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venerdì 22 aprile 2016

Abbiamo meno tempo del previsto per evitare il disastro climatico

Da “University of Queensland”. Traduzione di MR (via Bodhi Paul Chefurka)



Le emissioni di CO2, e quindi il riscaldamento globale, potrebbero aumentare più rapidamente di quanto previsto, secondo un nuovo modello dei ricercatori dell'Università del Queensland e dell'Università di Griffith. Il modello include l'”uso di energia per persona” come fattore di previsione, invece di concentrarsi sulle economie o le popolazioni.

Prevede che la crescita della popolazione ed economica insieme con l'aumento dell'uso di energia per persona potrebbero aumentare significativamente la domanda globale di energia e le emissioni di CO2, causando un aumento della temperatura media del mondo di 1,5° già nel 2020. Il modello è stato sviluppato dal professor Ben Hankamer dell'Istituto per le Scienze Biomolecolari dell'Università del Queensland (IMB) e dal dottor Liam Wagner dell'Università di Griffith.

domenica 6 dicembre 2015

La Terra ha perduto un terzo del suolo coltivabile negli ultimi 40 anni

Da “The Guardian”. Traduzione di MR 

Gli esperti indicano il danno causato da erosione ed inquinamento, sollevando grandi preoccupazioni riguardo al suolo degradato nel bel mezzo dell'aumento della domanda globale di cibo





L'erosione del suolo ha i suoi effetti sul terreno agricolo di Suffolk, nel Regno Unito. Foto: Alamy

Il mondo ha perso un terzo del suo terreno coltivabile a causa dell'erosione o dell'inquinamento negli ultimi 40 anni, con conseguenze potenzialmente disastrose man mano che la domanda globale di cibo sale alle stelle, hanno avvertito gli scienziati. Una nuova ricerca ha calcolato che quasi il 33% del terreno mondiale adatto o ad alta produzione di cibo è stato perduto ad un tasso che supera il ritmo dei processi naturali di sostituire il suolo assottigliato. Il Grantham Centre for Sustainable Futures dell'Università di Sheffield, che ha intrapreso lo studio analizzando varie altre ricerche pubblicate nel corso dell'ultimo decennio, ha detto che la perdita è stata “catastrofica” e la tendenza è prossima ad essere irrecuperabile se non ci saranno grandi cambiamenti delle pratiche agricole.

mercoledì 25 novembre 2015

Ottobre 2015: superato il limite simbolico di 1 °C di riscaldamento

Da “mashable.com”. Traduzione di MR (via Post Carbon Institute)


Il pianeta non è stato solo caldo da record quest'anno, è stato così insolitamente caldo che le singole registrazioni delle temperature hanno stabilito nuovi record di per sé. E' il caso del mese di ottobre 2015, secondo i nuovi dati preliminari della NASA pubblicati giovedì. Le informazioni mostrano che ottobre 2015 è stato di gran lunga il mese di ottobre più caldo mai registrato a partire dal 1880. Non solo questo, ottobre ha avuto anche la più grande deviazione rispetto alla media di qualsiasi mese mai registrato. L'ottobre arroventato chiude i conti: è quasi sicuro che il 2015 diventerà l'anno più caldo della Terra da quando sono iniziate le letture strumentali nel 1880. Ciò significa che il 2015 batterà il 2014 e diventerà un ulteriore dato che mostra che il riscaldamento globale antropogenico, oltre alla variabilità climatica naturale, sta spingendo il clima in un nuovo territorio.

giovedì 12 novembre 2015

I dieci anni che hanno cambiato tutto ed hanno impedito ogni cambiamento

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi


Manca un mese dalla COP-21, a Parigi, che dovrebbe cambiare tutto – e che probabilmente non cambierà niente di rilevante. Ma il cambiamento avviene, anche se in modi che spesso ci sorprendono e che potrebbe non farci piacere di vedere. Il decennio scorso è stato un periodo di enormi cambiamenti ed anche un decennio di giganteschi sforzi mirati ad evitare il cambiamento a tutti i costi. E' una delle molte contraddizioni del nostro mondo. Lasciate quindi che vi racconti la storia di questi anni difficili.


- L'accelerazione del cambiamento climatico. Nel 2005, il cambiamento climatico sembrava essere ancora un'animale relativamente domabile. Gli scenari presentati dal IPCC (a quel tempo aggiornati al 2001) mostravano aumenti della temperatura graduali e i problemi sembravano essere lontani decenni – se non secoli. Ma il 2005 è stato anche l'anno in cui è diventato chiaro che limitare il riscaldamento a non più di 2°C era molto più difficile di quanto si pensasse in precedenza. Allo stesso tempo, il concetto che il cambiamento climatico è un processo non lineare ha iniziato a penetrare nel dibattito e il pericolo di un “cambiamento climatico fuori controllo” e stato sempre più compreso. Gli eventi del decennio hanno mostrato la rapida progressione del cambiamento climatico. Uragani (Katrina nel 2005, Sandy nel 2012 e molti altri), la fusione delle calotte glaciali, la fusione del permafrost, che rilascia il suo carico mortale di metano immagazzinato, enormi incendi forestali, stati interi che si prosciugano, la perdita di biodiversità, l'acidificazione degli oceani e molto altro. E' stato scoperto che le temperature alte condizionano gli esseri umani di più di quanto si credesse e, come colpo di grazia, che gli effetti negativi sul comportamento umano dell'aumento della concentrazione di CO2 sono molto più importanti di quanto si credesse. Stiamo scoprendo con orrore che stiamo trasformando il nostro pianeta in una camera a gas e non sappiamo come fermarci.

- L'insorgere del negazionismo. Nel 2005, Il negazionismo della scienza del clima sembrava essere in declino, da seppellire nella pattumiera della storia a causa dell'accumulo di conoscenza scientifica sul clima. Non sarebbe stato così. La campagna contro la scienza ha aumentato il ritmo, usando la gamma completa di tecniche di propaganda a disposizione. Nel 2008, abbiamo visto il cosiddetto scandalo del “climategate”, probabilmente la campagna di PR negativa di maggior successo mai montata. Nel 2011, il meme della “pausa” è stato diffuso dal Daily Mail ed è stato un altro attacco propagandistico di notevole  successo. Poi, i singolo scienziati del clima sono stati molestati, demonizzati, investigati e persino minacciati fisicamente, mentre l'opinione pubblica è stata l'obbiettivo di un bombardamento di informazioni contraddittorie atte a creare incertezza e dubbio. La campagna ha avuto successo, specialmente negli Stati Uniti. Durante la campagna presidenziale del 2012, abbiamo visto entrambi i candidati evitare il problema del cambiamento climatico come se fosse avvelenato. E, nel 2015, vediamo qualcosa di mai visto prima: nessuno dei candidati repubblicani alle presidenziali ammette che il cambiamento climatico sia causato dalle attività umane. E questo è un problema. Il negazionismo rimane un fardello pesante nel cercare di fare qualcosa di pratico per fermare il cambiamento climatico.

- Il picco che non c'è stato. Nel 1998, Colin Campbell e Jean Laherrere hanno riesaminato le idee di Marion King Hubbert che, negli anni 50, aveva introdotto il concetto di “picco” di produzione del petrolio greggio. I loro calcoli indicavano che il picco mondiale – che hanno denominato “picco del petrolio” - sarebbe avvenuto nel 2004-2005. E' stata una previsione ragionevolmente buona in termini di petrolio “convenzionale”, che sembra aver raggiunto il picco fra il 2005 e il 2008. Ma Campbell e Laherrere non avevano considerato il ruolo del petrolio “non convenzionale”, combustibili liquidi come il petrolio di scisto (o tight oil). Usando queste nuove fonti, la produzione di “tutti i liquidi” ha continuato ad aumentare e ciò ha reso il concetto di picco del petrolio popolare più o meno quanto lo era Saddam Hussein  nel decennio precedente. Il tentativo dell'industria petrolifera di produrre da risorse difficili ha portato a diverse conseguenze negative per l'ecosistema (ricordate Macondo nel 2010?), ma quello principale è che le emissioni di CO2 non sono declinate in conseguenza dell'esaurimento, come ci si sarebbe potuto aspettare.

