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giovedì 9 marzo 2023

La caduta del Leviatano: La fine del capitalismo.

 


Di  | Feb 24, 2023


‘LA CADUTA DEL DEL LEVIATANO’

ovvero

NASCITA, CRESCITA, DINAMICA E FATO DELLA CIVILTÀ’ INDUSTRIALE.

“LA CADUTA DEL LEVIATANO. Collasso del capitalismo e destino dell’umanità” è un libro che si propone di superare la consueta narrativa circa l’insostenibilità e l’iniquità del capitalismo contemporaneo. Non cova infatti, né intenti vendicativi, né assolutori e si astiene dal proporre soluzioni più o meno utopiche. Illustra invece come il Fato della civiltà globale abbia preso forma da una combinazione unica nella storia di ineludibili leggi naturali, imprevedibili incidenti storici e l’affermarsi di una potente mitologia, capace di orientare gradualmente l’intera umanità verso un unico scopo supremo: Crescere!

Nella metafora di Hobbes, il Leviatano era formato da un intero popolo fedele ad un monarca assoluto. Nella nostra trattazione è invece una realtà fisica ben definita come “struttura dissipativa auto-organizzata evolutiva”. L’intero pianeta risulta oramai ricoperto dal suo corpo immane, costituito non solo da oltre 8 miliardi di esseri umani, ma anche da quasi 40.000 miliardi di tonnellate di catrame, metallo, cemento, colture e bestiame che costituiscono oramai un’unica mega-macchina globale di cui il sistema economico capitalista, nelle sue varie articolazioni, costituisce il metabolismo.

Una struttura estremamente efficiente in grado di evolvere con straordinaria rapidità, ma capace di fare un’unica cosa: assorbire sempre più energia e risorse per crescere perché, se la sua espansione si interrompe, muore. Tuttavia, anche la crescita continua lo condanna a un destino infausto, sebbene procrastinato nel tempo. Una condizione ben illustrata dal celebre aforisma: “Non puoi vincere, non puoi pareggiare, non puoi uscire dal gioco”; e neppure barare. La tecnologia assolve infatti a questa funzione fondamentale: barare al gioco della vita. Ha funzionato in passato e lo sta facendo tuttora, ma solo temporaneamente e con conseguenze penose inscindibili dai vantaggi che offre.

Attingendo alle più disparate discipline (dalla fisica alla mitologia, dall’economia alla filosofia, dalla storia all’ecologia) il discorso si dipana per oltre 400 pagine che si sforzano di descrivere fenomeni complessi nella maniera più semplice e divulgativa possibile. L’opera non consiste in un esercizio di esagerato determinismo, improntato a un morboso “tanto oramai non c’è più nulla da fare”; si propone invece di capire cosa sia possibile che accada e cosa no. Compito imprescindibile perché, con poche forze e ancora meno tempo a disposizione, sprecarli è disperante.



Un esempio molto semplice, ma utile per capire la natura del problema: immaginiamo un pietrone sferico su di un piano inclinato. Quali opzioni abbiamo al riguardo? Possiamo reggerlo, lasciarlo precipitare e scansarci oppure inventare un modo per bloccarlo il più a lungo possibile; possiamo pure spingerlo in salita o danzarci sopra mentre rotola a valle. In nessun caso, invece, il macigno tornerà verso l’alto da solo e smetterà di gravare verso il basso.

Sembra banale, ma forse non lo è, visto che l’intera politica mondiale si basa su presupposti altrettanto fantasiosi di un macigno che rotola da solo verso l’alto. Perfino molti premi Nobel dell’economia hanno avanzato teorie basate sulla presunta capacità dell’ingegno umano di violare la fisica e le leggi naturali. Ecco perché il libro si impegna a demistificare concetti tanto alla moda quanto antiscientifici, allo scopo di analizzare il Fato del Leviatano nel modo più realistico possibile.

Il Fato non stabilisce infatti ineluttabilmente il futuro, ma delimita un campo di probabilità decrescenti, fino a zero. Esiste dunque una gamma di opzioni possibili, ognuna delle quali provocherà ripercussioni immediate ed altre più o meno dilazionate nel tempo; talvolta utili e talaltra disastrose, comunque sempre difficili o impossibili da prevedere perché il sistema a cui apparteniamo è troppo complesso per comprenderlo nei dettagli, alcuni trascurabili altri invece cruciali. Malgrado un noto aforisma, ben difficilmente una farfalla scatena un uragano e, comunque, non potremo mai sapere se la tempesta in corso in Italia sia stata davvero innescata da una farfalla brasiliana che volava un secolo fa.

In compenso, conosciamo abbastanza bene alcune delle leggi che governano energia, materia ed informazione per capire che la forza inarrestabile del capitalismo si deve ad una peculiarità che lo differenzia da molti altri arrangiamenti socio-economici elaborati nella storia: quella di estremizzare la tendenza innata delle strutture dissipative, ossia distruggere il proprio “intorno” per crescere in dimensione e complessità. Così, il capitalismo ha letteralmente mangiato l’intero pianeta e con esso tutti i popoli che lo abitano, annientandoli o assorbendoli. Un’invenzione formidabile dunque, che ha prodotto la più grande civiltà di tutti i tempi e consentito all’uomo azioni un tempo ritenute prerogativa degli Dei, come volare e raggiungere la Luna. Ma ad un prezzo: accelerare una dinamica propria di tutte le strutture che assorbono e dissipano energia: l’invecchiamento e la morte. O, per meglio dire, il degrado ed il collasso.

