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martedì 23 aprile 2019

Distruggere il debito - Agonia del capitalismo 6 -

Articolo di Jacopo Simonetta

Sesto articolo di una serie di dieci. I precedenti sono reperibili qui: primo, secondo, terzo, quarto, quinto.   

 

Il debito.

Veniamo adesso ad un argomento cruciale per la sopravvivenza del capitalismo: il debito.  E’ cruciale perché oggi l’intero sistema si basa su di una crescita costante ed equilibrata di debito e PIL.

La parola magica qui è “equilibrata”, perché l’intera massa monetaria è formata da debito pubblico e privato che dovrà quindi essere restituito con l’interesse affinché si possano fare nuovi debiti e cosi' via, teoricamente all'infinito.

L’idea sottostante è che finché l’economia complessiva (reale e finanziaria) cresce in proporzione al debito, questo sarà ripagato ed il gioco potrà continuare per sempre.   E se per fare questo bisogna distruggere risorse ed ambiente, rendere tossiche l’aria e l’acqua, rendere ostile il clima, spazzare via civiltà e culture, sovvertire strutture sociali pazienza; tanto l’ingegno umano  troverà sempre il modo di rimediare.  Anzi, dal momento che la soluzione dei problemi creati dalla crescita richiede spesso grossi investimenti, i problemi stessi diventano motori di ulteriore crescita.  Evviva!

Un giochino che chiaramente funziona solo se non si tiene conto che gli uomini sono oggetti materiali, cosi’ come tutto ciò che usano, consumano e scartano;  Un “dettaglio” che li rende soggetti alle leggi della fisica, della chimica e dell’ecologia, assai più che alla magia dei modelli teorici.  

Comunque, è un fatto che non solo nelle economie sommergenti, ma anche in quelle emergenti il debito sta crescendo troppo rapidamente rispetto all'economia (o l’economia cresce troppo lentamente rispetto al debito, come si vuole).

Per essere più precisi: in tutto il mondo si vede chiaramente che il rapporto debito-PIL è entrato in una fase di ritorni decrescenti (v. immagine di apertura).  Significa che per ottenere un medesimo livello di crescita, è necessario un sempre maggiore incremento del debito.
Incuranti dei limiti fisici alla crescita, per parecchi anni l’aumento del debito è stato favorito da banche e governi, sperando che ciò rilanciasse la crescita, ma anche quando ha funzionato non è stato abbastanza ed ora tutte le economie nazionali del mondo si trovano alle prese con un debito sostanzialmente fuori controllo.  Che fare?

Distruggere il debito.

Non è certo la prima volta che degli stati si trovano sommersi da un debito impagabile e ci sono parecchi modi per uscire dalla stallo.  Vediamoli brevemente.

L’austerità consiste nel contenere al massimo le spese e, contemporaneamente, cercare di aumentare le entrate con ogni mezzo.  Cosa che, nel caso dei governi, significa tagliare i servizi ed aumentare le tasse.   In alcuni casi ha funzionato.   Per esempio, l’Inghilterra del XIX secolo riuscì in questo modo a ripagare l’enorme (per allora) debito contratto durante le guerre napoleoniche.   Ma la cosa richiese circa un secolo e fu possibile grazie al fatto che, in quello stesso periodo, l’Inghilterra era la maggiore potenza coloniale del mondo e la sua economia cresceva comunque, malgrado un livello di povertà estremo per la maggior parte della sua popolazione.  Per farsi un’idea, niente di meglio che leggere i romanzi di Dickens.

In un contesto di stagnazione o, peggio, di recessione, l’austerità non fa che accrescere le difficoltà delle persone, senza risolvere la situazione debitoria.  In altre parole, l’austerità è un eccellente strumento preventivo se usato per rallentare la crescita (oltre che per ridurre il debito) nei periodi economicamente favorevoli, in modo da alleviare la situazione nei seguenti, immancabili, periodi sfavorevoli.  Se, invece, la si usa crisi economica durante, può aggravare anche di molto la situazione (Grecia e Italia docunt).

