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martedì 15 agosto 2017

Cosa resterà di questi 40 gradi?

Qui sopra, temperatura a Sesto Fiorentino, Firenze, misurata i primi di Agosto. Sembra che ormai il peggio sia passato, ma quest'anno è stata molto dura, come commenta qui di seguito Stefano Ceccarelli. 


di Stefano Ceccarelli
da Stop fonti fossili!

Quando la stagione che hai aspettato un anno intero diventa un inferno di fuoco, la vita non è più la stessa, come un ingranaggio ben oliato che di punto in bianco si ingrippa per sempre.

Quando si somma al bruciore di un caldo insopportabile, la luce intensa dell’estate non è più naturale portatrice di buonumore e voglia di vivere, e dunque cessa di essere quel rilassante liquido amniotico in cui immergersi una volta l’anno per rigenerare lo spirito, diventando piuttosto qualcosa di maligno da cui difendersi per sopravvivere, barricandosi in casa con le tapparelle rigorosamente abbassate. Le folte schiere dei depressi, dei fragili, dei poveri di spirito e di tasche, ne subiranno le ripercussioni negative nei mesi a venire, quando saranno nuovamente afflitti dai consueti fardelli.

Un’intera settimana a quaranta gradi come quella appena trascorsa viene subìta come una violenza dai corpi e dalla psiche di individui di una progenie evoluta in un clima temperato, geneticamente non programmata per vivere mesi interi immersi in una bolla melmosa d’aria tropicale. Dove è finita l’estate mediterranea, il caldo gradevole (di rado eccessivo), le serate in cui godere del fresco e spalancare le finestre? Che fine hanno fatto i generosi temporali rinfrescanti, quasi mai violenti, che dissetavano i terreni restituendoci i colori, l’abbondanza e i sapori autentici degli ortaggi di stagione? Perché l’Anticiclone delle Azzorre, quella tanto agognata “A” che fra giugno e luglio dall’Atlantico vedevamo avvicinarsi all’Italia nelle mappe meteorologiche illustrate in TV dal Colonnello Bernacca, ha lasciato il posto ad opprimenti, inamovibili alte pressioni africane che sembrano voler accompagnare i migranti che si spostano a nord?

Come sappiamo, la risposta che la scienza fornisce a queste domande, incardinata in un inappellabile j’accuse nei confronti dell’economia globalizzata alimentata dai combustibili fossili, è ancora testardamente negata dai molti che a sprezzo del ridicolo continuano a recitare la vecchia litania secondo cui “in estate ha sempre fatto caldo”.

Eh, no!  Come abbiamo imparato sulla nostra pelle, o meglio, come ci insegna la nostra pelle perennemente sudata, c’è caldo e caldo. Nelle città a quaranta gradi, la vivibilità è devastata: basta guardarsi intorno per scorgere facce allucinate, impregnate di una impalpabile infelicità; basta parlare con il primo che passa per intuire dalle banali frasi di circostanza una quotidianità fatta di nervi a fior di pelle, malesseri diffusi, lucidità mentale compromessa, ritmi biologici sconvolti dall’insonnia. Come se non bastasse, l’onnipresente asfalto e la scarsa copertura arborea amplificano il disagio già estremo, rendendo palese quanto il modello di sviluppo urbano realizzato negli anni del boom economico sia inconciliabile con gli scenari di cambiamento climatico. E per difendersi alla meno peggio dal caldo, chi può aggiunge benzina sul fuoco dei malcapitati pedoni delle strade arroventate: dalle auto in sosta con il motore acceso e il ronzio delle ventole di raffreddamento perennemente in funzione, al vento caldo sputato violentemente fuori dai condizionatori accesi negli edifici, tutto sembra congiurare contro chi, non potendo o volendo, si ostina a non aggiungere altro inquinamento e altre emissioni climalteranti all’inferno cittadino.