Infatti, malgrado sia nato poco più di quattro secoli or sono e sia giunto a compimento appena trent’anni fa, il Leviatano appare già vecchio e malandato. Il libro illustra quindi i principali malanni che lo affliggono, in ultima analisi tutti dipendenti dalla sua fisiologia perché la stessa dinamica che, in un pianeta ricco di risorse e di biosfera, ha causato la sua smisurata crescita, nel mondo attuale dove ormai abbondano solo gli umani e i relativi schiavi (animali, vegetali e meccanici) sta rapidamente portando al collasso ed alla disintegrazione del Leviatano e quindi del capitalismo, che ne è l’apparato digerente. Al punto che, per sopravvivere, sta ormai divorando non più solo la biosfera ed i poveri del mondo, ma anche buona parte dei capitalisti e dello stesso Capitale.

Normalmente, le opere che affrontano tematiche affini a quelle de La caduta del Leviatano si chiudono con una serie di consigli e buone pratiche per correggere la rotta e salvarsi. Qui non ne troverete perché il sistema non è correggibile, al massimo se ne possono mitigare in modo molto limitato alcune tendenze. E dunque?

Ognuno cercherà il modo di cavarsela il meno peggio possibile secondo le sue opportunità e possibilità, ma noi esortiamo i lettori affinché pensino anche a coloro che verranno dopo di noi. In fondo, l’unico evento capace di cancellare l’umanità sarebbe un collasso generalizzato della biosfera, innescato dall’estinzione di massa in corso e vivacemente sostenuta dalle autorità di ogni ordine e grado, in ogni angolo del mondo, al grido di “Rilanciamo la crescita!”. Non sappiamo se la Vita sulla Terra sopravvivrà, ma è possibile ed è pertanto legittimo sperarlo. In caso positivo, i nostri più o meno remoti discendenti dovranno creare nuove civiltà con il poco di utile che avremo lasciato loro. E di cosa ha bisogno una civiltà? Acqua dolce, cibo, biodiversità, un clima vivibile, ecc., ma non basta. Ha bisogno anche di un mito fondatore perché è la mitologia e non la scienza che guida l’umanità, ora più che mai e così sarà anche in futuro. Perciò, mentre vi preoccuperete di salvare i vostri risparmi, di imparare l’orticoltura e le pratiche agroecologiche o di contrastare le speculazioni dei palazzinari amici del sindaco, pensate ad un mito che possa dare un senso a quanto vi accade ed una speranza per un futuro che nessuno di noi vedrà. Contrariamente al pensiero comune, una nuova mitologia è più importante di una nuova tecnologia perché attribuire un senso a ciò che ci accade e nutrire una qualunque forma di speranza sono due bisogni assoluti per noi umani, senza i quali non riusciamo a sopravvivere a lungo.

Dunque è imperativo elaborare una “grande narrativa” in grado di sostituire il mito del Progresso che ci ha condotti nell’impasse i cui ci troviamo, consapevoli che i miti fondatori sono sempre opere collettive che maturano nel tempo. Nessuno ne è l’autore, ma molti vi partecipano.

SINOSSI

CAPITOLO 1 – Illustra la natura del Leviatano unitamente ai concetti di “struttura dissipativa” e di “superorganismo”, necessari per comprendere la dinamica interna del Leviatano, derivante in ultima analisi da leggi fisiche.

CAPITOLO 2 – Tratteggia la genesi storica del Leviatano. Partendo da alcune peculiarità che rendono unica la specie umana attuale e rappresentano i necessari presupposti per lo sviluppo del Leviatano. Si delineano quindi i passaggi storici fondamentali e alcuni dei soggetti che, ispirandosi a presupposti ideologici diversi, hanno storicamente contrastato il formarsi del Leviatano.

CAPITOLO 3 – Descrive sommariamente la tecnostruttura che non solo permette al Leviatano di esistere, ma che ne è parte integrante e sostanziale, assieme all’intera umanità con i suoi organismi simbionti, commensali e parassiti.

CAPITOLO 4 – Si analizza l’“economia-mondo” che struttura gerarchicamente il pianeta in regioni centrali e periferiche, organizzando i flussi di materia, energia ed informazione caratterizzanti l’economia e la società globalizzata. Viene quindi spiegata la dinamica interna del sistema economico che alimenta il Leviatano, evidenziando l’importanza degli incrementi nella disponibilità di cibo ed energia per costruire società sempre più complesse. Infine, si accenna all’impossibilità di un’economia effettivamente circolare e dunque all’inevitabile alterazione dei cicli bio-geo-chimici da cui dipende la continuità della vita sulla Terra.

CAPITOLO 5 – Si affrontano la mistica del Progresso e i correlati miti della Macchina, del Mercato e della Crescita economica infinita, che hanno plasmato i modelli di pensiero dominanti negli ultimi due secoli, servendo anche a legittimare sia le profonde ineguaglianze sociali e inter-generazionali (spacciate per temporanee), sia il degrado dell’ambiente (ritenuto un fatto inevitabile e marginale).