La ricusazione significa che il debitore dichiara che non pagherà determinate somme, appellandosi ad una qualche motivazione legale, oppure mediante un accordo con i creditori o ancora con un'azione di forza.   Ad esempio è stato parzialmente fatto per la Grecia (il cosiddetto “haircut”).  Inutile dire che ciò è possibile solo in casi molto particolari e parziali.  Nel caso degli stati, quando la cosa è trascurabile dal punto di vista dei creditori; oppure se questi hanno una contropartita politica di altro genere.  Comunque, bisogna che chi ricusa il debito sia in una posizione di forza nei confronti del creditore o, perlomeno, è necessario sia in grado di concordare con i creditori una strategia di interesse comune poiché, se la ricusazione favorisce chi riduce il proprio debito, danneggia chi vede invece svanire il proprio credito.

La bancarotta significa che il debitore non paga perché non può.  Nel caso di privati, i creditori si rivalgono sui beni del debitore, finché ce ne sono.   Nel caso degli stati, significa che i servizi pubblici, gli stipendi, le pensioni e molto altro svaniscono nel nulla, per poi eventualmente riapparire sotto differenti spoglie, ma comunque drasticamente ridimensionati.  Per i cittadini dello stato in questione si tratta comunque di stringere molto la cintura, ma non solo.  Il rischio sistemico è che la bancarotta di un soggetto importante può provocare effetti a catena imprevedibili.   Il caso di Lehman Brothers è solo il più recente e conosciuto.  La bancarotta di uno stato economicamente importante potrebbe scaraventare nel caos la finanza mondiale.

La crescita è considerata la panacea di tutti i mali.  Se, infatti, l’economia cresce più rapidamente del debito, questo sarà ripagato senza problemi e con grande soddisfazione di tutti.   Solo che se ci sono dei problemi, tipo la progressiva riduzione della produttività dell’energia o l’incremento delle esternalità negative (inquinamento, sanità, bonifiche, ecc.), la crescita economica reale sarà limitata o addirittura negativa (anche a fronte di un PIL positivo).   Cioè la crescita, anche quando ci fosse davvero, non può pagare un debito in territorio di “ritorni decrescenti” (v. sopra).  In altre parole, il keynesismo ha funzionato nel contesto in cui lavorava Keynes.  Nel contesto attuale, almeno in moti casi, no.   Anzi si traduce in un ulteriore accelerazione del debito.

La privatizzazione consiste nella vendita a privati del patrimonio pubblico.   Una cosa che ha senso solo in misura molto limitata.  Abbiamo infatti visto che il patrimonio netto degli stati (perlomeno di quelli occidentali su cui si hanno dati affidabili) è circa zero in quanto il valore del debito pubblico equivale grosso modo al valore del patrimonio pubblico.  Ciò significa che, teoricamente, gli stati potrebbero azzerare il debito vendendo strade, caserme, palazzi ed uffici governativi, navi da guerra, scuole, gendarmerie, ecc.   Ma a parte il fatto che per alcuni di questi “asset” non sarebbe facile trovare compratori, una simile operazione comporterebbe che invece di pagare un interesse sul debito, gli stati dovrebbero pagare degli affitti per continuare ad usare le infrastrutture e le attrezzature essenziali al loro funzionamento.   Non un grande affare.


L’imposta straordinaria sul patrimonio (alias Patrimoniale) consiste nell'imporre un prelievo massiccio sui patrimoni privati.  Piketty valuta che, complessivamente in Europa, un prelievo del 15% dei patrimoni privati sarebbe sufficiente ad azzerare il debito degli stati, liberando ingenti risorse pubbliche per investimenti e/o ridurre la tasse sul reddito.    Apparentemente fattibile, specie se la misura fosse ben studiata nel dettaglio, gradualizzandola nel tempo ed articolandola per scaglioni con quote di imposizione fortemente progressive cosi’ da proteggere i piccoli risparmiatori e torchiare i super-capitalisti.  Del resto, provvedimenti del genere si sono già visti in casi di emergenza.  La tassa straordinaria sui patrimoni imposta dal primo governo De Gaule nel 1945 raggiunse il 25% per lo scaglione più alto.   USA ed Inghilterra, durante la II Guerra Mondiale, arrivarono a tassare per il 90% l'aliquota massima dei redditi.

Dunque perché non si fa?  Lo stesso Piketty, strenuo sostenitore di questo tipo di misura, ammette che non è cosi’ facile come sembra.   Intanto i grandi e grandissimi capitalisti sono persone ben addentro alle stanze del potere, dove hanno ampio margine per influenzare le decisioni politiche.  Ne è buona prova attuale il fatto che un provvedimento che mira a ridurre il carico fiscale per i redditi alti ed altissimi (la cosiddetta “flat tax”) viene oggi portato avanti dalla Lega che si autodefinisce un partito “populista”.