Ma in mezzo a tutto ciò, volenti o nolenti ci siamo noi, c’è la carne viva di donne e uomini che lavorano, in condizioni spesso intollerabili. Se la dignità del vivere fosse seriamente tenuta in considerazione e se l’articolo 1 della Costituzione italiana non fosse carta straccia, si dovrebbero ripensare per legge i tempi e le modalità di lavoro nelle città bruciate dall’arsura. Perché faticare per le strade o nei cantieri nelle ore più assolate mentre si viene rosolati in un forno non è più un’attività assimilabile al lavoro, quanto alla schiavitù. Naturalmente una siffatta proposta è politicamente impraticabile, perché the show must go on, ma del resto, di che ci meravigliamo, non è in fondo schiavitù ciò che ci fa muovere come burattini impazziti in un mondo che si trascina e ci trascina dritti verso l’Armageddon? Non è schiavitù ciò che ci impedisce di fermarci a riflettere, a guardarci l’un l’altro negli occhi e a chiederci qual è il senso di questa perenne agitazione?

*********
Oltre a ciò che sono stati, c’è da chiedersi cosa resterà dei quaranta gradi di questi giorni. Del nostro benessere fisico e mentale messo a dura prova si è già detto. Quanto a ciò che ci circonda, anche se i media non vedono l’ora di farci dimenticare questa ennesima “emergenza” lasciando il posto ad altre più o meno azzeccate priorità, si può scommettere che la spaventosa successione in crescendo rossiniano delle ondate di calore di questi due mesi lascerà il segno. Lo lascerà negli ecosistemi stressati, nei boschi senza vita devastati dalle fiamme, nelle zolle di terra indurite e inaridite su cui la prossima pioggia torrenziale scivolerà via, nei tanti fiumi e laghi ridotti a rivoli o pozze maleodoranti, nell’agricoltura in ginocchio, nelle falde freatiche sovrasfruttate oltre ogni limite per sopperire alla penuria d’acqua indotta da una siccità inedita per durata e intensità, nei cunei salini che si infiltreranno inesorabilmente nelle acque dolci sotterranee delle zone costiere, nei sempre più striminziti ghiacciai alpini.

In una parola, lascerà un segno, speriamo non indelebile, nella Natura agonizzante torturata dalla più evoluta ed ingrata delle sue creature.


lunedì 26 giugno 2017

Darwinismo Sociale


Questo post di Filippo Musumeci è parte di una serie di storie molto brevi che riprendono figure storiche di scienziati e di filosofi, viste in modo spesso umoristico e satirico. Qui, Musumeci prende bonariamente in giro Darwin e sua moglie, Emma, nota per le sue idee religiose e per la sua critica alle teorie del marito. Il soggetto di questo post è leggermente al di fuori di quello del blog "Effetto Risorse", ma credo che questa passeggiata intorno al concetto di "Darwinismo sociale" sia particolarmente appropriata in relazione ad alcuni concetti che ho esposto riguardo alla reazione umana rispetto al cambiamento climatico. Se la situazione è così brutta come sembra essere, allora la reazione dello straccivendolo descritta da Musumeci è quella più efficace, anche se non necessariamente quella moralmente accettabile. Vedi "Cambiamento Climatico: quanto si può essere disperati?" Per contattare l'autore: film2012ct(spirulina)yahoo.it


Guest Post di Filippo Musumeci

Darwinismo sociale (Titolo originale: Darwinian Tea-time*).

Down House, Downe, Kent, UK – 1846 (tarda primavera):

-Ancora un po’ di tè, caro?

-Grazie, Emma; ne prenderò un’altra tazza, se non ti spiace.

Una perfetta scena di gioiosa vita familiare in un pomeriggio Inglese pieno di sole. Mentre le voci dei bambini intenti a giocare sulla veranda facevano da contrappunto al cinguettio dei passeri, la giovane donna servì la bevanda fumante al marito, che scorreva la pagina del times.

-Scusami Charles, posso interromperti per qualche minuto?

-Oh … certamente cara. Cosa posso fare per te?