CAPITOLO 6 – Si elencano le principali dinamiche perverse che stanno minando la funzionalità del sistema socio-economico globale, con le relative ricadute ambientali e sociali. Fra queste, si richiama l’attenzione su fenomeni apparentemente paradossali come l’erosione del reddito da capitale e la pauperizzazione di parte crescente dei capitalisti per opera del capitalismo stesso.

CAPITOLO 7 – Si tenta una diagnosi spiegando perché le “patologie” che affliggono il Leviatano non sono contingenti e neppure reversibili, essendo dovute ai profondi danni inferti alla biosfera ed al degrado quali-quantitativo delle risorse.

CAPITOLO 8 – Disamina delle fosche prospettive dal punto di vista storico e sistemico con particolare attenzione al fatto che, al variare della disponibilità di risorse e della salute della biosfera, le medesime dinamiche che hanno creato il Leviatano lo stanno ora distruggendo.

CAPITOLO 9 – La “morte del Leviatano” appare quindi un fatto procrastinabile, ma inevitabile e le conseguenze saranno di portata tale da modificare irreversibilmente non solo la storia dell’umanità, ma anche quella della biosfera tutta. Del resto, le prime avvisaglie di un tale evento sono già evidenti sotto il profilo ecologico, energetico ed economico. Si tratteggiano poi brevemente i principali tentativi di reazione alla crisi globale, soprattutto in Occidente.

CAPITOLO 10 – Abbozza una proposta avulsa dagli aspetti tecnici e pratici della crisi, bensì concentrata sul modo più appropriato di pensare ad essa, alla ricerca degli elementi su cui costruire un nuovo Mito Fondatore che possa sostituire quello ormai defunto del Progresso, per sostenerci e orientarci nei prossimi decenni che saranno probabilmente fra i più difficili dell’intera storia umana.

L’opera è stata sottoposta a Richard Heinberg, noto giornalista e scientifico e senior fellow del Post Carbon Institute, che si è così espresso: “Questa e’ la panoramica piú completa ed accurata della condizione umana nel 21° secolo in cui mi sia mai imbattuto”.

PER DISCUTERNE

Esistono una pagina FB ed un profilo Instagram (la_caduta_del_leviatano) dedicati al libro che, al di là dall’intento promozionale, possono essere sede di discussione. Occasioni per parlare direttamente di questi argomenti ci saranno in occasione delle presentazioni pubbliche che saranno annunciate sui canali social, man mano che saranno organizzate.

Per ora sono state fissate le seguenti:

15 aprile, presso Comunità dell’Isolotto, Via degli Aceri, 1 – Firenze. Ore 21:00

18 aprile presso Conventino Caffé Letterario, Via Giano della Bella, 20 – Firenze. Ore 18:00

21 aprile presso Circolo Arci Via Vittorio Veneto, 54 – Pontasserchio, comune di San Giuliano Terme (PI). Ore 17:30

Il libro si può acquistare in libreria, sul sito Web della Albatros Il Filo Edizioni, su Amazon e i principali bookstore on line.





martedì 25 novembre 2014

La dieta dimagrante del Leviatano - 2.

di Jacopo Simonetta

Nel precedente post sull'argomento "Leviatano" ho sostenuto che la crescita della società globale ed il deterioramento quali-quantitativo delle risorse ha avviato un processo di vera e propria auto-digestione della società,  a partire dalle categorie sociali più facilmente e remunerativamente attaccabili.   Se ammettiamo che questo sia un destino oramai ineluttabile, sorgono due domande importanti:


1 - Che effetto avrà questo sulle future generazioni?  

2 - Come possiamo difenderci?

Per quanto riguarda la prima domanda, occorre ricordare che un qualsiasi sistema vivente ha una certa capacità di recupero dopo uno shock.   E’ quello che chiamiamo “resilienza”.    In parole povere, la capacità di rialzarsi dopo una caduta o di guarire da una ferita.   Una capacità di recupero che può variare moltissimo, principalmente in ragione di due ordini di fattori: la capacità di adattamento del sistema e le riserve accumulate prima della crisi.  

A livello di ecosistemi, la resilienza dipende soprattutto dalla biodiversità e dalla versatilità delle specie-chiave del sistema, oltre che dalle riserve di acqua e di fertilità dei suoli.   Per fare un esempio, il taglio a raso di un bosco comporta un trauma fortissimo per l’ecosistema; ma se vi è una buona varietà di specie arboree, se queste hanno sistemi di recupero efficaci (semi persistenti, polloni, ecc.) e se i suoli non vengono danneggiati in modo sensibile, il bosco ricrescerà simile a come era prima.   Se, invece, sono presenti poche specie vulnerabili al taglio e/o se i suoli vengono erosi, la foresta potrebbe non tornare mai più.