Un secondo motivo per cui sarebbe oggi molto più difficile attuare un simile provvedimento, è che i grossi capitali finanziari mutano in continuazione di natura e localizzazione, cosicché è praticamente impossibile tracciarli con sicurezza.  Ma non basta: anche i capitalisti possono spostarsi con estrema facilità nei paesi che gli offrono le condizioni migliori.  Per citare un solo esempio, Gérard Depardieu ha potuto eludere il fisco e la legge francesi diventando cittadino russo in pochi giorni, laddove un comune mortale non avrebbe avuto scappatoia alcuna.

Un provvedimento di questo genere, oggi, potrebbe essere efficace solo se concordato e coordinato dai tutti gli stati principali. Diversamente, sarebbe un'ulteriore "stangata" alla classe media, come già avvenuto con le patrimoniali che si sono succedute nei decenni scorsi.

L’inflazione è da molti considerata l’ultima e più efficace delle medicine, ampiamente usata da tutti gli stati durante il XX secolo.   Se il denaro perde di valore ad un tasso superiore a quello dell’interesse, il debito gradualmente diminuirà fino a diventare insignificante; cosi da permettere  l’accensione di nuovi debiti a tassi maggiori che, però, saranno a loro volta surclassati dall'inflazione.   E’ sostanzialmente cosi’ che tutti i paesi europei si sono sbarazzati degli immensi debiti conseguenti la II Guerra Mondiale e la ricostruzione.   Ed è la strategia che da un paio di anni ha avviato la BCE, su pressante insistenza di parecchi stati dell’UE (fra cui l’Italia).   Ma anche questa medaglia ha un rovescio: assieme ai debiti svaporano i risparmi, gli stipendi e le pensioni, tranne per coloro che sono in grado di fare investimenti molto redditizi, o di ottenere aumenti frequenti e consistenti.

Nel periodo del “miracolo economico” postbellico, la combinazione di una forte crescita economica e di agguerrite organizzazioni sindacali fece si che la maggior parte delle persone non ebbero a soffrire dell’elevata inflazione (al netto di qualche vecchio possidente).  Viceversa, il contesto di stagnazione (o recessione) in cui vivono e vivranno la maggior parte degli occidentali (e poi anche degli altri) fa si che l’inflazione oggi non sia che un sistema molto efficace per pompare soldi dalle tasche dei cittadini, al netto di coloro che possono contare su stipendi molto elevati e/o di patrimoni molto importanti.

Insomma, come dicevano sia Keynes che Lenin,  l’inflazione è il modo più efficace con cui uno stato può appropriarsi della ricchezza dei cittadini senza che questi si possano difendere.
In altre parole, l’inflazione tende a favorire chi ha molti debiti (a partire dallo stato), chi dispone di grandi patrimoni finanziari e chi è in grado di accrescere rapidamente le proprie entrate, mentre danneggia tutti gli altri e soprattutto le “formichine”.

Se non bastasse, l’esperienza recente di economie fino a poco tempo fa forti, come il Venezuela, ci insegna che l’inflazione è un attrezzo scivoloso che facilmente sfugge di mano, col risultato di distruggere la moneta e l'economia.

Conclusioni 6

Il debito pubblico e privato stanno schiacciando le economie del mondo, sia pure con situazioni molto diverse a seconda dei paesi.   Ci sono molti modi per sbarazzarsene, ma tutti hanno un punto in comune: i super ricchi se la cavano, mentre la gente normale si fa molto male.  Finché il debito permane e cresce, si soffre perché bisogna pagarlo (direttamente od indirettamente); quando cessa, invece si soffre perché svaniscono anche buona parte dei risparmi, degli stipendi e delle pensioni.  Amen.

Unica, parziale, eccezione potrebbe essere rappresentata da un forte aumento delle imposte sui redditi e sui patrimoni molto elevati.  Ma, come giustamente osserva lo stesso Piketty, un simile provvedimento sarebbe possibile ed efficace solamente a due condizioni:

La prima è che la manovra fosse concordata ed attuata in modo unitario perlomeno in tutta l’Europa.  