-Ecco, c’è una domanda che mi gira in testa da stamane. Ci ho pensato mentre ero intenta a riordinare i tuoi appunti.

-Si?

-Bene, come mi hai spiegato tempo addietro, tu sostieni di aver trovato la maniera di conciliare l’idea della comparsa di forme sempre nuove della vita nel corso del tempo con l’evidenza mostrata dall’osservazione della natura nel nostro tempo.

-Infatti, Emma. Ricordi cosa sostiene monsieur de Lamarck nella sua Philosophie zoologique? Egli postula l’esistenza di uno sforzo attivo delle creature, uno slancio vitale che le spingerebbe a migliorare se stesse, chi in maggiore chi in minor misura, una spinta ad ottenere più cibo, più spazio vitale e … un maggior numero di piccoli, naturalmente. Questo impulso, in modi che non conosciamo nei dettagli, avrebbe affinato nel corso del tempo i corpi dei più sagaci e determinati tra loro, come un rasoio viene affilato dalla mola; nel corso di molte generazioni, questo processo renderebbe i loro muscoli più forti e scattanti, i sensi più acuti e le menti più pronte, fino a quando l’ennesima generazione discendente dai migliori esemplari della specie diverrebbe così diversa dai discendenti dei meno dotati da costituire, di fatto, una specie separata. Qualcuno sostiene anche che si tratterebbe di una specie migliore della sua progenitrice. Tuttavia io non sono tra costoro; in quale senso una giraffa sarebbe migliore di un daino, infatti?

-Solo che questa idea contrasta con quanto è scritto nella Genesi.

-Emma cara, anche il fatto che la Terra ed i pianeti orbitano intorno al Sole contrasta con le Scritture. Eppure, Newton ha dimostrato che il mondo va così. Non possiamo certo reprimere ogni aspirazione alla conoscenza della natura e delle sue leggi, e rimanere vincolati da parole scritte migliaia di anni fa da uomini che probabilmente non conoscevano neppure la più elementare geometria, per quanto, essendo divinamente ispirate, esse meritino comunque il nostro rispetto. Che ne sarebbe allora del progresso? Che ne sarebbe del nostro dominio sui mari, sui popoli selvaggi, della nostra civiltà? La Bibbia non è un libro di filosofia naturale, ecco tutto, con buona pace di quel che ci vorrebbero imporre il Papa o l’arcivescovo di Canterbury. So come la pensi su queste cose, mia cara, ma ti assicuro ...

-Oh, no Charles. Non temere, non si tratta dei miei soliti timori. Stavolta non intendo affatto ammonirti  a proposito delle conseguenze che il tuo lavoro potrebbe avere per te. Quel che non mi da pace è una cosa diversa.

-Allora spiegati meglio.

-Ecco, tu concordi con coloro che attribuiscono a questo nostro mondo una età ben più lunga di quella riconosciuta dalle genealogie della Bibbia; fino a questo punto, sono d’accordo anch’io.

-Non si tratta di concordare, Emma, ma di riconoscere l’evidenza. Come il professor Lyell e molti altri hanno dimostrato oltre ogni dubbio, non c’è modo naturale in cui le montagne, i letti dei fiumi, le grandi pianure, possano essersi formate in un tempo così breve. Occorrono milioni di anni, cosa che corrisponde a milioni di generazioni della vita.

-Lo so, caro. Ho detto che questo mi trova perfettamente d’accordo.

-Anche la spontanea apparizione di esseri che, nati da genitori tipici di una specie, mostrano tuttavia una complexion che non corrisponde a quella canonica della loro specie, è una realtà indiscutibile. Troppe testimonianze autorevoli e troppi reperti la confermano, per poterne dubitare.

-Non sarò io a metterlo in dubbio, Charles. Dopotutto, non hai sposato una contadina ignorante che si segna e invoca la Beata Vergine quando nasce un vitellino con due teste. Quel che mi rende perplessa invece, è la tua spiegazione della forza che chiami selezione naturale.

