo verso un catastrofico riscaldamento di 5°C e la scadenza per siglare un accordo climatico globale si presenta a dicembre in un critico summit a Parigi. “Ora abbiamo cifre tangibili delle quantità e del posizionamento dei combustibili fossili che dovrebbero rimanere inutilizzati per cercare di restare entro il limite dei 2°C”, ha detto Christophe McGlade, presso la University College London (UCL), e che ha condotto la nuova ricerca pubblicata dalla rivista Nature. Il lavoro, che usa dati dettagliati e modelli economici consolidati, ipotizza che politiche climatiche convenienti userebbero i combustibili fossili più economici all'inizio, coi combustibili più costosi esclusi da un mondo in cui le emissioni di carbonio fossero fortemente limitate. Per esempio, il modello prevede che una quantità significativa di petrolio convenzionale economico da produrre verrebbe bruciato ma che il limite di carbonio verrebbe raggiunto prima che i più costoso petrolio da sabbie bituminose possa essere usato. Si sapeva già che ci sono circa tre volte più combustibili fossili nelle riserve che potrebbero essere sfruttate oggi di quelle compatibili coi +2°C e oltre dieci volte più risorse di combustibili fossili che potrebbero essere sfruttate in futuro. Ma il nuovo studio è il primo a rivelare quali combustibili e da quali paesi dovrebbero essere abbandonati. Lo studio mostra anche che la tecnologia per catturare e seppellire le emissioni di carbonio, propagandate da alcuni come un modo per continuare un uso sostanzioso di combustibili fossili nelle centrali elettriche, sorprendentemente fanno poca differenza rispetto alla quantità di carbone, petrolio e gas ritenuti non bruciabili.



Le grandi società di combustibili fossili sono di fronte al rischio che parti significative delle loro riserve diventeranno inutili, con Anglo American, BHP Billiton e Exxaro che possiedono enormi riserve di carbone e Lukoil, Exxon Mobil, BP, Gazprom e Chevron che possiedono massicce riserve di petrolio e gas. Se le nazioni del mondo mantengono le loro promesse di combattere il cambiamento climatico, l'analisi scopre che le prospettive sono più oscure per il carbone, il più inquinante dei combustibili fossili. Globalmente, l'82% delle riserve odierne devono essere lasciate nel sottosuolo. Nelle grandi nazioni produttrici di petrolio come Stati Uniti, Australia e Russia, più del 90% delle riserve di carbone non verrebbero utilizzate per soddisfare le promesse per i 2°C. In Cina e India, entrambe forti consumatori di carbone in crescita, il 66% delle riserve sono non bruciabili. Mentre per il gas le prospettive sono migliori, comunque lo studio ha scoperto che il 50% delle riserve globali deve rimanere incombusto. Ma ci sono forti variazioni regionali, coi giganti produttori di gas in Medio oriente e Russia che devono lasciarne quantità enormi nel sottosuolo, mentre gli Stati Uniti e L'Europa possono sfruttare il 90% o più delle loro riserve per sostituire il carbone e fornire elettricità alle loro grandi città. Un po di fracking per il gas di scisto è coerente con l'obbiettivo dei 2°C, secondo lo studio, ma è dominato dall'industria presente negli Stati Uniti, con Cina, India, Africa e Medio oriente che devono lasciare l'80% del loro potenziale gas di scisto incombusto. Il petrolio ha la quota più bassa di combustibile non bruciabile, con un terzo che rimane inutilizzato. Tuttavia, il Medio Oriente deve comunque lasciare 260 miliardi di barili di petrolio nel sottosuolo, una quantità equivalente al totale delle riserve petrolifere dell'Arabia saudita. La conclusione dello studio sullo sfruttamento delle sabbie bituminose canadesi è secca, rivelando che la produzione si dovrebbe ridurre a livelli “trascurabili” dopo il 2020 se si deve soddisfare lo scenario dei 2°C. La ricerca scopre anche che non c'è nessuno scenario compatibile con il clima nel caso in cui si trivelli per il petrolio o per il gas nell'Artico.