Vale a dire che, fra le altre cose, presuppone un livello di integrazione transnazionale molto più elevato dell’attuale.  “Solo l’integrazione politica europea permetterebbe di tentare una regolazione efficace del capitalismo patrimoniale globalizzato del secolo che si apre” (Piketty 2013, p 945).  Una prospettiva alquanto remota che, paradossalmente, proprio molti partiti e movimenti di protesta popolare si affannano a rendere più lontana, anziché più prossima.

La seconda è che, conti alla mano, per fornire un gettito quantitativamente efficace, la tassa dovrebbe necessariamente intaccare sensibilmente anche i patrimoni della classe media, risparmiando solo i pesci molto piccoli.  In altre parole, un provvedimento requisitorio solo nei confronti dei miliardari o dei multi-milionari avrebbe un effetto politico importante, ma un effetto sul debito statale marginale.  Lo stesso Piketty stima che la tassa sul patrimonio che caldeggia, dovrebbe incidere su tutti i patrimoni sia pure con una forte progressività.   Una misura che potrebbe avere conseguenze più serie del previsto sul sistema e rivelarsi controproducente in un’ottica di resilienza complessiva della società.  Ci torneremo.


lunedì 30 maggio 2016

Equità sociale e distruzione del Pianeta.


Una maggiore equità sociale viene sempre più spesso invocata dai piani basali ed intermedi della piramide sociale e con ottime ragioni.   Un simile livello di disparità non si era infatti mai visto, perlomeno nella storia della civiltà industriale.   Ma probabilmente neanche prima, sebbene i confronti con economie strutturalmente diverse siano difficili.

A scanso di equivoci, preciso subito che a mio parere questa è un'infamia che deve finire.   Ma il punto di questo post è un'altro. Molti sostengono che ridurre questa estrema disuguaglianza avrebbe importanti effetti positivi non solo sul piano socio-economico, ma anche su quello ambientale.    Siamo sicuri che sia così?


Equità sociale e consumi

Confronto fra reddito procapite (in azzurro)
ed emissioni di CO2 (in rosso).
Il punto principale di chi sostiene la sinergia fra riduzione dell’iniquità e degli impatti ambientali vi è l’ovvia osservazione che i ricchi consumano molto di più dei poveri.   Ciò è fuor di dubbio, ma quanto?

Che io sappia, non esistono studi che analizzano i gli impatti umani per classi sociali, ma un’idea molto approssimativa è possibile farsela confrontando i dati relativi ai diversi paesi.   A condizione di tenere ben presente che in ogni paese ci sono sia ricchi che poveri.

Un punto di partenza può quindi essere confrontare come variano le emissioni di CO2 (che possiamo considerare un indicatore correlato agli impatti complessivi) in rapporto al reddito pro-capite (dati Word Bank e Wikipedia rispettivamente).

Vista la carenza di dati a disposizione, faremo qui la grossolana approssimazione di considerare che il PIL sia indicativo del reddito.    In realtà sono due cose diverse, ma che possiamo considerare come abbastanza strettamente correlate.

Come c’era da aspettarsi, fra i due parametri c’è una correlazione, ma non univoca e non lineare.   Anche facendo astrazione da alcuni dati fortemente anomali, risulta evidente che le emissioni di CO2 aumentano con il reddito, ma in misura meno che proporzionale.   L'incremento delle emissioni è infatti molto rapido a fronte di modesti incrementi dei redditi molto bassi; poi salgono piuttosto lentamente, per tornare ad impennarsi presso i ricchissimi.    Fluttuazioni importanti dipendono da altri fattori quali clima, geografia, struttura sociale, tradizione, eccetera.

Ora, a titolo di esercizio mentale, prendiamo per buona l’indicazione che l’1% della popolazione mondiale si accaparra il 50% della ricchezza del pianeta.    Significa che circa 75 milioni di persone hanno un reddito pro-capite di circa 500.000 dollari l’anno.

Prima sorpresa, almeno per me.  Se la media è mezzo milione ed in questo novero vi sono almeno un centinaio di multimiliardari (dati Forbes), significa che fra i ricchi che sfruttano indebitamente il prossimo possiamo annoverare tutti coloro che guadagnano, diciamo, dai 200.000 $ l’anno in su.   Cioè anche un vasto numero di alti dirigenti pubblici e privati, grandi professionisti ed un sacco di altre persone che magari conosciamo personalmente.   E che, in alcuni casi, sono anche delle brave persone.