A livello di economie complesse valgono gli stessi principi, ma le riserve sono in gran parte costituite dai patrimoni dei cittadini, esattamente quel “tessuto adiposo” che il Leviatano ha prodotto e che adesso sta riassorbendo.   Questa non è certo la principale minaccia per l’umanità.  La maggior parte dei nostri avi se la sono cavata abbastanza bene anche senza patrimoni, ma per noi il possesso di oggetti e denaro costituisce una necessità vitale, oltre che un punto di riferimento ed un valore identitario fondamentale.   E’ l’intera nostra civiltà che è stata costruita su questo valore ed è quindi normale che con essa scompaia, ma occorrerà riempire in vuoto che lascia e non sarà facile.
Alla seconda domanda (come possiamo difenderci?) penso che si debba rispondere “poco e male”.   Sebbene la maggior parte delle persone, in occidente, abbiano ancora buoni margini di benessere materiale, le possibilità di difenderlo dall’ auto-digestione della società di cui facciamo parte sono molto limitate.   Facciamo due esempi di beni-rifugio classici: le proprietà immobiliari ed i metalli preziosi.

Le proprietà immobiliari (case e terreni) costituiscono la forma di patrimonio di gran lunga più vulnerabile in quanto non possono essere nascoste.   E’ quindi perlomeno probabile che l’aumento del “pizzo” su di esse continuerà a salire finché non saranno state distrutte od acquistate da soggetti abbastanza in alto nella scala sociale da potersi difendere efficacemente.   O magari da essere essi stessi elementi costituenti di quegli “organi” che la struttura tende a salvare, sacrificandone altri.   L’Holomodor (la carestia in Ucraina negli anni 1930) è stato un evento particolarmente efferato di appropriazione di risorse, ma risultati analoghi sono stati perseguiti ed ottenuti più volte nella storia, senza bisogno di giungere allo sterminio.   I pogrom, gli insediamenti coloniali e le “pulizie etniche” ne sono esempi, fra i tantissimi possibili.

I metalli preziosi possono invece essere nascosti, ma non per questo sono scevri da rischi.   Tanto per cominciare possono essere rubati;  oppure il governo può imporne la requisizione e vietarne il commercio.   In questo caso, sarebbe naturalmente possibile conservarli segretamente, a condizione che del loro acquisto non esista traccia, ma comunque sarebbero inutilizzabili.   Tutte cose più volte accadute nella storia, anche in situazioni socio-economiche meno estreme di quelle che presumibilmente si verificheranno nel corso dei prossimi decenni in molte parti del mondo.

Ciò non significa, naturalmente, che beni immobili o metalli siano certamente inutili, o addirittura pericolosi.   Significa che è possibile che si rivelino utili o addirittura vitali in determinate circostanze, mentre risulteranno inutili o nocivi in altre e non possiamo sapere quali saranno le condizioni in cui ognuno di noi si troverà durante la rapidamente mutevole situazione storica dei prossimi decenni.

Ma se non possiamo difenderci dal Leviatano semplicemente perché siamo parte integrante di esso, non potremmo uscirne?   Una tentazione che si sta diffondendo.   Del resto, ritirarsi in solitudine od in piccole comunità in luoghi remoti è sempre stata una delle strategie di sopravvivenza durante le fasi di auto-digestione delle civiltà che ci hanno preceduto.   Ma neppure questa strategia è scevra di rischi ed è difficilmente attuabile in un mondo in cui luoghi remoti praticamente non ne esistono più.

Oggi si parla molto di “comunità resilienti” di varia natura ed esperimenti interessanti vengono condotti in varie parti del mondo, ma soprattutto in Occidente sia per la maggiore libertà d’azione di cui godiamo, sia per le maggiori risorse economiche di cui possiamo ancora disporre.   Ma porsi al di fuori dei circuiti commerciali che costituiscono il sistema vitale del Leviatano è un fatto decisamente sovversivo che tende a minare le fondamenta stesse del sistema.   Un sistema che finora è stato abbastanza sicuro di se da permettere a singoli od a piccoli gruppi di organizzarsi una vita semi-autonoma.   Ma via via che la difficoltà di alimentare i suoi sistemi vitali aumenterà, è molto probabile che certi comportamenti non saranno più tollerati.   Già oggi è praticamente impossibile avviare un qualsiasi esperimento di resilienza pratica senza contravvenire a qualche regolamento; è probabile che in futuro le regole si faranno più stringenti e complicate, i controlli più capillari e severi.
Rimane la reazione del topo nell’angolo, ovverosia ribellarsi cercando di uccidere il mostro che ci divora.  

Nel 2011 una serie di cattivi raccolti a livello mondiale e la conseguente speculazione sui prezzi delle granaglie hanno scatenato rivolte popolari in diversi paesi, alcuni dei quali nostri confinanti o quasi.   Al di la delle peculiarità di ogni situazione, si è trattato dell’esplodere dell’esasperazione di masse di gente stanca di farsi digerire da classi dirigenti corrotte ed incapaci.   Ma come è andata a finire lo abbiamo visto: in pratica solo la Tunisia, per ora, è riuscita a dotarsi di un sistema politico migliore del precedente, sia pure a prezzo di un drastico peggioramento della già pessima situazione economica.   In tutti gli altri paesi le “primavere” si sono rapidamente trasformate in conflitti endemici.
In sintesi, pare inevitabile che nei prossimi decenni la civiltà industriale sopravviva riassorbendo le riserve che aveva creato negli anni di “pasciona”.  