- Lo svanire del verde. Negli anni 90, la sostenibilità era ancora un'idea di moda e i partiti Verdi avevano una rappresentanza considerevole in molti parlamenti europei. Col tempo, tuttavia, il peso politico del movimento ambientalista è stato eroso costantemente. Il destino dei partiti Verdi segue da vicino quello di tutte le idee sulla sostenibilità ambientale, che non sono più parte dell'arsenale degli slogan dei politici vincenti. Persino l'Unione Europea, un tempo bastione della ragione e della consapevolezza ambientale, ha perduto il proprio focus, in particolare con la folle speranza di importare gas naturale dagli Stati Uniti. La maggior parte delle persone sembra essere così impegnata con le proprie preoccupazioni economiche quotidiane da non avere tempo o inclinazione per preoccuparsi di un'entità astratta chiamata “Ambiente”, che sembra essere un lusso costoso che al momento non possiamo permetterci. Sembra che il concetto di “crescita” abbia spazzato via l'Ambiente ovunque, in quanto alla cosa cui teniamo di più.

- Il collasso finanziario. Le cause profonde della grande crisi finanziaria del 2008 non sono mai state comprese realmente e sono state ridotte alla contingenza di cattive pratiche in campo finanziario. Tuttavia, non si è trattato solo di una crisi finanziaria, ha portato la macchina economica mondiale reale quasi all'arresto totale. La crisi è stata superata stampando più soldi e l'economia ha ricominciato a funzionare, ma non si è mai ripresa completamente. E nessuno sa se un altro collasso finanziario sia dietro l'angolo e cosa si possa fare se arriverà. Il collasso finanziario ha mostrato la fragilità dell'intero sistema ed ha fissato l'attenzione della maggior parte delle persone sui fattori finanziari/monetari, portandole spesso a dimenticare che c'è anche il mondo reale, la fuori, e che “l'economia” non sono solo transazioni finanziarie, ma significa anche fornitura di risorse materiali perché la società sopravviva.

 - L'aumento dei conflitti. Il confronto militare e e il conflitto violento sono in aumento. Abbiamo visto carri armati manovrare nel cuore stesso dell'Europa ed una immensa fascia di terra in un confronto militare quasi continuo, dal Nord Africa al Medio Oriente, fino ad arrivare all'Afghanistan. Intere nazioni si stanno sbriciolando sotto i bombardamenti aerei massicci e del conflitto civile, producendo la fuga di centinaia di migliaia di profughi. E' come un fuoco che si è acceso tempo fa e ora sta crescendo, inghiottendo un paese dopo l'altro. E nessuno può dire dove si fermerà il fuoco, se si fermerà. La sola cosa che possiamo dire è che il conflitto distruttivo tende ad esplodere in quegli stati in cui l'economia è stata in gran parte sostenuta dai proventi dell'esportazione dei combustibili fossili e dove l'esaurimento ha portato alla perdita totale o parziale di questi proventi. E' stato il caso, per esempio, di Egitto, Yemen e Siria. La lotta può essere anche collegata al cambiamento climatico ed alla conseguente siccità, come nel caso della Siria. Non possiamo dire con certezza se tutto questo sia il precursore di cose in arrivo in altri luoghi, ma potrebbe tranquillamente essere così.

- Ed altro... Quanto sopra non è un elenco esauriente di tutte le cose che sono successe nel decennio passato. Si potrebbe aggiungere l'erosione della democrazia e della libertà personale in Occidente, il declino o persino il collasso di diverse economie nazionali, la deglobalizzazione in corso, l'aumento della competizione per risorse minerali rare e limitate e molto altro. Ma tutti questi eventi hanno un'origine comune. In tutti i casi, le persone e le istituzioni hanno reagito raddoppiando lo sforzo per trovare più risorse, a tutti i costi, sia dal punto di vista finanziario che ambientale. Ed hanno anche aumentato il loro sforzo per negare l'esistenza e il pericolo del cambiamento climatico. Poi, la maggior parte delle persone hanno cercato di risolvere le proprie difficoltà economiche immediate lavorando duramente ed ignorando le ragioni profonde dei loro guai. Ed eccoci qua: dopo un decennio di sforzo per ignorare e limitare i cambiamenti, siamo di fronte a cambiamenti inevitabili e drastici. E non sappiamo esattamente come adattarci a questi cambiamenti. E' un momento difficile quello che abbiamo di fronte.

D'altra parte, c'è stata almeno una tendenza positiva durante gli ultimi dieci anni.

- La rivoluzione rinnovabile. Le tecnologie solare ed eolica sono migliorate in modo eccezionale sia in termini di costi sia in termini di efficienza. Non ci sono stati miracoli tecnologici, soltanto miglioramenti costanti. Il risultato è che, in dieci anni, le rinnovabili come il fotovoltaico basato sul silicio e le centrali eoliche sono passate dall'essere dei giocattoli per ambientalisti a tecnologie serie che possono produrre energia a costi competitivi con quelli dei combustibili fossili. L'energia rinnovabile è la più grande speranza che abbiamo per un adattamento non distruttivo agli inevitabili cambiamenti che ci aspettano. Non sarà facile, ma è possibile; dobbiamo lavoraci sodo.



domenica 27 settembre 2015

Ora siamo tutti cinesi: il dilemma dell'apocalisse ecologica

Dalla pagina FB di Bodhi Paul Chefurka. Traduzione di MR

Stavo rileggendo la valutazione rivelatrice di Richard Smith dell'attuale situazione politica, economica ed ecologica cinese (L'apocalisse ecologica comunista-capitalista della Cina) recentemente pubblicata da Truth-Out.org. Raccomando caldamente di leggere l'intero articolo.

Mentre il dilemma descritto da Smith in Cina è dichiaratamente più estremo di quanto sta accadendo nel mondo occidentale industrializzato (perlomeno per adesso...), le due situazioni sono sorprendentemente congruenti nei loro tratti più generali. Infatti, alcune delle analisi sono valide per gli Stati Uniti e il resto del mondo sviluppato praticamente parola per parola, solo cambiando il nome del soggetto.

Questa analogia implica che le considerazioni dell'articolo potrebbero essere un modello utile per pensare a cosa servirebbe per tirar fuori gli Stati Uniti così come la Cina – e, per estensione, tutto il mondo – dal loro attuale carico sul burrone ecologico. Questo esame potrebbe rendere più chiaro ciò che ci possiamo e non possiamo realisticamente aspettare nel tempo che ci rimane prima che i raccolti comincino a mancare sul serio.

Nel resto di questa nota ho estratto alcuni dei punti salienti dell'argomentazione di Richard Smith e le ho leggermente modificate per metterle in un contesto globale. Le mie modifiche sono in corsivo. Ho cercato di cambiare il testo originale il meno possibile, principalmente sostituendo “il mondo” ai riferimenti originali alla Cina. Confido che Smith troverà la mia parafrasi accettabile sotto il cappello delle disposizioni di “uso giusto” del diritto d'autore.

Mi sono fatto le mie opinioni sulla probabilità che tali cambiamenti avvengano realmente e potete probabilmente indovinare quali siano.

"Gli scienziati del clima ci dicono che, date tutte le promesse non mantenute fino a questo momento, la marcia indietro e l'aumento delle emissioni di biossido di carbonio, ora siamo di fronte ad una “emergenza climatica”. Con le attuali tendenze ci troviamo in rotta per un riscaldamento di 4-6°C prima della fine di questo secolo: se non sopprimiamo radicalmente la combustione di combustibili fossili nei prossimi decenni per mantenere il riscaldamento al di sotto della soglia dei 2°C, il riscaldamento planetario accelererà oltre ogni possibilità umana di fermarlo ed il collasso ecologico globale sarà inevitabile. Per avere una possibilità di restare al di sotto dei 2°C, le nazioni industrializzate e la Cina devono tagliare le emissioni dal 40 al 70% globalmente entro il 2050 rispetto a quelle del 2010, cosa che richiederebbe tagli nell'ordine del 6-10% all'anno. La Cina dovrebbe tagliare le sue emissioni industriali dal 30 al 90% rispetto a quelle del 2010, la variazione dipende dai tassi di crescita attesi e da altre ipotesi. 
Il solo modo in cui il mondo potrebbe sopprimere le sue emissioni di gas serra di qualcosa di vagamente simile a quella quantità sarebbe quello di imporre una contrazione economica drastica e a tutto campo, compresi ridimensionamenti e chiusure di gran parte delle industrie che sono state costruite negli ultimi tre decenni di mania di mercato. Sono certo che questo suoni estremo, se non completamente folle. Ma non vedo quale altra conclusione possiamo trarre dalla scienza. Il lato positivo, come ho esaminato sopra, visto che lo spreco di così tante delle risorse e dell'inquinamento del mondo sono semplicemente e completamente non necessari e dannosi, ciò che sembra un'estrema austerità potrebbe dimostrarsi proprio l'opposto: una liberazione, un passo verso quello “stile di vita migliore”. Un tale piano di emergenza dovrebbe comprendere perlomeno gli elementi seguenti: 