Immaginiamo adesso che, senza scatenare una guerra, sia possibile ridistribuire tutta questa ricchezza sul 99% dell’umanità.   Farebbero circa 5.000 $ a testa.   Anche a parecchi di noi abitanti del “primo mondo” farebbero molto comodo ed alla maggioranza della popolazione mondiale cambierebbero drasticamente la vita.   Miliardi di persone potrebbero finalmente permettersi di mangiare a sazietà, vestirsi decentemente, abitare in case anziché in  baracche, mandare i figli a scuola, curare i malati e molto altro ancora.   Altri, già più fortunati, potrebbero andare in vacanza o comprare una macchina. Con quali conseguenze per il Pianeta?

In prima ed estremamente grossolana approssimazione, possiamo classificare l’umanità in quattro meta-categorie:  I super ricchi (che abbiamo stimato essere circa 75 milioni), la “Middle Class”  (che secondo “The Economist" comprenderebbe circa la metà della popolazione attuale, cioè poco più di 3 miliardi), i poveri (che possiamo stimare per differenza in 2 miliardi) ed i miserabili (che secondo la FAO sono circa 1 miliardo).   Una ripartizione così sommaria è giustificata dal fatto che le emissioni di CO2 di queste categorie variano fra loro per ordini di grandezza.

Confrontando i redditi e le emissioni pro-capite per paese, possiamo infatti arguire che, probabilmente, I ricchissimi producono intorno alle 50 tonnellate di CO2 pro-capite/anno, i medi  circa 10 tonnellate, i poveri  intorno a 4 e i poverissimi qualcosa come 0,1.   Si noti che passando dalla quarta classe (miserabili) alla terza (poveri) vi è un incremento di 40 volte; dalla terza alla seconda di 2,5-3 volte, dalla seconda alla prima di 5 volte.

Ovviamente, l’auspicata maggiore equità sociale provocherebbe la scomparsa della classe dei miserabili e di quella de super-ricchi; promuoverebbe i poveri nella classe media mentre, all’interno di questa, ci sarebbe un sensibile spostamento verso l’alto del reddito, molto più sensibile dalla parte bassa e marginale da quella alta della categoria.

Ora, sottraendo le emissioni di coloro che perderebbero i soldi ed aggiungendo quelle di coloro che ne guadagnerebbero, possiamo molto approssimativamente stimare che l’operazione “Robin Hood” porterebbe il tasso di emissioni intorno ai 70 miliardi di tonnellate/anno, cioè quasi il doppio dell’attuale.

Non solo.   L’operazione comporterebbe una netta diminuzione della mortalità fra i poveri, provocando un brusco incremento nel tasso di crescita nella popolazione terrestre.   Incremento probabilmente aggravato dall'aumento della natalità che, di solito, si associa ad una visione ottimistica del futuro.

Comunque, una simile operazione, aumentando i consumi di miliardi di persone e riducendoli per milioni, aumenterebbe vertiginosamente la pressione su tutte le risorse residue (energia, cemento, tessili, cibo, acqua, ecc.), aumentando di conserva ogni forma di inquinamento.   Insomma, un brusco ritorno della crescita economica, con tutto ciò che ne consegue.


Equità sociale nei modelli

Scenario con limitazione delle nascite
ed equa distribuzione dei prodotti.
Si può facilmente obbiettare che il ragionamento pecca di eccessivo empirismo ed approssimazione.   Purtroppo è però coerente con le indicazioni che ci vengono da quello che ad oggi continua ad essere il miglior modello dinamico del sistema economico-ambientale globale.

Nell’edizione del 2004 (Limits to Growth: The 30-Year Update) il gruppo dei Meadows propose, fra gli altri, un scenario in cui si ipotizza ch,e a partire dal 2002, la natalità globale non superi la media di due figli per coppia e che venga praticato un efficace razionamento dei prodotti industriali ad un livello  del 10% superiore rispetto alla media globale del 2.000.   Vale a dire molto meno per i ricchi e molto di più per i poveri.

Rimandando al testo per i dettagli,  è interessante vedere che queste condizioni allungano la fase di picco delle curve della produzione e della popolazione, prolungando quindi il periodo di benessere per una ventina d’anni.   Dopodiché avviene comunque un collasso sistemico analogo a quello dello scenario BAU (Business as Usual, o "scenario base" che dir si voglia).