Di conseguenza, l’estrema povertà diventerà la regola per la stragrande maggioranza della popolazione mondiale, compresa la maggioranza di noi.    E non pare che vi siano scappatoie realistiche a questo destino.   Scoppi di violenza saranno inevitabili, ma potranno solo contribuire a distruggere ulteriormente quelle riserve che avrebbero potuto assicurare una buona base di partenza per ricostruire le civiltà del futuro.

Ma abbiamo detto che la resilienza dipende da due ordini di fattori: le riserve e la capacità di adattamento.    Se poco o nulla delle riserve potrà essere salvato, possiamo fare qualcosa per la capacità di adattamento?

Probabilmente si.   Magari non tanto da cambiare il destino dell’umanità, ma abbastanza da influenzare quello di persone, famiglie e, forse, interi paesi.
Da cosa dipende dunque questa capacità?   Fondamentalmente dalla rapidità con cui ci si adatta al divenire della situazione ambientale.   Dunque, rapportato alla nostra specie,dalla dinamicità culturale, ma soprattutto alla disponibilità a rimettere in discussione più e più volte gli assunti sulla cui base elaboriamo i nostri ragionamenti.    O, per dirla con gergo tecnico, dalla nostra disponibilità a cambiare rapidamente e ripetutamente i nostri archetipi.

Una cosa però tanto facile a dirsi quanto difficile a farsi.   Accumulare competenze “post-picco” come l’orticoltura sinergica, l’auto-difesa, la farmacopea galenica, la follatura della lana, la concia delle pelli e quant’altro sono infatti tutte cose importantissime, ma solo all’interno di una quadro psicologico e spirituale capace di resistere e reagire costruttivamente ad eventi che metteranno seriamente alla prova il nostro modo di percepire e concepire la realtà.

Se prendiamo lo schema di Daly, possiamo leggerlo in due modi diversi.    Se ci concentriamo sulle necessità, è ovvio che si deve leggere dal basso in alto, come la “piramide di Maslow” da cui è derivato:

Occorre prima di tutto accedere a delle risorse che, tramite le nostre capacità dovranno essere trasformate in beni e servizi.    Con questi, la politica e l’economia potranno assicurare, nei limiti del possibile, benessere materiale e coloro che saranno abbastanza “ben pasciuti” e protetti avranno modo di dedicarsi a cose come la scienza, l’arte, la filosofia.   E’ di questo che sostanzialmente si occupa l’ormai vasta letteratura “post-picchista”.

Ma se concentriamo l’attenzione sulle capacità necessarie per fare tutto ciò, lo schema deve essere letto esattamente al contrario: dall’alto verso il basso:  

Solo chi dispone di un sistema di valori capace di rimanere funzionale in condizioni di grave stress sarà in grado di elaborare dei comportamenti socialmente utili ed in tal modo contribuire a costruire quel capitale sociale che consente un uso del capitale materiale tale da conservare e, nei limiti del possibile, rigenerare le risorse.

In altre parole coloro che pongono al vertice dei propri valori il progresso tecnologico, il benessere materiale, i viaggi spaziali od altri prodotti della civiltà industriale, non troveranno molte ragioni per continuare a vivere.

Ma non bisogna farsi illusioni:
«In una tale condizione non c'è possibilità di alcuna attività di carattere industriale poiché il frutto di essa rimarrebbe incerto e di conseguenza non c'è coltivazione della terra, non c'è navigazione, non c'è uso di beni che possono essere importati attraverso il mare, non ci sono costruzioni confortevoli, non si fanno strumenti per spingere e trasportare cose che richiederebbero molta forza, non si fa computo del tempo, non ci sono arti, né letteratura, non esiste una società, e quella che è la cosa peggiore fra tutte è il continuo timore, e il pericolo di una morte violenta; e la vita dell'uomo è solitaria, povera, sudicia, bestiale e breve.» (traduzione Wikipedia)

Sicuramente è il  passo più celebre del filosofo inglese, ma non descrive la vita dell’uomo primitivo, com’egli pensava; non più di quanto la descrivesse il mito del “buon selvaggio” di Rousseau.   Ho l’impressione che descriva invece molto bene l’uomo post-industriale.   Ma non per sempre.    L’esperienza insegna che situazioni di grave stress (guerre, carestie, miseria, ecc.) possono infatti evocare tanto il meglio quanto il peggio di noi.   Ed il peggio tende a prevalere nei tempi brevi, il meglio nei tempi lunghi per inderogabili ragioni evolutive:   Le persone che adottano un comportamento egoista possono infatti cavarsela meglio di coloro che adottano un comportamento oculatamente altruista, ma il contrario vale per le comunità  di cui costoro fanno parte.   E l’unità di sopravvivenza dell’umanità non è l’individuo, bensì la comunità.




venerdì 21 novembre 2014

La dieta dimagrante del Leviatano - 1.

di Jacopo Simonetta.