  • Chiudere tutte le centrali a carbone tranne quelle essenziali, necessarie come misura temporanea per mantenere le luci e il riscaldamento accesi ed i servizi pubblici essenziali operativi finché le sostituzioni rinnovabili non possano essere messe in servizio. Abbandonare i progetti di gassificazione del carbone ed eliminare gradualmente le centrali alimentate da petrolio e gas il più rapidamente possibile. Forzare una rapida transizione a fonti rinnovabili di energia come eolico, idroelettrico e solare ma con l'obbiettivo di produrre molta meno energia complessivamente, una quantità più vicina a quella che il mondo produceva nei primi anni 80, prima del boom di industrializzazione alimentato dal mercato. Gli Stati Uniti ed altri paesi sviluppati devono essere obbligati a fornire un'assistenza tecnica e materiale estesa per facilitare questa transizione. 
  • Chiudere gran parte dell'industria dell'auto. Questa industria è solo un totale spreco di risorse e costituisce il secondo contributo al riscaldamento globale. La maggior parte del trasporto pubblico dovrà tornare a bici, bus, treni e metropolitane – fondamentalmente una versione modernizzata ed estesa di ciò che i cinesi avevano nei primi anni 80 prima della mania dell'auto. Ma l'aria sarà più pulita, i trasporti più rapidi, le persone saranno più sane e verranno conservate risorse immense.
  • Chiudere gran parte delle industrie esportatrici costiere. Gran parte delle industrie esportatrici costiere del mondo sono orientate alla produzione di prodotti usa e getta insostenibili, come osservato in precedenza. Non c'è semplicemente nessun modo di avere un'economia sostenibile da nessuna parte se non aboliamo le industrie del consumo ripetitivo usa e getta nel mondo. 
  • Ridimensionare o chiudere l'aviazione, le spedizioni via mare ed altre industrie dei trasporti ridondanti ed insostenibili. Abbandonare l'inutile progetto del “superpotere dell'aviazione”. Abbandonare l'ulteriore espansione della rete di treni ad alta velocità. Il mondo ha già costruito più aerei, treni e metropolitane di quanto abbia bisogno secondo un qualsiasi conto delle necessità. La stessa cosa vale per l'industria delle costruzioni navali, gran parte della quale è orientata alla costruzione di navi container e grandi navi. Quest'industria dev'essere drasticamente ridotta, le importazioni ed esportazioni del mondo declinano con la contrazione industriale. 
  • Chiudere gran parte dell'industria delle costruzioni. Persino con l'enorme popolazione mondiale, il pianeta è eccessivamente sovra-costruito e disseminato di edifici, appartamenti, autostrade, ponti aeroporti, ecc. inutili e superflui. Alcuni di questi possono essere riconvertiti. Alcuni devono essere demoliti e le terre ritrasformate in terreni agricoli, zone umide, parchi o ad altri usi benefici. 
  • Abbandonare la spinta all'urbanizzazione e promuovere attivamente la ri-ruralizzazione. La vita urbana ha i suoi vantaggi ma i residenti urbani consumano diverse volte tanto l'energia e le risorse naturali e generano diverse volte tanto l'inquinamento rispetto alle famiglie rurali. Inoltre, gran parte delle centinaia di milioni di persone che sono state spostate verso le città negli ultimi tre decenni non ci sono andate volontariamente, sono state costrette ad andarsene dalle loro fattorie dall'accaparramento di terre, con profitto dei funzionari locali. A questi ex agricoltori che desiderano tornare alla terra deve essere permesso di farlo. Non c'è alcuna legge della natura che dice che le famiglie agricole devono essere povere. Nel mondo di oggi, le famiglie di agricoltori con terra e tecnologia adeguate, che possono vendere i propri prodotti di modo da non essere derubati da intermediari e che non siano sotto il giogo di banche, padroni o padroni di stato, possono passarsela molto bene. I piccoli contadini del mondo sono poveri perché lo stato e delle multinazionali li hanno strizzati per sovvenzionare l'industrializzazione. Il modo migliore per alzare gli standard di vita rurali è dar loro sicurezza nelle loro fattorie e pagar loro prezzi giusti per i loro prodotti. 
  • Abbandonare la colonizzazione di saccheggio imperiale sul mondo in via di sviluppo. Se i governi mondiali abbandonano le loro strategie di sviluppo basate sul mercato, non avrebbero alcun “bisogno” di saccheggiare le risorse naturali del mondo in via di sviluppo. Quelle persone possono essere lasciate in pace a sviluppare il proprio ritmo e in accordo coi propri limiti ecologici. E dopo aver distrutto una così grande parte del loro ambiente, le nazioni industrializzate devono loro un po' di aiuto. 
  • Lanciare un piano globale di emergenza per il risanamento ambientale e il ripristino della salute pubblica. Gli esperti di ambiente e di salute pubblica hanno fatto appello per un piano complessivo integrato per affrontare i problemi ambientali e di salute pubblica del mondo. Gli esperti dicono che ci potrebbero volere generazioni per ripristinare le terre agricole, i fiumi ed i laghi del mondo ad un livello di salute biologica tollerabile, anche se, come osservato sopra, in alcuni posti ciò potrebbe essere impossibile. Una parte significativa dei costi di questa bonifica dovrebbero anche essere portati dalle nazioni occidentali, le cui aziende hanno cinicamente contribuito a questo inquinamento delocalizzando le loro industrie più sporche nel mondo in via di sviluppo.
  • Lanciare un programma nazionale per l'occupazione. Se il mondo dovrà chiudere così tanta della sua economia industriale per frenare la corsa verso il collasso ecologico, allora dovrà trovare o creare nuovi lavori per tutti quei lavoratori disoccupati. (…) Ma aria irrespirabile, acqua imbevibile, cibo non sano, terre agricole inquinate, epidemia di cancro, aumento delle temperature e del livello dei mari lungo le regioni costiere sono problemi più grandi. Così non c'è proprio modo di aggirare questa verità molto scomoda. Il fatto di fare robaccia deve finire. Fermando queste produzioni renderà disoccupati un gran numero di lavoratori e per loro devono essere trovati o creati altri lavori non distruttivi e a basso tenore di carbonio. Per fortuna, non c'è carenza di altri lavori socialmente ed ambientalmente utili da fare: bonifica ambientale, riforestazione, transizione ad agricoltura biologica, transizione all'energia rinnovabile, ricostruzione ed allargamento dei servizi sociali pubblici, ricostruzione delle reti di sicurezza sociale e molto altro. 
Pan Yue è stato di sicuro premonitore: il miracolo cinese (e, per esteso, il miracolo economico globale dell'ultimo secolo) è giunto alla fine perché l'ambiente non può più tenere il passo. La domanda è: il mondo può trovare un modo per afferrare i freni e portare questa locomotiva a fermarsi prima che scagli la civiltà dal burrone?  
Rivoluzione o collasso?
Una cosa è certa: questa locomotiva non verrà fermata finché l'alleanza empia fra le multinazionali e i loro politici ammaestrati ha le mani sui controlli. Il mondo è incastrato in una spirale di morte. Non riesce a tenere a freno il vorace consumo di risorse e l'inquinamento suicida perché, data la sua dipendenza dal mercato per generare nuovi posti di lavoro, deve dare priorità alla crescita rispetto all'ambiente, come fanno i governi ovunque. Finché questo assetto strutturale di fondo calasse/proprietà rimane effettivo, nessuna “guerra all'inquinamento” o “guerra alla corruzione” cambierà questo sistema o interromperà la traiettoria del mondo verso il collasso ecologico. Dato il precedente, non vedo proprio come la spirale del mondo verso il collasso possa essere invertita a meno di una rivoluzione sociale.  
Chi lo sa quale scintilla accenderà la prossima esplosione sociale?"