E si badi bene che la maggior parte di coloro che reclamano una più equa distribuzione dei beni si guardano bene dal parlare di un’efficace limitazione della natalità. Nel libro non viene illustrato lo scenario con ridistribuzione dei beni senza controllo delle nascite, ma non ci vuole molto a capire che la popolazione crescerebbe molto rapidamente, mandando rapidamente  in collasso il sistema.

Uno degli scenari del modello HANDY
Un secondo modello che, in qualche modo, prende in conto il livello di iniquità sociale, è il popolarissimo HANDY, prodotto da alcuni ricercatori della NASA.  
Sotto il profilo scientifico il modello ha enormi lacune. Ad esempio, considera la capacità di carico una costante e trascura le retroazioni fra sviluppo di una élite, aumento della complessità e capacità di dissipazione dell’energia da parte di una società.   Ciò porta a scenari anche assurdi, come quello in cui i predatori (l’élite) crescono anche dopo il collasso delle prede (la gente comune).

Tuttavia il modello ha il merito di essere il primo che tenta di inserire l’elemento sociale in questo tipo di modelli.   In attesa di meglio, possiamo penso prendere per buona l’indicazione di larga massima che livelli moderati di disuguaglianza tendono a rendere più stabili e resilienti le società.   A braccio, direi che un’occhiata alla storia conferma l’ipotesi.

Ciò è coerente anche con le indicazioni di Word3 e con quanto osservato nel paragrafo recedente.   Una società più coesa ed una classe dirigente più legittimata fanno infatti parte degli elementi che tendono a prolungare la fase di picco di una società, ma da sole non possono evitarne il collasso sistemico.   Anzi, quando siamo ampiamente al di sopra della capacità di carico, proprio la maggiore resilienza del sistema socio-economico finisce col giocare un ruolo negativo.   Tende infatti a ritardare il collasso, ma accrescendone la gravità che è funzione del tempo di permanenza al di sopra della capacità di carico stessa.

Del resto, un modello reale lo abbiamo già visto.   Per farsi un’idea basta osservare le curve di emissione degli USA e della Cina fra il 1990 ed il 2009.   L’economia USA ha arrancato fra una crescita del PIL tutta concentrata nella “topo class” ed un deterioramento dei livelli di vita della classe media.   Il risultato è stato una modesta riduzione delle emissioni.   In Cina il tenore di vita della maggior parte della popolazione è aumentato considerevolmente, con le conseguenze locali e globali che sappiamo.

Immaginiamo di fare il bis, con aggiunta la crescita demografica che i cinesi hanno finora contenuto efficacemente.

Qualcuno davvero pensa che la Terra potrebbe resistere?

Ridistribuzione dei redditi e politica

L’Impero Inca era per molti versi simile ad una società sovietica in versione neolitica.   I fondamenti del potere erano infatti una capillare militarizzazione dello stato e la venerazione per l’Inca (qualche secolo dopo si sarebbe parlato di “culto della personalità”).  Questo secondo fattore veniva mantenuto, fra l’altro, tramite un efficace sistema di tassazione che rastrellava a beneficio dell’erario tutto il mais non strettamente indispensabile ad una misurata sussistenza delle famiglie.   Parte di questo raccolto veniva quindi trasformato in birra e solennemente ridistribuito ai contadini in occasione di festività dedicate all'adorazione dell’Inca che, solo, era capace di donare la birra al popolo.

Questo è solo uno degli infiniti esempi che potrebbero illustrare il fatto che le élite che sono durate a lungo hanno sempre avuto molta cura nel ridistribuire una parte di ciò che accaparravano, in forme e modi tali da consolidare il loro potere.   Non per nulla proprio contro questi sistemi si scagliavano i fulmini dei marxisti e degli anarchici dell’800.

Una lezione che le élite attuali, perlopiù composte da pirati e sociopatici (con qualche rara eccezione) non sembrano in grado di capire.

E’ vero però che i miliardari sono ricchi ed io no, il che potrebbe far pensare che in materia di denaro e di potere la sappiano più lunga loro di me.   Ciò nondimeno, ritengo che una parziale ridistribuzione dei redditi avvantaggerebbe primi fra tutti i ricchi, consolidandone il potere.