-Ti rende perplessa? Ma se quella è la parte della mia tesi che ha le fondamenta più salde. Emma, io sto rimandando da anni la pubblicazione perché so molto bene come verrò criticato e attaccato da ogni parte: dai bigotti, dagli umanisti, dai filosofi di scuola Francese, dai socialisti. Cerco una conferma dopo l’altra, in ogni possibile forma vivente, animale o vegetale, che colleghi le specie l’una all’altra, che ne mostri la derivazione, lo sviluppo. Voglio rendere le mie tesi inattaccabili, a costo di farne un testo così monumentale da indurre alla noia. Ma il processo della selezione naturale è il solo punto ineccepibile, basato su una logica ferrea. Infatti è il solo su cui tutti gli amici che ho messo a parte del mio lavoro abbiano concordato in modo unanime.

-Ma Charles, io non discuto affatto la validità scientifica di questa “selezione naturale”. E’ il suo aspetto morale che non condivido.

-Morale?

-Si, caro. Non ti accorgi che essa fa sì che il successo sia determinato dalle peggiori qualità morali?

-Adesso sono io a restare confuso, Emma. Vuoi spiegarti meglio?

-Beh … posso raccontati una storia che ho sentito da un’amica?

-Fai pure.

-Bene, ma ti avverto che non è una storia che sta bene sulle labbra di una signora.

-Oh,… qualcosa di licenzioso, Emma cara? Stavolta mi hai proprio incuriosito.

-No, non proprio. Si svolge in India. Potremmo chiamarla una storia proprio così*.

-Sentiamo.

“Nel folto della jungla, due uomini corrono a rotta di collo, inseguiti da una ferocissima tigre mangiatrice d’uomini. Vengono dallo stesso villaggio ma non viaggiavano insieme; non prima di questo assai spiacevole incontro, almeno.Uno di essi è un sacerdote indù della casta più elevata, Sanjay Savitar Sekar, il cui nome significa raggio di Sole vittorioso sul picco**. L’altro è uno straccivendolo sudicio chiamato Naveen Naga, che vuol dire novello serpente; e ti assicuro che mai nome fu più azzeccato di questo.A un certo punto, il più intelligente tra i due dice all’altro: -Temo che siamo spacciati, amico Naveen. Ormai siamo troppo lontani dal villaggio per ricevere soccorso gridando aiuto, e sai bene che non c’è uomo che corra più veloce di queste bestiacce, quando sono affamate. Tra un minuto buono ci avrà raggiunti, e per noi sarà la fine.Lo straccivendolo, che corre al suo fianco, sembra pensarci per qualche secondo. Poi, d’improvviso, allunga il piede a fare lo sgambetto al bramino, che cade rovinosamente gridando per la sorpresa, e prosegue nella sua corsa spedito come prima”.

-Oh Emma, ma ti sembra una bella storia questa? Mi raccomando, non raccontare mai nulla del genere ai bambini.

-Non ne ho alcuna intenzione Charles, credimi. Ma tu cosa ne dici? Non vedi come questa stupida storia esemplifichi l’aspetto morale della tua “selezione naturale”?

-In effetti può darsi che lo faccia, in un certo senso. Però c’è qualcosa che non mi è affatto chiaro. Mi sembrava di aver capito che il sacerdote è il più intelligente dei due, non è così che hai detto?

-Infatti, caro. L’altro, lo straccivendolo, è solo il più carogna; ma è lui a sopravvivere. Del resto, non c’è da stupirsene. Tu, ad esempio, sei certamente più intelligente di me, Charles, ma suppongo che ricordi bene come va a finire ogni volta ci sfidiamo al Backgammon.

-D’accordo, Emma; anche questa volta la vittoria è tua. Ah, se penso che sei tu a temere che io possa meritare la dannazione eterna per la mia poca fede ...




Note

Il titolo originale è un omaggio al bellissimo racconto Biliardo darwiniano o L’eterno interrogativo (Darwinian pool room - 1950) di Isaac Asimov.