Post Data del traduttore: sfugge sempre ai più che tra le due, rivoluzione o collasso, ce ne potrebbe essere una terza, più difficile, anche più improbabile, ma sicuramente più efficace e duratura: l'evoluzione.  



giovedì 3 settembre 2015

Perché la signora Maria non capisce il cambiamento climatico: analfabetismo funzionale e ascesa della “nonpropaganda”

DaResource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi


Immagine dello Skills Outlook 2013 dell'OCSE. Questi dati mostrano che la maggior parte delle persone nei paesi OCSE hanno capacità molto limitate di gestire informazioni contrastanti. Questa mancanza di abilità è la fonte della propaganda tradizionale (che presente alle persone un singolo lato del problema) ma anche dell'ascesa della “nonpropaganda”, cioè la presentazione di informazioni così contrastanti che il pubblico non riesce ad arrivare a una conclusione stabile. Il risultato sono incertezza ed immobilismo. La apropaganda è stata usata con grande efficacia sul problema del cambiamento climatico. 


La storia ufficiale che si trova normalmente sulla questione dell'alfabetizzazione è che le persone in tutto il mondo stanno diventando sempre più istruite, cioè sempre più capaci di leggere e scrivere. Eppure, c'è un altro lato dell'alfabetizzazione: è il concetto “competenza dell'alfabetizzazione” che classifica le persone a seconda della loro capacità di capire quello che leggono.

Un recente sondaggio su questo punto è stato pubblicato dall'OCSE. Si tratta di un documento corposo di oltre 460 pagine che esamina le capacità di comprensione ed elaborazione  di un testo da parte dei cittadini dei paesi dell'OCSE. Il risultato è una suddivisione in 5 “livelli di alfabetizzazione”, come si può vedere nella figura all'inizio di questo post. Le definizioni esatte di questi livelli le potete trovare a pagina 64 del documento ma, riassumendo, i livelli più bassi al di sotto di 1, 1 e 2, sono relativi alle persone capaci di arrivare solo ai livelli più semplici di comprensione di un testo. Anche al livello 3, si potrebbe essere capaci di effettuare deduzioni sulla base del testo letto, ma i testi non devono contenere “informazioni conflittuali”. Solo ai livelli 4 e 5 è richiesta una qualche capacità di discernere criticamente i dati da informazioni in contrasto.

Come al solito, qualsiasi cosa si legga sul Web dev'essere valutata con molta cautela. Qual è l'affidabilità di questi dati? Perché 5 livelli e non di più, o di meno? Che significato hanno questi risultati? Digerire il lungo rapporto dell'OCSE non è un'impresa facile, ma penso che, per prima cosa, possiamo dire ciò che non è questa classificazione: coloro che non raggiungono i livelli più alti non sono necessariamente stupidi. Per esempio, i miei amici Rom andrebbero molto male nel test, visto che molti di loro sono realmente analfabeti, non solo funzionalmente. Ma posso assicurarvi che sono estremamente intelligenti, solo con un diverso tipo di intelligenza.

Poi, la sostanza del saggio dell'OCSE non è difficile: i test misurano la capacità delle persone di elaborare un testo scritto e di estrapolarne il significato. E se vieni classificato, diciamo, al livello 2, significa che hai fallito il test per il livello 3, per esempio mostrando di non essere capace di “costruirsi un significato su ampie parti di testo”. E se vieni classificato al livello 3, significa che hai sbagliato i test per il livello 4, per esempio identificare e definire “informazioni contrastanti”. In breve, sembra che ovunque nei paesi OCSE la maggior parte delle persone (di solito più del 90% della popolazione) non sono in grado di valutare criticamente le informazioni contrastanti.

Il rapporto dell'OCSE non usa il termine “analfabetismo funzionale”, ma sembra che questo venga normalmente usato per descrivere i livelli 1 e 2, cioè persone non sufficientemente capaci da essere in grado di affrontare pienamente la complessa società attuale. E' un risultato scioccante: quasi il 50% della popolazione dei “ricchi” paesi dell'OCSE sono in queste condizioni (*). Anche se si limita la definizione di analfabetismo funzionale al livello 1, si tratta comunque una grande percentuale della popolazione, probabilmente molto più ampia di quanto gran parte di noi avrebbe mai pensato.

Ci possiamo domandare se questi risultati sono applicabili a tutte le forme di comunicazione, compreso, per esempio, ciò che le persone sentono in TV. Questo punto non viene discusso nel rapporto dell'OCSE, ma penso che sia difficile sfuggire alla conclusione che sì, non ci dovrebbero essere grandi differenze. I dati fanno riferimento a persone che sanno leggere e se qualcuno di loro ha un risultato così scarso nonostante sia in grado di capire le parole scritte, perché dovrebbero avere un risultato diverso se messi di fronte a parole dette? Quindi, una volta visti questi risultati, gran parte delle buffonate politiche in corso assumono un nuovo significato. Alcuni politici, pare, hanno raggiunto il successo confezionando il loro messaggio a livelli facilmente comprensibili dalla gran parte degli “analfabeti funzionali” del proprio paese. Berlusconi, in Italia, ne è un buon esempio, oggigiorno Trump sembra stia usando le stesse tattiche negli Stati Uniti. Questo modo di comunicare è l'essenza di quello che chiamiamo “propaganda” (oggigiorno le definiamo “pubbliche relazioni” o “creazione del consenso”). Consiste nel presentare soltanto un aspetto di ogni problema, convenientemente confezionato in semplici slogan: niente sottigliezze di sorta. Funziona: la maggior parte delle persone normalmente non cercherà o considererà informazioni contrastanti.

Ed ora passiamo alla domanda che volevo esaminare in questo post: qual è la rilevanza di questi dati sulla competenza di alfabetizzazione rispetto al problema del cambiamento climatico? Come tutti sappiamo, il cambiamento climatico è un tema estremamente complesso che richiede anni di studio per essere compreso nei dettagli. Tuttavia, il problema può anche essere riassunto in un'unica affermazione che dice: “se continuiamo a bruciare combustibili fossili, avremo di fronte un grande disastro”. E' lo stesso tipo di affermazione che dice: “se continui a fumare rischi il cancro al polmone”. E per capire questo non c'è bisogno di essere degli esperti in epidemiologia. Gran parte dei problemi possono essere presentati in modi che possono essere capiti dalle persone a tutti i livelli della scala di alfabetizzazione, persone che, come dicevo prima, non sono stupide e perfettamente in grado di capire cos'è male e cos'è bene per loro.

Il problema della scala di alfabetizzazione è un altro: ha a che fare col dibattito sul cambiamento climatico. Qui vediamo lo sviluppo di una tecnica di comunicazione che sfrutta la mancanza di alfabetizzazione funzionale di una gran parte dell'opinione pubblica. Potremmo chiamare questa tecnica “nonpropaganda”. La propaganda tradizionale (letteralmente, “ciò che deve essere propagato") punta a passare un messaggio semplificato eliminando o nascondendo tutte le informazioni contrastanti. Un messaggio diretto, come si dice alle volte in Italia "alla signora Maria" che si suppone non abbia più della licenza elementare.

La nonpropaganda (quello che non deve essere propagato), invece, punta a fermare la propagazione di un messaggio presentando moltissime informazioni contrastanti ad un'opinione pubblica incapace di valutarle pienamente. La nonpropaganda funziona e fa miracoli. I dati dell'OCSE mostrano che non più di circa il 5% della popolazione in gran parte dei paesi OCSE si può districare in un dibattito complesso che comporta molte informazioni contrastanti. Ora, guardate il dibattito sulla scienza del clima e vedete che l'idea di presentare “entrambe le parti” del problema è ben lungi dal significare una informazione equilibrata. E' una strategia che confonde l'opinione pubblica. Non è molto costosa, ben alla portata delle lobby che perderebbero soldi in caso di un'azione seria sul cambiamento climatico. Ed è incredibilmente efficace. Guardate i sondaggi di Gallup: notate come l'opinione pubblica sia confusa e facilmente sviata da informazioni irrilevanti (il “climategate”) o da false informazioni (“la pausa”).