In secondo luogo favorirebbe i poveri ed i medi la cui vita migliorerebbe, non solo sul piano materiale, ma anche per il ridursi di questa snervante sensazione di essere quotidianamente defraudati ed ingannati.

Tuttavia sarebbe un miglioramento molto temporaneo.   La crescita dei consumi globali e la crescita demografica che ne deriverebbe si rimangerebbero il vantaggio nel giro al massimo di un paio di decenni, se non prima per lo scatenarsi di un’inflazione incontrollabile.    Poi tutti precipiterebbero in un baratro ancora peggiore di quello che probabilmente ci aspetta.

Magari,  se lo si fosse fatto molto tempo fa poteva andare diversamente, ma si parte sempre dalla situazione attuale ed una lezione molto importante dataci da Donella Meadows è che gli stessi interventi, attuati in periodi diversi, possono avere effetti divergenti.   Ma anche cambiare la scala ed il contesto possono modificare gli effetti di determinati interventi.  

Cosa potrebbe infatti succedere se non tutti, ma un solo grande paese decidesse di praticare una drastica ridistribuzione dei redditi?    Siamo nella fanta-politica pura, ma possiamo azzardare qualche ipotesi.

Partendo dal presupposto che ciò aumenterebbe i consumi e consoliderebbe la struttura sociale, possiamo immaginare che il paese in questione vedrebbe una qualche ripresa economica ed una netta diminuzione della conflittualità interna.  Se la maggior parte della ridistribuzione avvenisse tramite alleggerimenti fiscali e miglioramento di servizi essenziali, si potrebbe assistere ad una vera, relativa, fioritura del paese in questione.   Ciò aumenterebbe il suo potere sugli altri paesi che avrebbero due opzioni possibili: imitarlo (ricadendo nel collasso globale di cui si è detto prima),  oppure combatterlo (provocando un brusco aumento di conflittualità internazionale, con tutte le conseguenze del caso).  

Dunque, oltre ad un'improbabile volontà in tal senso, sarebbero necessarie almeno tre condizioni:
La prima sarebbe essere in grado di evitare ogni crescita demografica che, inevitabilmente, finirebbe col rimangiarsi il vantaggio.   Ciò significa non solo controllo della natalità, ma anche evitare di investire troppo in servizi agli anziani per concentrarsi invece sul recupero di risorse vitali quali acqua, aria, biodiversità, cultura, ecc.    Ciò significa anche essere in grado di respingere i migranti attratti proprio dalla fiorente economia.

La seconda sarebbe ancora sigillare i confini, stavolta per evitare invece la prevedibile fuga di capitali e/o tecnologie.

La terza sarebbe che tale paese fosse in condizione di assicurarsi i necessari flussi di input ed autput, anche contro un possibile boicottaggio degli altri.  Anche con la forza, se indispensabile.

In altre parole, questo ipotetico paese sarebbe una grande potenza che limita la propria crescita, ma che neppure esita a sfruttare gli altri paesi.  Una cosa che potrebbe fare solamente un paese abbastanza grande da poter sostenere il confronto con tutti gli altri e che non lesinasse sulle spese militari.  Forse gli unici (sempre in termini fantapolitici) che potrebbero provarci sarebbero gli USA e la Cina.    Forse anche gli europei a condizione di far funzionare una vera federazione (questa si che è fantapolitica pura!).

Insomma un fenomeno geo-politico che non si è mai visto nella storia.   Possono assomigliarci un poco il Giappone Edo e la dittatura di Balaguer nella Repubblica Dominicana.   Ma, a parte che si trattò in entrambi i casi di governi molto autoritari (per non dire dispotici), non furono comunque in grado di garantire la propria sopravvivenza.  Il primo sopravvisse finché durò il suo isolamento, mentre il secondo finché fu protetto da una potenza coloniale (al caso gli USA).

Tornando sulla Terra, non solo la classe dirigente non mostra alcuna intenzione di ridistribuire il proprio reddito, ma se lo facesse accelererebbe  il collasso sistemico della civiltà industriale.   A meno che il processo non avvenisse abbassando i redditi dei ricchi, senza incrementare quelli dei poveri e, contemporaneamente, adottando drastici sistemi di controllo demografico.  

Ma questa è l’unica opzione in grado di unire tutti nell'essere contrari.