In un precedente post avevo confrontato la civiltà capitalista attuale ad un organismo coloniale di dimensioni planetarie che ho chiamato Leviatano.   Non si tratta di una semplice metafora.  
Innanzitutto l’idea che l’insieme dei singoli cittadini costituisca un “corpo sociale” unico che agisce come un meta-individuo è di Hobbes: uno dei padri fondatori del pensiero illuminista e dunque della nostra civiltà attuale.   In secondo luogo, Ilya Prigogine ci ha insegnato che, dal punto di vista termodinamico, tanto i singoli individui quanto le società nel loro complesso sono delle “strutture dissipative”.

 Ciò significa che tanto i singoli uomini quanto le società nel loro insieme sono fondamentalmente degli aggregati di materia che si auto-organizza in modo da assorbire e dissipare la maggior quantità possibile di energia (F. Roddier Thermodynamique de l'évolution : Un essai de thermo-bio-sociologie 2012).  
Ciò che cambia è il grado di complessità fra l’individuo e la società, un grado che cresce più che linearmente con l’accrescimento della struttura stessa ed il crescere della complessità comporta l’apparire di quelle che si chiamano “proprietà emergenti”: proprietà che si trovano nel “tutto”, ma non nelle sue “parti”.    E la proprietà emergente delle società umana è quella cosa che chiamiamo “civiltà”.    In estrema sintesi, vi è dunque una correlazione molto forte fra quantità di energia dissipata, dimensioni e complessità delle società, complessità della civiltà che la società produce.   Fattori culturali e spirituali plasmano civiltà diversissime, ma il grado di complessità che queste raggiungono rimane comunque legato direttamente alla quantità di energia che questa è in grado di assorbire e dissipare.   Dunque, ogni singolo individuo umano ha una sua esistenza autonoma, ma la civiltà è il prodotto di un’interazione simbiotica fra tutti i membri della società che costituisce, a tutti gli effetti, una meta-struttura dotata di individualità e capace di reagire agli stimoli esterni in modo da perseguire i suoi scopi.

Una complicata argomentazione per dire una cosa semplice: Hobbes aveva visto giusto.

Dunque il Leviatano non è una metafora, bensì una realtà oggettiva e ciascuno di noi ne fa parte.   E come tutte le strutture viventi, nei secoli si è evoluto.   Vivendo nell’epoca in cui le monarchie assolute facevano la loro fugace comparsa nella storia europea, Hobbes aveva immaginato il suo meta-individuo con una testa pensante individuale: quella di un re-papa che detiene tutti i poteri.   La realtà attuale è molto diversa ed al posto della testa coronata si trova un gruppo di oligarchi che avendo gli “amici giusti nei posti giusti” controllano il grosso del flusso di energia che attraversa il corpo sociale.   Una struttura tipicamente coloniale e modulare che si ripete su scala diversa, ma in modo sorprendentemente simile, dal livello globale a quello di ogni piccolo comune.  

Per essere chiari: i rapporti che intercorrono fra i maggiori gruppi industriali e finanziari mondiali con i governi del “G20” generano delle dinamiche che ritroviamo su scala più piccola, ma strutturalmente uguale a livello di singoli stati, di regioni ecc.    Fino al piccolo comune il cui sindaco ha cura di mantenere rapporti costanti e privilegiati con coloro che detengono il grosso del potere economico in paese.

Probabilmente per questa sua struttura modulare, di fatto il Leviatano non sembra essere in grado di fare altro che seguire un istinto tanto antico quanto la materia stessa di cui è fatto: assorbire e dissipare più energia possibile.   E deve farlo subito, adesso; senza riguardo alcuno neppure per se stesso domani.   Una totale miopia che contrasta in modo stridente con l’ efficienza, la creatività e l’astuzia con cui persegue il suo scopo.   Una combinazione dagli esiti con ogni probabilità nefasti.
Come tutto ciò ha a che fare con la nostra vita quotidiana?    E’ semplice:   Come ogni struttura dissipativa, il Leviatano (cioè tutti noi insieme) ha bisogno di un flusso costante di “cibo” e di cosa si alimenta?   Di energia certo, ma non direttamente, bensì di energia trasformata in “RICCHEZZA”; un po’ come noi individualmente ci nutriamo di zuccheri, proteine, grassi, ecc., ma non direttamente così come sono, bensì dopo averli digeriti, assorbiti e trasformati tramite un’incredibilmente complesso sistema metabolico.  

In altre parole, la società globale assorbe energia sotto forma principalmente di idrocarburi fossili,minerali e di biomassa, la trasforma in ricchezza e come tale in parte la usa per il proprio metabolismo (cioè per far girare la mega-macchina economica globale), in parte la accumula sotto forma di patrimonio (proprietà e risparmi) o di informazione (arte, scienza, tecnologia, ecc.)
Per circa 300 anni il Leviatano ha potuto “mangiare” più di quanto dissipava sotto forma di metabolismo antropico, guerre, ecc.    Di conseguenza  è cresciuto in dimensioni e complessità: nato in Inghilterra ai primi del XVII° secolo (Ritengo che Bacone e Hobbes ne siano stati i padrini), nel giro di duecento anni ha occupato il mondo intero, annichilendo od assorbendo tutte le altre civiltà.   Ma conservava un fisico asciutto ed efficiente in forza del permanere di limiti sostanziali alla sua capacità di assorbire energia e degli alti consumi necessari per la sua crescita.