Quindi, come combattiamo la nonpropaganda climatica? Per prima cosa, non aspettiamoci che i governi lavorino per coltivare la capacità delle persone di ragionare. Mi darete di cospirazionista, ma immagino che la maggior parte dei governi siano del tutto felici se i loro cittadini non sono tanto bravi a valutare criticamente le informazioni (nonostante tutto il discorso nel rapporto dell'OCSE sulla necessità di cittadini più abili). Poi, si può fare poco per cambiare una situazione che si è evoluta nell'arco di diversi decenni di sviluppo dei mass media. La nonpropaganda è economica e funziona molto bene: resterà con noi per un bel po' di tempo.

Eppure, capire come funziona la nonpropaganda è un grande passo avanti. Per prima cosa, è un ulteriore chiodo nella bara del cosiddetto modello di “deficit di informazione”, cioè dell'idea che se spieghiamo al pubblico come stanno le cose col cambiamento climatico, il pubblico capirà e farà qualcosa. Non funziona: all'opinione pubblica non mancano le informazioni, ne ha troppe! E' semplicemente incapace di farsi un'idea. Quindi ne consegue che dobbiamo concentrarci nel produrre informazione di alta qualità, riconoscibile come tale. Non significa che ci dovremmo nascondere dietro l'ingresso a pagamento delle riviste scientifiche, ma che non ci dovremmo impegnare in quel tipo di dibattito di basso livello tipico dei commenti infestati dai troll dei blog. In altre parole, non dobbiamo inseguire i negazionisti per cercare di dimostrare che si sbagliano. Ciò genera solo confusione.

Poi, notate come ha reagito in modo furioso l'opinione negazionista alla scoperta che il 97% degli scienziati climatici in attività sono d'accordo con l'idea che il cambiamento climatico esiste ed è causato principalmente dagli esseri umani. Il meme del 97%, infatti, distrugge la base stessa della loro strategia di nonpropaganda. Mostra che c'è un ampio consenso fra gli scienziati sul problema. E' una cosa che le persone di tutti i livelli di alfabetizzazione possono percepire correttamente. E, lasciatemelo ripetere ancora una volta, non importa quale sia il livello di alfabetizzazione, la maggior parte delle persone NON sono stupide. Se un dottore di cui vi fidate vi dice di smettere di fumare, potreste non essere degli epidemiologi, ma sapete che fareste meglio a smettere. Se il 97% degli scienziati del clima mondiali (ed anche il Papa) ci dicono che dobbiamo smettere di bruciare combustibili fossili, allora potete anche non essere degli scienziati del clima, ma sapete che è meglio se facciamo qualcosa per questo. Così, ecco un altro punto sul quale concentrare i nostri sforzi.

Non facile, lo capisco, ma come ha detto Sun Tzu, se conosci il tuo nemico e conosci te stesso non hai bisogno di aver paura del risultato di cento battaglie.



(*) E' discreto mistero il perché l'Italia, il paese che un tempo ha prodotto Dante Alighieri, vada così male nell'elenco dell'alfabetizzazione. D'altra parte, dopo aver visto questi dati, non ci si sorprende più del fatto che l'Italia sia il paese che ha prodotto Berlusconi. 



sabato 22 agosto 2015

Argomento cruciale: la mandria umana che si sta mangiando il pianeta

Da  “Mercury”.  Traduzione  di  MR  (via  Luca  Pardi)


L'attuale crescita della popolazione sulla Terra è insostenibile. Immagine: NASA

Per decine di migliaia di anni la popolazione della Terra è stata stazionaria a circa mezzo miliardo di persone di cui 10.000 in Tasmania. Era la capacità di carico naturale.

Dopo la Rivoluzione Agricola di 10.000 anni fa, la mandria umana globale è cresciuta rapidamente ad un miliardo nel 1800 (di cui sempre 10.000 in Tasmania). Con la Rivoluzione Industriale è raddoppiata a due miliardi nel 1900 (in Tasmania 170.000) e, nonostante due guerre mondiali ed una pandemia di influenza, ha raggiunto i 2,7 miliardi quando sono nato nel 1944 (in Tasmania 248.000). Quindi, ancora più impensabile, nel 1960 il mondo aveva tre miliardi di persone e nel 2000 quel numero è raddoppiato – 12 volte la naturale capacità di carico. Ora, nel 2015, siamo 7,3 miliardi (in Tasmania 517.000) e , mentre agli attuali tassi di crescita la popolazione globale raggiungerebbe i 27 miliardi nel 2100, le Nazioni Unite calcolano che si riduca a 12 miliardi o 24 volte la naturale capacità di carico della Terra. L'acclamato cosmologo e fisico Stephen Hawking ha calcolato che “se se continuasse a questo ritmo, con la popolazione che raddoppia ogni 40 anni, nel 2600 ci ritroveremmo letteralmente in piedi spalla a spalla”.

Stiamo già consumando il 140% delle risorse viventi sostenibili della Terra – cioè, l'ecosistema vivente della Terra sta collassando.

Il fisico Stephen Hawking. Foto: AFP
Il corollario più distruttivo della popolazione è il consumo. Siccome i più poveri vogliono mettersi in pari coi più ricchi, i più ricchi non condivideranno e quasi tutti vogliono di più, il consumo di risorse terrestri sta crescendo anche più rapidamente del numero di abitanti. Siamo in un disastro. Come sappiamo tutti, la biosfera, o mantello vivente del pianeta, viene rapidamente distrutto dalla più grande mandria di mammiferi ci vi abbia mai pascolato. Stiamo già consumando il 140% delle risorse viventi sostenibili della Terra, cioè, l'ecosistema vivente della Terra sta collassando. Ogni giorno ci sono meno foreste, meno bacini di pesca (il 90% è andato o sta per andarsene) e meno barriere coralline, meno fiumi naturali, meno specie (l'attuale tasso di estinzione è 500 volte il tasso naturale e sta accelerando) e molta meno natura selvaggia che mai. Tre cose ci aiuteranno ad uscire da questa calamità che si sta sviluppando.

La prima è di assicurarsi che ogni ragazza e ragazzo sul pianeta vengano istruiti e venga dato loro accesso alla contraccezione, con incentivi ad avere meno figli. Questa priorità dipende dal secondo imperativo – che le persone ricche (e i paesi) condividano molto di più e finanzino quell'educazione i requisiti dei suoi operatori sanitari, alla svelta. Vale a dire noi. Gli australiani sono fra le persone più ricche che siano mai esistite. La terza cosa che si deve fare è mettere fine al dogma ridicolo della promozione della crescita dei consumi delle riserve finite di risorse della Terra. Il dio senza speranza della crescita deve essere sostituito dal dio promettente del riusare, riciclare, riparare, innovare e condividere. Il buon senso ordina una relazione sostenibile degli ecosistemi interconnessi dell'Homo Sapiens e del pianeta Terra, anche se quel futuro rimarrebbe ampiamente aperto all'indagine ed alla scoperta e alla crescente creatività umana. Per cogliere pienamente la promessa di vita sulla Terra, dobbiamo sostituire la spirale della crescita della popolazione e dei consumi con una miscela intelligente di auto-preservazione. Non si tratta di un'idea nuova – il moralista ed economista britannico Kenneth Boulding mezzo secolo fa osservava che “chiunque creda che la crescita esponenziale possa continuare per sempre in un mondo finito o è un pazzo o è un economista”.

Il dio senza speranza della crescita deve essere sostituito dal dio promettente del riusare, riciclare, riparare, innovare e condividere.

La Tasmania è in una situazione vantaggiosa per dare l'esempio. Per esempio, i tasmaniani potrebbero ottenere più prontamente emissioni di gas serra negative e perdita zero di specie native, di ecosistemi (sia marini sia terrestri) e di bellezza selvaggia e spettacolare di quasi qualsiasi altra società sulla Terra. Allo steso tempo questi risultati farebbero aumentare il nostro lavoro più in prospettiva e la nostra storia economica più di successo – le industrie del turismo e dell'ospitalità che prosperano sulla base della nostra reputazione internazionale di uno stile di vita sicuro e verde con grandi quantità di cibo ed acqua, vita e natura selvaggia e bellezza incontaminati. In un mondo sempre più mobile diretto a più di otto miliardi di persone entro un decennio, la sicurezza e la naturalezza della Tasmania sono diventate il nostro bene economico più grande. Affollati e tormentati come sono in miliardi di persone, la Tasmania offre loro un'avventura solitaria nella natura per il corpo e un rilassamento per l'anima che non sono secondi a nessuno. Paradossalmente, più affolliamo l'isola, meno questa sarà attrattiva. Il nostro miglior obbiettivo deve essere una popolazione residente relativamente bassa e un grande flusso di visitatori.