Le Storie proprio così (just so stories for little children) sono racconti fantastici per bambini della narrativa Inglese d’epoca vittoriana/edoardiana. Ne fu autore Rudyard Kipling (prima pubblicaz. 1902) ed hanno di solito, ma non sempre, per protagonista un animale, del quale un aneddoto mitico spiega come esso abbia acquisito una particolare caratteristica, attraverso un intervento di tipo magico o per intervento dell’uomo, oppure come avvenne per la prima volta un determinato evento o come l’uomo inventò qualcosa. Eccone alcuni esempi:

Come nacque la paura – (1895) in “Il secondo libro della jungla”;
La triste storia del vecchio padre canguro;
Come la balena ebbe la gola stretta;
Come fu scritta la prima lettera;
Come il leopardo ebbe le sue macchie.


I significati dei nomi Hindi sono autentici.


Ritengo che questa storia di fantasia meriti un commento:

Il “Darwinismo”, termine che descrive l’insieme delle teorie che si fanno risalire a Darwin e Wallace da una parte con i successivi contributi da parte di Mendel, Morgan, Müller e di tutti i biologi evoluzionisti e  i genetisti fino ad oggi, è notoriamente materia di grandi e inestinguibili controversie, e lo è fin dall’inizio; soprattutto quando Darwin pubblicherà (il racconto precede quel momento) i suoi risultati circa l’origine dell’Uomo. Ora, questa controversia non si è sviluppata tanto in sede scientifica e accademica, ma nell’ambito politico.

I detrattori di Darwin e delle sue idee sostenevano che esse fossero false perché negavano la creazione divina dei regni della natura vivente e, in special modo, quella dell’Uomo. Col passare degli anni, l’accumularsi delle osservazioni, degli esperimenti, ha costretto tutti tranne i più facinorosi (quelli pronti a negare perfino l’evidenza dei sensi pur di difendere le loro posizioni a priori) ad ammettere che il binomio mutazioni casuali-selezione naturale è dimostratamente in atto nel mondo naturale. Essi si sono perciò rifugiati su posizioni di retroguardia (ricordiamo l’Intelligent Design di oggi, il Lamarckismo, il Micurinismo di Lysenko) e su tutta una serie di teorie che vorrebbero rimpiazzare l’evoluzionismo.

Quel che gli “avversari” dell’evoluzione non riescono a digerire della teoria – sul piano, appunto, delle idee – sono due punti in particolare:

1) la casualità delle mutazioni, che per loro è una negazione del “piano divino”, se il loro attacco parte da posizioni di fede cristiana, islamica o ebraica, oppure la negazione di una qualche idea di “progresso naturale” nella storia (appunto, naturale) del mondo.

2)l’origine dell’uomo da animali inferiori mediante accidenti naturali, che, come al punto 1), negherebbe Dio o la “dignita umana” o entrambe.

Ora, non vi è chi non veda in questi attacchi, la vera ragione, quella psicologica. Darwin e i suoi continuatori hanno leso non tanto l’Onnipotente e la nostra fede in Lui, quanto la nostra vanità. E nel frattempo, impegnati a polemizzare su di essa, non ci accorgiamo che l’evoluzione contiene in sé idee che hanno la forza dirompente di una bomba (e in confronto alle quali i suesposti punti 1) e 2) fanno l’effetto di innocui petardi).

Cominciamo dal punto 2). Posto che uno sia credente, mi chiedo chi mai potrebbe proibire a Nostro Signore di “creare” l’uomo a partire da “animali inferiori”, e mediante i lunghi processi naturali esposti dagli evoluzionisti? Solo la nostra vanità, è la risposta.