Poi ci sono stati i “fantastici 30”.   Trenta anni solamente, all'incirca fra il 1945 ed il 1975, in cui la “bonanza” petrolifera ha sovralimentato il Leviatano in misura senza precedenti.   In tutto il mondo vi è infatti stata una crescita demografica assolutamente spaventosa, ma in una parte relativamente piccola dell’umanità  si è inoltre verificato un accumulo molto consistente di “grasso”, perlopiù sotto forma di patrimonio.   In particolare, la leggendaria “middle class” occidentale è cresciuta in modo tale da diventare una sorta di “tessuto adiposo” del Leviatano.  

Non è stata l’unica parte del corpo sociale in cui si sia accumulata ricchezza, anzi!   La “upper class” ne ha accumulata ancor di più, ma la vera disfunzione metabolica è avvenuta più tardi, dagli anni ’80 in poi, aprendo una voragine senza precedenti storici fra soggetti sempre più ricchi e sempre più poveri.   Per essere chiari, né l’Europa feudale, né le nazioni industriali del XIX° secolo hanno mai raggiunto livelli di disparità economica neppure paragonabili a quelli attuali.    Per trovare situazioni analoghe bisognerebbe risalire al tardo Impero Romano od alla fasi finali dei ricorrenti imperi cinesi.

E la situazione continua a peggiorare in maniera progressivamente accelerata non solo in occidente, bensì in tutto il mondo.


Perché accade questo?   Se osserviamo come funziona una struttura dissipativa di tipo più semplice, ad esempio un singolo individuo umano, osserviamo che, aumentando l’input di energia, dapprima reagisce aumentando la propria massa muscolare e le proprie prestazioni fisiche; poi comincia ad ingrassare, ma non uniformemente in tutto il corpo: alcune parti accumulano più di altre.   Se dopo un poco cominciamo a ridurre le razioni, l’individuo dimagrisce, a cominciare dalle parti dove l’accumulo di grasso è stato maggiore  ed è meno importante sotto il profilo metabolico.   Ad esempio la “pancetta” viene riassorbita prima del grasso intramuscolare.   Se la dieta diventa carestia, una volta esaurite le riserve di grasso, il fisico comincia a riassorbire anche gli altri tessuti (muscoli, ecc.).   L’ultima parte ad essere alimentata è il cervello che, per rimanere funzionante, ha comunque bisogno di quantità consistenti di energia.   Se necessario, il resto del corpo viene sacrificato per mantenere in vita questo centro da cui, in buona parte, dipende il funzionamento di tutto il resto.   Eventualmente fino a morire.

Passando ad una struttura dissipativa infinitamente più complessa, come la civiltà capitalista globale, è ovvio che molte cose cambiano, ma i principi fisici fondamentali rimangono i medesimi ed in questa chiave diventa molto facile capire quello che sta succedendo.   Diminuendo la qualità, più che la quantità, dell’energia che il Leviatano può assorbire, il suo sistema fisiologico ha cominciato a digerire la ricchezza che aveva accumulato in passato, ma in maniera non uniforme.   Abbiamo detto all’inizio che il Leviatano attuale ha un sistema nervoso centrale costituito da una classe dirigente che detiene la maggior parte della ricchezza e del potere; un fenomeno questo che si ripete modularmente alle differenti scale di riferimento: pianeta, stati o meta-stati, regioni, comuni, ecc.   Un tipico caso di “invarianza in rapporto alla scala” che ci rassicura circa la natura fondamentalmente fisica del fenomeno.   Dunque la priorità assoluta del sistema è mantenere intatto l’afflusso di energia verso la vetta della piramide sociale, alle diverse scale.   Per fare questo, quando necessario, vengono quindi digeriti i livelli inferiori, ma non in misura uniforme, bensì in rapporto alla quantità di ricchezza che può esserne estratta ed in che forma, alla difficoltà di estrarla ed all’utilità che i diversi soggetti hanno nel mantenere in vita la struttura complessiva.

Rielaborando l’apologo di Menenio Agrippa, potremmo dire che operai e contadini corrispondono al tessuto muscolare;  possono quindi essere digeriti sotto forma di peggiori condizioni di lavoro e di licenziamenti, ma solo nella misura in cui questo non pregiudica l’assorbimento e la metabolizzazione dell’energia.   Al limite possono essere ridotti in schiavitù, ma non eliminati.   Altra categoria rilevante è quella rappresentata dagli specialisti nell’uso misurato della violenza: militari e polizia.   Qui sta succedendo qualcosa di interessante.   In gran parte del mondo i bilanci militari crescono di anno in anno, in alcuni casi in maniera spettacolare, segno evidente che le classi dirigenti attribuiscono a questo “organo”  una funzione importante sia per l’accaparramento di fonti di sostentamento per il sistema economico, sia per il controllo delle proprie classi lavoratrici.  