La miniera della Syncrude Canada Ltd nello Stato di Alberta, Canada. Il rapporto dice che le sabbie bituminose canadesi devono ridursi a livelli “trascurabili” dopo il 2020 se si deve soddisfare lo scenario dei 2°C. Foto: Ben Nelms/Getty Images

La nuova analisi mette in discussione le somme gigantesche di investimenti privati e governativi che vengono buttati nell'esplorazione di nuove riserve di combustibili fossili, secondo il professor Paul Ekins della UCL, che ha condotto la ricerca con McGlade. “Nel 2013, le società di combustibili fossili hanno speso circa 670 miliardi di dollari nell'esplorazione di nuove risorse di petrolio e gas. Ci si potrebbe chiedere perché lo stiano facendo quando nel sottosuolo ce ne sono già più di quelli che possiamo permetterci di bruciare”, ha detto. “Gli investitori in quelle società potrebbero percepire che i soldi siano spesi meglio nello sviluppo di fonti energetiche a basso tenore di carbonio e restituiti agli investitori sotto forma di dividendi”, ha detto Ekins. “Una lezione di questo lavoro è inequivocabilmente ovvia: quando ci si trova in un buco, smettere di scavare”, ha detto Bill McKibben, cofondatore di 350.org che sta cercando di portare gli investitori a lasciare le loro azioni di combustibili fossili. “Questi numeri mostrano che i combustibili fossili 'estremi' o non convenzionali – la sabbie bituminose del Canada, per esempio – devono semplicemente rimanere sottoterra”. “Dati questi numeri, non ha letteralmente senso che l'industria vada alla ricerca di altri combustibili fossili”, ha detto McKibben. “Abbiamo gozzovigliato sull'orlo della nostra stessa distruzione. L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno ora è di trovare qualche negozio di liquori in più da saccheggiare”.

Gli esperti finanziari, compresa la Banca d'Inghilterra e  Goldman Sachs, hanno iniziato a prendere seriamente il rischio che costosi progetti per combustibili fossili saranno resi inutili dall'azione climatica futura. James Leaton, direttore di ricerca della Carbon Tracker Initiative (CTI) ha detto: “Gli investitori stanno già utilizzando le curve dei costi delle CTI (Climate Technology Initiative) per iniziare ad identificare quanto in basso possano finire gli scenari delle domanda e del prezzo”. La ricerca evidenzia anche la contraddizione dei governi che perseguono la massimizzazione della loro estrazione di combustibili fossili nazionale, come nel Regno Unito, mentre allo stesso tempo promettono di limitare il riscaldamento a 2°C. Ekins ha detto che se i governi approvassero nove produzioni di combustibili fossili, bisognerebbe chiedere loro quali risorse non dovrebbero essere sfruttate altrove. “Se le risorse di gas di scisto del Regno Unito risultano essere economicamente sostenibili, e a patto che gli impatti ambientali locali possano essere resi accettabili, direi che li dovremmo usare”, ha detto. “Ma il problema è quali combustibili fossili dovrebbero a quel punto non essere usati da qualche altra parte, se ci terremo entro il bilancio del carbonio. Questa è una domanda che non ho mai sentito fare da un politico in questo paese”.

Se l'accordo globale per mantenere gran parte dei combustibili fossili nel sottosuolo viene firmato a dicembre, allora compensare i perdenti sarà cruciale, secondo Michael Jakob, un economista del cambiamento climatico all'istituto di Ricerca Mercator sui Beni Comuni Globali e il Cambiamento Climatico a Berlino. “Se si vuol davvero convincere i paesi in via di sviluppo a lasciare il proprio carbone nel sottosuolo, si deve offrire qualcos'altro e non penso che i sauditi lasceranno quel petrolio nel sottosuolo se non ottengono nulla in cambio”, ha detto, citando tecnologie verdi come il CCS (Carbon Capture & Storage), così come compensazioni finanziarie. Jakob ha detto che la sfida sarebbe enorme, ma fornirebbe dei benefici oltre a dei costi: “Ci sono somme enormi in gioco, non solo dal lato dei perdenti ma anche da quello dei vincitori. Alcuni beni perderanno valore, ma altri ne guadagneranno, come il solare e l'eolico e la terra per la produzione di biomassa”. NEL 2014, L'IPCC ha concluso che affrontare il riscaldamento globale dirottando centinaia di miliardi di dollari dai combustibili fossili alle energie rinnovabili e il taglio degli sprechi energetici richiederebbe solo lo 0,06% dei tassi di crescita economica annuali del 1,3-3%.