Una politica della popolazione sensibile per la Tasmania punterebbe ad una popolazione in naturale diminuzione e ad un afflusso di una parte dei diseredati del mondo finché la crisi globale non è finita.

La politica del governo Hodgman di raddoppiare il tasso di crescita della popolazione della Tasmania nei prossimi 35 anni si inchina all'economia convenzionale della crescita. Comunque sia, i pianificatori dovrebbero piuttosto preoccuparsi del fatto che una politica del genere verrà prima o poi sommersa da migrazioni di massa globali dovute a cambiamento climatico, guerre ed altre imprevedibili calamità. Una politica della popolazione sensibile per la Tasmania punterebbe ad una popolazione in naturale diminuzione e ad un afflusso di una parte dei diseredati del mondo finché la crisi globale non è finita. E perché non rendere partecipe di quella politica uno stato d'oltremare finanziando, diciamo, l'incremento di educazione e salute nelle vicine Papua Nuova Guinea o Timor Est dove le popolazioni stanno esplodendo? La popolazione non è l'argomento preferito di nessuno. Con una eguale misura di istinto ed assurdità, non vogliamo parlarne. Tuttavia, che piaccia o no, la popolazione è un problema di tutti. Possiamo ringraziare il premier, perlomeno per aver sollevato di nuovo questo problema importante.




sabato 8 agosto 2015

Inizia l'era della grande destabilizzazione: economia e clima sono arrivati a un punto critico.

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

Cari lettori,

questo mese di luglio è finito nel segno del cambiamento, dei grandi cambiamenti che stanno già iniziando a prendere corpo e che segneranno la seconda metà di questo 2015. Nonostante che sui media si pretenda di proiettare un'immagine di tranquillità e serenità, la cosa sicura è che il clima di nervosismo è in aumento. E non c'è da stupirsi, perché la destabilizzazione che abbiamo di fronte non si riferisce solo alla disponibilità di risorse (e di conseguenza l'impossibilità di continuare con questo sistema economico basato sulla crescita infinita), ma anche alla instabilità climatica rapidamente in crescita ed alla non meno emergente instabilità politica. Cominciamo col riassunto di questo mese di luglio 2015.

venerdì 27 marzo 2015

L'attuale modello di sviluppo economico è morto – dobbiamo abbandonarlo

DaThe Guardian”. Traduzione di MR

Di Andrew Simms

Un radicale cambiamento a favore dei più poveri è il solo modo per riconciliare le sfide gemelle di fermare il cambiamento climatico catastrofico e mettere fine alla povertà


La crescita della Cina guidata dalle esportazioni sta danneggiando l'ambiente e beneficiando i ricchi, non i poveri. Sopra, pedoni che indossano maschere per proteggersi dall'inquinamento dell'aria mentre attraversano una strada trafficata a Pechino. Foto: Ng Han Guan/AP



Cos'è lo sviluppo? Per troppi economisti convenzionali è stato la Cina, anche se non senza ironia. Il suo modello di sviluppo guidato dalle esportazioni e i relativi vantaggi in tutti i settori economici hanno creato il suo status di superpotenza ed ha generato globalmente la grande maggioranza di coloro che sono fuoriusciti dalla povertà. Ma c'è un problema col modello: “Pechino non è una città vivibile”, ha detto il sindaco della città Wang Anshun di recente. Il prezzo della rapida industrializzazione ed urbanizzazione è stato l'inquinamento: aria non più adatta da respirare e numero di visitatori in declino – una specie di anti-sviluppo. E' una crisi riecheggia in India, dove una ricerca recente ha stimato che l'inquinamento ha creato una perdita collettiva di 2,1 miliardi di anni di vita. Sapendo che questo è un problema, l'India ha annunciato un piano per raddoppiare le tasse sul carbone per pagare energie alternative pulite e rinnovabili. In Cina, il premier Li Keqiang ha annunciato un obbiettivo di crescita economica inferiore, una linea molto più dura sulla  salvaguardia ambientale ed una dipendenza ridotta dalla produzione energeticamente intensiva per l'esportazione. La Cina pianifica di ridurre l'uso di energia per unità di PIL del 3,1% nel 2015 ed ha un'ambizione più a lungo termine per la metà del secolo di limitare l'uso del carbone alla metà del consumo totale di energia.

domenica 15 marzo 2015

Pentagono e Cambiamento Climatico: in che modo i negazionisti mettono a rischio la sicurezza nazionale

DaRolling Stone”. Traduzione di MR (h/t Paul Chefurka)

I capi delle nostre forze armate sanno cosa sta per succedere – ma i negazionisti al Congresso stanno ignorando gli avvertimenti

Di Jeff Goodell




Matt Mahurin 

La stazione navale di Norfolk è il quartier generale della flotta della Marina statunitense nell'Atlantico, una straordinaria raccolta di potere militare, ovvero, in un modo terribile, il culmine della gloria della civiltà americana. 75.000 marinai e civili ci lavorano, il loro l'affare quotidiano di mantenere la flotta lucida e pronta per il dispiegamento in qualsiasi momento. Quando l'ho visitata in dicembre, la portaerei USS Theodore Roosevelt era in porto, una macchina da guerra galleggiante di 1000 piedi di lunghezza che è stata centrale per le operazioni militari in Iraq e Afghanistan. Attrezzature caricate sul ponte dalle gru, marinai che si affrettavano su e giù lungo le passerelle. Elicotteri della marina ci sorvolavano. La sicurezza era stretta ovunque. Mentre stavo osservando uno dei nuovi piloni massicci di cemento a due piani della base che sono grandi quasi come un parcheggio di un ipermercato, mi sono avvicinato per dare un'occhiata più da vicino al USS Gravely, un cacciatorpediniere con missili teleguidati che ha passato molte ore di guardia nel Mediterraneo. Uomini armati sul ponte mi guardavano con circospezione – anche il mio ufficiale di scorta sembrava nervoso (“Penso che dovremmo fare un passo indietro”, ha detto, afferrandomi il braccio).

Non si possono passare 10 minuti in questa parte della Virginia senza percepire il senso profondo della storia: La Battaglia di Hampton Roads, una famosa battaglia decisiva fra due corazzate della Guerra Civile è avvenuta poco al largo. La base è stata un punto di partenza chiave per migliaia di marinai durante la Seconda Guerra Mondiale, molti dei quali non sono mai ritornati. I loro fantasmi sono ancora presenti. La zia o lo zio di chiunque ha una storia da raccontare su una notte in un porto a Brisbane o Barcellona, o sul modo in cui rimbombavano le loro orecchie la prima volta che hanno sentito un cannone sparare dal ponte di una nave.

Ma entro la durata di vita di un bambino nato adesso, tutto ciò potrebbe svanire nell'Oceano Atlantico. La terra su cui è costruita la base sta letteralmente sprofondando, il che significa che i livelli del mare in Norfolk stanno aumentando circa il doppio più velocemente della media globale. Non c'è nessuna altura, nessun luogo in cui ritirarsi. Sembra una palude che è stata dragata ed asfaltata – ed è praticamente così. Basta un temporale o una grande mareggiata e l'Atlantico invade la base – le  strade vengono sommerse, i cancelli d'ingresso invalicabili. Il giorno prima della mia visita, nell'area era passato il grecale. Sull'Isola di Craney, il principale deposito per il rifornimento della base, i veicoli militari erano sotto l'acqua di mare fino agli assi. L'acqua ha invaso una lunga area erbosa vicino ad Admiral's Row, dove i comandanti delle navi vivono in case sontuose costruite per l'Esposizione di Jamestown del 1907. “E' la più grande base navale del mondo e dovrà essere spostata”, dice l'ex vice presidente Al Gore. “E' solo questione di quando”.