Il fatto che la Bibbia descriva le cose in modo diverso, non fa testo, dato che la Bibbia descrive parecchie cose a modo suo (che è, in verità, il modo in cui la gente comune immaginava il mondo tre o quattromila anni fa), a cominciare dall’universo e dal sistema solare. Se dobbiamo stare al passo con la Bibbia, beh, allora buttiamo via anche Galileo e Copernico, anche Harvey e la circolazione del sangue, insieme a TUTTA la ricerca scientifica fin da prima di Aristotele. Impediamo, anzi, ogni ricerca scientifica, aboliamola per sempre. Nella Bibbia (o nel Corano, magari) ci sono già tutte le risposte, giusto? Inginocchiamoci e preghiamo invece, fratelli. Smettiamo di cercare “verità” ulteriori, che possono mettere in pericolo le nostre anime. Finis.
Se invece decidiamo di continuare a cercare una qualche verità con i mezzi naturali che abbiamo (la nostra testa) non ci sono altre alternative; finché non troviamo qualcosa di meno zoppicante dell’evoluzione, dovremo tenercela; un po’ come per le libere elezioni.

L’evoluzione dell’uomo dalla scimmia urta la sensibilità di molti perché il nostro immaginario collettivo, in realtà, non è affatto cristiano (né musulmano o ebraico); è hollywoodiano. La nostra vanità pretenderebbe che le vicende narrate nella Genesi fossero ambientate non sulla Terra ma sul pianeta Kripton, con tutti quei meravigliosi effetti speciali in funzione, le luci colorate e in sottofondo il miglior Beethoven, ché la creazione dell’uomo non merita meno. Non paghi di esserci autoinnalzati a sapiens, in realtà crediamo di essere già Homo Superior, come i mutanti del fumetto X-Men. Il fatto che il Salvatore dei cristiani sia nato figlio di un falegname qualsiasi e non di un re (o che il Profeta Muhammad fosse un cammelliere, non un principe) non dice nulla alla dura cervice che ci contraddistingue (qualcuno ha scritto che l’Uomo sembra essere progettato apposta per non credere nell’evoluzione). Tengo comunque a ripetere che la fede non proibisce a nessuno di pensare che l’evoluzione sia parte integrante del “piano divino”, qualunque esso sia.

Veniamo poi al punto 1). La casualità delle mutazioni. Mi meraviglia il fatto che questo concetto (il caso) possa urtare chi dice di credere in un dio onnipotente ed onnisciente. Possibile che non vi venga in mente che il caso possa essere tale per noi umani, che osserviamo gli eventi coi nostri sensi imperfetti e li interpretiamo col nostro intelletto imperfetto, ma giammai potrà essere tale per il Creatore? Chi può tutto, sa tutto, vede tutto (e fa tutto, tutto quel che accade: “non muove foglia che Dio non voglia”, ricordate) non può, per definizione, essere soggetto alla casualità, a meno che non lo voglia Egli stesso. Anzi, qualcuno ha scritto che “Il caso” è lo pseudonimo che Dio usa quando non vuole che gli venga attribuito il merito (o magari la colpa) delle Sue azioni. Perciò, chi ha fede, può benissimo riconoscere la casualità delle mutazioni senza per questo rifuggire al pensiero che il mondo e l’umanità siano in balia del caso, vale a dire di un volgare fenomeno asettico e anaffettivo, privo di legge, di volontà, di amore.

La Selezione Naturale, invece, è cosa ben diversa; è una brutta bestia, la selezione naturale. Con essa, il darwinismo ci condanna a combattere senza pietà, che lo vogliamo o meno. E’ una guerra di tutti contro tutti, (anche se non viene combattuta solo ed esclusivamente con armi che feriscono e uccidono, tuttaltro), dalla quale non si può uscire in nessun modo. Se ci pensate bene, “sopravvivenza del più adatto” significa anche che il meno adatto soccombe; e il meno adatto potreste essere proprio voi, se non vi date da fare (ad esempio, secondo i naturalisti, nella maggior parte delle specie di mammiferi, un buon terzo dei maschi muore privo di discendenza perché, semplicemente, non riesce mai ad accoppiarsi nel corso della sua breve vita; le lotte tra maschi, anche quando sono incruente come un torneo di braccio di ferro, ottengono questo bel risultato).