Viceversa,  in Europa i bilanci della difesa diminuiscono e sono oramai da tempo finalizzati più al sovvenzionamento dell’industria nazionale piuttosto che all’efficacia dello strumento.   Segno evidente della decisione strategica di rimettere questa funzione alla discrezione ed alla disponibilità degli USA: nipoti-pardoni del nostro continente.   Una strategia che se permette di dirigere su altri settori risorse importanti, ci pone collettivamente nella scomoda posizione di essere non solo un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro, ma anche un vaso pieno di grasso cui la crescente fame del ramo americano del Leviatano ha appena cominciato ad attingere.     Discorso analogo per i servizi di polizia deputati al controllo dell’ordine pubblico e simili incombenze, mentre non si lesinano finanziamenti a quei servizi il cui scopo è il reperimento di risorse per alimentare le parti più vitali del sistema; in particolare i principali gruppi finanziari e la macchina politico-amministrativa che controlla gli stati.

E questo ci riporta alla leggendaria classe media, vera trionfatrice nei decenni di “pasciona” ed oggi principale tessuto di riserva cui attingere.   Non è difficile capire perché:   a) se individualmente la ricchezza accumulata di solito non è molta, collettivamente lo è, specialmente in Europa ed in USA.   b) Il radicato individualismo, la divisione in una miriade di sotto-classi spesso ostili fra loro e la totale impreparazione ad affrontare situazioni di effettivo pericolo rendono questa categoria più facile di altre da digerire.   c) Il sistema può fare tranquillamente a meno della maggior parte di queste persone (professionisti, professori, piccoli commercianti, artigiani, ecc.).   Sono “spendibili”.
Si tratta, evidentemente, di una schematizzazione estrema.   Il sistema è in realtà molto complesso e, come abbiamo accennato, articolato in una miriade di sotto-sistemi tipo “scatole cinesi” all’interno dei quali si riproducono le stesse dinamiche fondamentali.   Ma se qualcuno ha l’impressione di essere finito in un meccanismo che ne drena inesorabilmente la qualità della vita ed il patrimonio non pensi di essere paranoico: è esattamente quello che sta succedendo.   Riduzione degli stipendi ed aumento di imposte od affini sono solo due degli strumenti messi in atto dalla fisiologia famelica del Leviatano.   Un altro importantissimo settore in pieno sviluppo è, ad esempio, il profluvio di regolamenti e leggi che, con pretesti che variano dalla sicurezza alla tutela dell’ambiente, sono in realtà  finalizzati ad obbligare la gente a comprare cose che non desiderano e di cui non hanno bisogno.

Un altro sistema particolarmente perverso è quello delle pensioni, un argomento che esemplifica in modo molto efficace come l’effetto dei “Ritorni decrescenti” possa pervertire il funzionamento delle strutture portanti del sistema economico e sociale.   Mediamente, chi lavora oggi deve versare circa il 50% dei propri introiti non già per assicurare la propria vecchiaia, bensì quella di chi lo ha preceduto e che, avendo guadagnato meglio di lui, oggi usufruisce di una pensione che il lavoratore attuale non avrà mai.   In pratica, un sistema concepito per assicurare una decente vecchiaia agli anziani in un periodo in cui i giovani erano nettamente più numerosi e mediamente più ricchi dei vecchi, si è trasformato in un sistema tramite il quale i pensionati stanno parassitando i giovani e gli adulti del loro stesso paese; della loro stessa famiglia.   Un paradosso ormai chiaro a tutti, ma che non sarà corretto perché i giovani sono politicamente meno importanti degli anziani e, dunque, più spendibili.
Si potrebbe riassumere tutto ciò con quattro immagini rappresentative delle diverse fasi nell'evoluzione del Leviatano:


XVII secolo, è l’immagine di copertina dell’omonimo trattato di Hobbes che ci mostra un organismo giovane e dinamico, in piena fase di sviluppo.

XIX – XX secolo, Il Leviatano è diventato una macchina da guerra invincibile, lanciato alla completa conquista del Pianeta, travolgendo non solo le altre civiltà, ma soprattutto appropriandosi di ogni possibile risorsa e devastando la struttura vitale degli ecosistemi terrestri e marini.

Fine del XX secolo, il Leviatano è ancora una macchina da guerra terribile, ma è decisamente obeso, malgrado alcune sue parti siano scheletriche.   Inoltre, comincia a subire seriamente le conseguenze delle conquiste precedenti sotto forma di inquinamento, diffusione di parassiti e patogeni resistenti, ecc.   La sua forza è ancora tremenda, ma la sua salute vacilla.

XXI secolo.   Ridotto alla fame dalla decadenza quali-quantitativa delle risorse e dall’ipertrofia del suo enorme corpo, divora i suoi stessi componenti per sopravvivere.   Ma differenza di Kronos con i suoi figli, non li rigenera e dunque è destinato ad esaurirli in modo non dissimile da come sta esaurendo tutte le altre risorse.    Un fatto questo che a priori condanna il Leviatano ad una morte lenta ed atroce, ma non l’umanità con lui.   La sua esistenza cesserà man mano che la struttura socio-ecomonico che ne assembla le varie parti ed i singoli individui verrà meno.    Alla fine di questo processo certamente il numero di umani sarà molto inferiore all’attuale, ma comunque consistente: ci potrebbero essere i presupposti per costruire nuove civiltà.   In che modo la fame del Leviatano morente può pregiudicare questa possibilità?    Ce ne occuperemo nel prossimo post.