Ci sono 29 basi militari, cantieri navali ed installazioni nell'area e molti di loro hanno gli stessi guai. Nella vicina base dell'Aeronautica di Langley, sede di due squadroni di caccia e quartier generale del Air Combat Command, i comandanti della base tengono 30.000 sacchetti di sabbia pronti da posizionare intorno agli edifici quando arriva una grande tempesta. Al Wallops Flight Facility della NASA, l'agenzia ha corazzato la linea costiera con 3 milioni di iarde cubiche di sabbia per proteggere le proprie rampe di lancio dai sollevamenti del mare. “La prontezza militare è già stata condizionata dall'aumento del livello del mare”, dice Virginia Sen. Tim Kaine, dice che con tutti gli allagamenti sta diventando difficile vendere una casa in alcuna parti di Norfolk. Se la fusione della Groenlandia e dell'Antartide Occidentale continua ad accelerare ai tassi attuali, gli scienziati dicono che Norfolk potrebbe avre più di sette piedi di aumento del livello del mare per il 2100. In 25 anni, le operazioni in gran parte di queste basi è probabile che verranno seriamente compromesse. Entro 50 anni, gran parte di esse potrebbero essere spacciate.

Se la regione venisse colpita da un grande uragano, la resa dei conti potrebbe arrivare anche prima. “Si potrebbero spostare alcune navi in altre basi o costruire nuove basi più piccole in posti più protetti”, dice il Capitano della Marina in pensione Joe Bouchard, un ex comandante della Stazione Navale di Norfolk. “Ma i costi sarebbero enormi. Parliamo di centinaia di miliardi di dollari”.

Il Contrammiraglio Jonathan White, l'oceanografo capo della Marina e capo della sua task force sul cambiamento climatico, è una delle persone più ben informate fra i militari su cosa stia veramente accadendo nel nostro pianeta in rapido riscaldamento. Ogni qualvolta un altro ufficiale o un deputato mette all'angolo White e lo incalza sul perché passi tanto tempo a pensare al cambiamento climatico, lui non cerca nemmeno di spiegare l'espansione termica degli oceani o le dinamiche del ghiaccio nell'Artico. “Li porto semplicemente a Norfolk”, dice White. “Quando vedi cosa sta succedendo laggiù, ti da un'idea di cosa significhi il cambiamento climatico per la Marina – e per l'America. E si può capire perché siamo preoccupati”.

Coloro che parlano prevalentemente di cambiamento climatico – scienziati, politici, attivisti ambientali – tendono ad inquadrare la discussione in termini economici e morali. Ma il mese scorso, con una svolta drammatica, il presidente Obama ha parlato di cambiamento climatico in un contesto esplicitamente militare: “Il Pentagono dice che il cambiamento climatico pone rischi immediati alla nostra sicurezza nazionale”, ha detto nel suo Discorso sullo Stato dell'Unione. “Ci dovremmmo comportare di conseguenza”.

Da un lato, questa è solo politica scaltra, un modo per parlare del cambiamento climatico a persone alle quali non importa dei tassi di estinzione fra i rettili o dei prezzi del cibo in Africa Orientale. Ma è anche un modo di colpire tutti i negazionisti del Congresso che hanno bloccato l'azione climatica – molti dei quali risultano essere grandi sostenitori dei militari. La Commissione per i Servizi Armati del Senato è costituita da personaggi come James Inhofe dell'Oklahoma, Ted cruz del Texas e Jeff Sessions dell'Alabama ed è condotto da John MacCain dell'Arizona che, prima di correre per la presidenza nel 2008, era stato un esplicito sostenitore dell'azione climatica, ma negli ultimi anni è rimasto in silenzio riguardo al problema. La Commissione per i Servizi Armati  ora è presieduta dal repubblicano Mac Thornberry del Texas, che nel 2011 in un editoriale ha sostenuto che la preghiera è una risposta migliore del taglio dell'inquinamento da carbonio alle ondate di calore e alla siccità.

A qualsiasi ufficiale che abbozzi un collegamento fra cambiamento climatico e sicurezza nazionale è garantita una reazione rabbiosa da parte della destra. Il Segretario alla Difesa uscente Chuck Hagel di recente ha definito il cambiamento climatico “un moltiplicatore di minacce” che “ha il potenziale di esasperare molte delle sfide che stiamo affrontando oggi – dalle malattie infettive al terrorismo”. In risposta, l'editoriale del Wall Street Journal ha trattato Hagel come un delirante 'abbraccia alberi': “Agli americani che potrebbero morire per mano dello Stato Islamico non importerà del fatto che il signor Hagel si mobiliti contro la fusione dei ghiacciai”. In un discorso a Jakarta dello scorso anno – una città di quasi 30 milioni di abitanti che sta rapidamente sprofondando – il Segretario di Stato John Kerry a definito il cambiamento climatico “forse la più spaventosa arma di distruzione di massa del mondo” e lo ha paragonato al terrorismo, alle epidemie e alla povertà. McCain ha immediatamente respinto le preoccupazioni di Kerry e lo ha accusato di “svolazzare per il mondo dicendo qualsiasi cosa”; l'ex leader repubblicano Newt Gingrich ha twittato, “Ogni americano a cui importi della sicurezza nazionale deve richiedere le dim issioni di kerry. Un segretario di stato delirante è pericoloso per la nostra sicurezza”.


Prima che il cambiamento climatico diventasse un tabù per i repubblicani, era possibile anche per i politici conservatori avere discussioni razionali sul tema. Nel 2003, sotto Donald Rumsfeld, l'ex segretario alla difesa del presidente George W. Bush, il Pentagono ha pubblicato un rapporto intitolato “Uno scenario di cambiamento climatico improvviso e le sue implicazioni per la sicurezza nazionale degli stati uniti”. Commissionato da  Andrew Marshall, che a volte all'interno del Pentagono viene scherzosamente chiamato Yoda – e che era un favorito di Rumsfeld – il rapporto avvertiva che le minacce alla stabilità globale poste da un rapido riscaldamento eclissavano ampiamente quelle del terrorismo. Parte della scienza climatica del rapporto era sbagliata, ma le conclusioni più ampie non lo erano. “Distruzione e conflitto saranno caratteristiche endemiche della vita”, affermava il rapporto. “La guerra definirà di nuovo la vita umana”.



Un tempo voce autorevole sul cambiamento climatico, il senatore John McCaine, presidente dellla Commissione per i Servizi Armati del Senato, ora parla raramente dei problemi. Andrew Harper/Bloomberg/Getty

Anche McCain, ora fermamente nel campo negazionista, non esitava a delineare la connessione fra cambiamento climatico e sicurezza nazionale. “Se gli scienziati hanno ragione e le temperature continuano a salire”, ha detto al Senato nel 2007, “potremmo essere di fronte a conseguenze ambientali, economiche e di sicurezza nazionale ben al di là della nostra capacità di immaginazione”.

Questo tipo di discorso è svanito dal partito dopo il 2008, quando il Partito Repubblicano si è trasformato in una succursale delle Industrie Koch. Da allora, i Repubblicani hanno lavorato duramente per minare qualsiasi connessione fra clima e sicurezza nazionale. Caso in questione: nel 2009 l'allora direttore della CIA Leon Pennetta ha silenziosamente fatto partire il Centro per il Cambiamento Climatico e la Sicurezza Nazionale. E' stato un tentativo diretto da parte della comunità dell'intelligence di mettere insieme una migliore conoscenza dei cambiamenti in arrivo. Fra le altre cose, il Centro ha finanziato un grande studio sulla relazione fra cambiamento climatico e stress sociale, con il patrocinio dell'Accademia Nazionale delle Scienze, una delle organizzazioni scientifiche più rispettate del paese. I negazionisti climatici del Congresso non hanno gradito, specialmente il repubblicano John Barrasso del Wyoming, uno stato Big Coal. Quando il rapporto è stato completato, Panetta aveva lasciato la CIA e il suo successore, il generale David Petraeus, lo ha lasciato in un cassetto. “Abbiamo percepito una pressione costante ad annacquare le nostre conclusioni”, dice uno dei coautori del rapporto dell'Accademia Nazionale. Il giorno in cui è stato pubblicato il rapporto, la conferenza stampa è stata improvvisamente cancellata e il rapporto è stato sepolto. Poche settimane dopo, il Centro per il Cambiamento Climatico e la Sicurezza Nazionale è stato sciolto.

Barrasso è stata anche una figura chiave nel far deragliare le audizioni al Senato sulla connessione fra clima e sicurezza nazionale. Lo scorso anno Daniel Chiu, uno dei maggiori strateghi del Pentagono, ha intelligentemente testimoniato sulle implicazioni di sicurezza nazionale del cambiamento climatico. Ma nelle domande e risposte che sono seguite, Barasso è finito in un mondo di fantasia, facendo a Chiu domande sui “sindacati criminali internazionali globali” che stanno manipolando le politiche ambientali europee “per aiutare e sostenere le organizzazioni terroriste e i cartelli della droga che vogliono danneggiare noi e i nostri alleati”.