Le religioni ci abituano sì a sentirci attori in una sorta di campo di battaglia, ma quest’ultimo è di natura morale; la lotta (eterna) tra il Bene e il Male. Nell’evoluzione invece il successo si misura in questa vita, in termini puramente materiali. “Massimizzare il proprio successo riproduttivo” è la legge ferrea, vale a dire quanti più figli possibile, il più in salute possibile, e non conta con quali mezzi si arrivi all’obiettivo. Non ha importanza chi inganni, tradisci, sfrutti, depredi o uccidi.

Questo è davvero un concetto che si scontra frontalmente con l’essenza di ogni religione. Inconciliabile, nel vero senso della parola.

Del resto ricordiamo che Hitler e i suoi nazisti si facevano vanto che la loro ideologia fosse l’unica pienamente conforme all’evoluzione (in quanto virilmente priva di “illusioni romantiche” e sentimentalismi umanitari e “cristiani”), che essi sostenevano essere una suprema legge di natura, alla quale era giusto inchinarsi. E cosa prendevano a esempio dall’evoluzione? La casualità delle mutazioni non li interessava più di tanto, anzi, si riempivano la bocca di parole come “destino” e “progresso” (in senso anche biologico) dell’Uomo “ariano”. La discendenza dell’Uomo dagli animali li vedeva indifferenti, quando non larvatamente ostili; erano costretti ad accettarla obtorto collo per motivi di coerenza con la teoria, ma la casualità, che esclude l’esistenza di una scala lineare di “superiorità”, faceva a pugni con la loro idea di miglioramento del genere umano attraverso la lotta (cioè la guerra razziale). Hitler stesso si riteneva sotto la protezione della divina provvidenza (ad esempio quando scampava agli attentati). La selezione naturale era invece il loro cavallo di battaglia ideologico, il principio che avrebbe dovuto rendere giusto il dominio di una razza sulle altre e l’eliminazione della razza nemica, così come quella degli imperfetti, come con l’Aktion T4.

Il concetto di selezione naturale tende a giustificare i peggiori aspetti della “cultura” e delle ideologie. Può fare da pezza di appoggio al razzismo, allo schiavismo puro e semplice, all’immutabilità dei rapporti di forza tra le classi sociali. Ad esempio può sostenere quell’altra ideologia pseudoreligiosa di destra tipica della classe abbiente Americana e non solo, secondo cui la prosperità economica, cioè l’essere ricchi sfondati, è un segno tangibile della benevolenza di Dio verso l’individuo che la possiede; idea molto propagandata, sotto la quale si nasconde il disgustoso pensiero che Dio voglia più bene ai ricchi e meno ai poveri. E’ una forma di razzismo anche questa, oppure può fare da appoggio ideologico al principio che nulla e nessuno debba frenare la libera concorrenza (no regulations), per il quale sul libero mercato ogni cosa è lecita, ogni cosa (e di conseguenza ogni persona) ha un prezzo, è merce, e che se nella corsa al denaro fallisci, se precipiti nella miseria, è colpa tua. Questo modo di considerare le cose confonde volutamente la corsa al successo con il bisogno elementare di vivere, di essere liberi di scegliere, e di consumare quel minimo necessario a vivere in modo decente che ogni essere umano ha in quanto creatura viva, negando brutalmente il secondo.

Se vogliamo, la selezione naturale dà torto anche a chi si rende conto che abbiamo raggiunto i limiti fisici di sfruttamento delle risorse e invoca il contenimento dei nostri appetiti, una decrescita individuale e collettiva. Il saccheggio delle risorse naturali, l’estinzione delle specie, la trasformazione dell’ambiente vitale in un ambiente letale, inquinato e surriscaldato, non sono forse  cose normali, conformi alla selezione naturale? Non è forse vero che tutte le specie prima o poi si estinguono, ma nessuna ha mai scelto consapevolmente e spontaneamente di “decrescere”? Non è forse vero che il primo “inquinante” fu l’ossigeno, e portò quasi all’estinzione gli organismi anaerobici di allora, che oggi possono sopravvivere solo in piccole nicchie ecologiche, ad esempio nel tetano?

A vederla in maniera evoluzionisticamente corretta, hanno financo ragione i popoli del terzo mondo quando fanno una caterva di figli per ciascuno, e abbiamo torto noi occidentali ricchi a crescita zero. Verrà, l’ecatombe, la sesta estinzione di massa, e con questo? Se qualche Homo Sapiens sopravviverà, sono loro, con il loro tasso insostenibile di incremento della popolazione, ad avere più probabilità di noi di restare vivi (sempre intendendo la specie, non il singolo individuo. Anzi, in questo caso la razza; ecco il tema nazista che ricompare), e ripopoleranno la Terra (mentre noi periremo, si sottintende). E se questo li fa vivere in miseria con grandi sofferenze, ebbene la selezione naturale non è un pranzo di gala.

Ma la selezione naturale è una condanna senza appello? Siamo anche noi suoi schiavi, come lo è il resto del mondo biologico? E’ fisicamente impossibile sfuggirle nello stesso senso in cui è impossibile superare la velocità della luce? Non ne sono certo al di là di ogni dubbio, ma temo proprio di sì.

Se per semplificare le cose volessimo paragonare l’Uomo, come individuo, ad una multinazionale, una grande impresa commerciale, allora in essa tutti i posti sia del Consiglio di Amministrazione che dell’Assemblea degli Azionisti sarebbero occupati dalle ambizioni e dalle fisime, dagli istinti atavici e dagli appetiti, da quello che Freud chiamava il principio del piacere e dalla brama shakespeariana di potere. La ragione, di cui tanto ci piace vantarci, svolgerebbe in azienda un ruolo molto subordinato, diciamo quello del Reparto Contabilità; il suo vero compito è sempre stato quello di rappezzare a posteriori una scusa che giustifichi il nostro comportamento di fronte agli altri e alla nostra vanità, ma quanto a potere decisionale, ZERO.

Questo ci porta anche ad una diversa considerazione, a proposito della nostra intelligenza. Essa non è, come tendiamo a vantarci, di tipo galileiano, fatta per esplorare il mondo e trarne delle regole di funzionamento, ma è invece machiavellica, destinata a fottere il prossimo (ed anche a fottere il mondo, in senso lato). La scienza, l’arte, la filosofia, la letteratura, ne sono più che altro dei sottoprodotti, dei tools di programmazione sviluppati al servizio del vero obiettivo, quello indicato dalla selezione naturale. Nei primi minuti di “2001 Odissea nello spazio” di Kubrik c’è una scena emblematica: l’ominide prescelto subisce la misteriosa azione del monolite alieno che “cambia la sua mente”, facendo scattare in essa l’idea nuova dell’uso dello strumento (un po’ datato come esempio emblematico; già ai tempi si sapeva che parecchie specie di scimmie, e non solo antropomorfe, usano bastoni e pietre, ma Hollywood ha il suo modo di fare le cose). Ma è nella scena successiva che si rivela la morale della favola. Che uso fa il protagonista della sua nuova capacità? Ovviamente se ne servirà come arma, per colpire a morte i membri del branco avversario nella disputa per la sorgente d’acqua (fottere il prossimo) e poi per uccidere quei tapiri che rappresentano simbolicamente tutte le altre specie animali (fottere il mondo). Ed è quello che stiamo ancora facendo, alla grande.

A volte vorrei che Charles Darwin fosse vissuto ancora per diversi anni, e che invece di occuparsi di studiare, ad esempio, i cirripedi, l’allevamento di animali o le espressioni fisiognomiche del volto e il linguaggio del corpo, avesse affrontato di petto questo problema. Darwin è morto, e questa è solo materia per gli universi alternativi della fantascienza, ma sarebbe ora che qualcuno si occupasse della cosa con il suo estremo rigore scientifico.