I negazionisti del Congresso hanno incalzato il Pentagono dove gli ufficiali militari sono più sensibili: il loro bilancio. Lo scorso anno, i repubblicani hanno presentato un emendamento sul disegno di legge per gli stanziamenti alla difesa che ha proibito al Pentagono di spendere soldi nell'implementazione delle raccomandazioni dell'ultimo rapporto dell'IPCC dell'ONU. “L'emendamento non ha avuto effetti sul bilancio della difesa, visto visto che le raccomandazioni dell'IPCC in realtà a noi non si applicano”, mi ha detto un interno del Pentagono. “Ma l'intento era chiaro: questa sarà una guerra”.

La scala delle risorse militari che sono a rischio a causa del clima che cambia rapidamente è sbalorditiva. Il Pentagono gestisce più di 555.000 strutture e 28 milioni di acri di terreno – virtualmente tutti subiranno l'impatto del cambiamento climatico in qualche modo.

Quasi ogni base navale o aeronautica nella costa orientale è vulnerabile all'aumento del livello del mare e alle tempeste, compresa la base dell'aeronautica di Eglin, la più grande base aerea degli Stati Uniti, che si trova nel bassopiano di Panhandle in Florida e la base aeronautica di Patrick sulla costa atlantica della Florida. Ad occidente, il problema spesso sono le siccità e le alluvioni improvvise. Fort Irwin, una base dell'esercito di sette miglia quadrate nel sud della California, sul margine del deserto del Mojave, ha problemi con entrambi. L'epica siccità della California ha messo in discussione le forniture idriche a lungo termine della base. Fort Irwin è una delle sole basi negli Stati Uniti con lo spazio e l'isolamento da permettere la simulazione di una guerra di carri armati in scala. Allo stesso tempo, la base è stata colpita da eventi piovosi estremi. Nell'agosto del 2013, quando l'equivalente di un anno di pioggia è caduto in 80 minuti, l'alluvione ha causato alla base 64 milioni di dollari di danni.

Su in Alaska, il problema è lo scongelamento del permafrost e l'erosione costiera causata da tempeste più forti e maree più alte. E installazioni radar di primo avvistamento dell'aeronautica, che aiutano gli Stati Uniti a mantenere una stretta sorveglianza da qualsiasi cosa possa essere lanciata verso di noi dalla Corea del Nord o dalla Russia, sono state colpite in modo particolarmente duro. In un'installazione, sono stati persi 40 piedi di spiaggia, mettendo in pericolo l'affidabilità del radar. Presso altre installazioni, il permafrost che si scongela ha causato l'inclinazione e il disallineamento dei radar.

In alcuni luoghi, questi impatti sono poco più che costosi fastidi. Ma in alti, il futuro di intere installazioni, molte delle quali virtualmente insostituibili a causa del loro posizionamento geografico e strategico, è messo a repentaglio. La base navale statunitense Diego Garcia, un piccolo atollo corallino nell'Oceano Indiano, come le vicine Maldive, è sicuro che scompaia. Costruita durante la Guerra Fredda, la Diego Garcia ha dato ai militari statunitensi appoggio per contrastare l'influenza sovietica nella regione, così come per proteggere le linee navali al di fuori del Medio oriente. In anni più recenti, questo raro bene strategico è diventato un nodo logistico cruciale per mandare approvvigionamenti alle forze alleate in Medio Oriente, nel mediterraneo e nell'Europa Meridionale. La base ospita anche l'attrezzatura della Rete di Controllo Satellitare dell'aeronautica usata per controllare il GPS. Le navi e l'attrezzatura possono essere spostate abbastanza agevolmente, ma abbandonare un punto d'appoggio militare in una parte vitale ma infiammabile del mondo non è una cosa che i militari amano fare. “Per la Marina, la presenza conta”, dice il Contrammiraglio in pensione David Titley.

Il Pentagono sta esaminando le sue 704 installazioni e siti costieri in un grande studio per cercare di capire quali basi siano più a rischio. Alla fine dovranno essere prese alcune decisioni difficili su quali chiudere, spostare o proteggere. Anche speculando sul numero di possibili chiusure, è un argomento troppo caldo da toccare per chiunque al pentagono in questo momento. Ma il processo non può essere rimandato a lungo. Il prossimo incontro della Commissione per il Riallineamento e la Chiusura delle Basi (BRAC) potrebbe tenersi nel 2017. “Nel BRAC, tutte le decisioni sono basate sul valore militare”, dice John Conger, il vice sottosegretario della difesa, che è responsabile del BRAC. “Il cambiamento climatico condizionerà il valore militare dell'installazione?. Be', certo che lo condizionerà. La domanda è: dominerà l'equazione? E non credo che lo farà – ancora”.

Proprio come ci sono punti caldi del cambiamento climatico, ci sono anche punti caldi del negazionismo climatico – e la Virginia è uno di questi. L'Assemblea Generale della Virginia dominata dai repubblicani è stata ostile alla discussione del cambiamento climatico – un legislatore ha chiamato l'aumento del livello del mare “un termine di sinistra”. La frase politicamente accettabile in Virginia è invece “alluvione ricorrente”.


Man mano che i livelli del mare si alzano, le alluvioni sono diventate più comuni nella base. Michael Pendergrass/U.S. Navy

Ciò rende difficile per la Marina affrontare il problema più immediato che ha Norfolk: mantenere aperte le proprie strade. Uno studio dell'Istituto per la Scienza Marina della Virginia ha identificato quasi 300 miglia di strade vulnerabili alle alluvioni nell'area di Norfolk. “Se le persone non possono andare al lavoro alla base perché le strade vengono allagate, abbiamo un grande problema”, dice il Capitano J. Pat Rios, che è il responsabile delle strutture della Marina nella regione dell'Atlantico centrale. Ma le strade a Norfolk sono responsabilità dello stato e ricostruirle ora non è una priorità. Siccome molti degli uomini e donne della legislatura della Virginia non credono che il cambiamento climatico sia un problema urgente, non vogliono spendere troppi soldi nell'affrontare le minacce che pone. “Trovano strade da sistemare in altre parti dello stato”, dice Joe Bouchard.

Per ora, la strategia della Marina è quella di guadagnare tempo. Alla fine degli anni 90, gli ingegneri della Marina si sono resi conto che 13 moli della base, alcuni dei quali risalgono alla Seconda Guerra Mondiale, stavano raggiungendo la fine del loro ciclo di vita. Siccome erano stati costruiti in un periodo in cui nessuno pensava all'aumento del livello del mare, i moli erano relativamente bassi rispetto al livello dell'acqua. Con l'alta marea, le strutture presenti lungo il lato inferiore delle piattaforme dei moli – elettriche, di vapore, telefoniche, Internet – venivano spesso sommerse dall'acqua, rendendole inutilizzabili. “Non era un problema da poco – non era un problema operativo minore”, dice Bouchard. “L'aumento del livello del mare stava interferendo con la prontezza al combattimento della flotta atlantica”.

Finora, sono stati costruiti 4 nuovi moli, che sono più alti, più forti e meglio progettati di quelli vecchi. Bouchard, che è stato comandante mentre i primi moli nuovi venivano costruiti, dice “sono stati costruiti con l'aumento del livello del mare in mente”. Ma sulla base nessuno vuole parlare direttamente di spendere soldi per affrontare l'aumento del livello del mare, principalmente perché sono preoccupati di attrarre il giudizio da parte dei negazionisti climatici del Congresso, che sono felici di sottolineare qualsiasi spesa che abbia la parola “clima” dentro. Piuttosto, molte persone fra i militari finiscono per parlare di clima come gli adolescenti parlano di sesso – con parole in codice e un linguaggio suggestivo. “Non abbiamo alzato i moli a causa del cambiamento climatico”, mi dice il Capitano Rios durante la mia visita alla base. Non è che mi faccia l'occhiolino, ma quasi.
“Allora perché li avete alzati?” Chiedo.

"Perché ci servono nuovi moli. E visto che li stavamo costruendo, non costava tanto di più farli più alti”.

Ma costruire moli più alti non salverà la base di Norfolk. A prescindere da quanti soldi spenda il Pentagono, non importerà se le persone non possono raggiungere la base perché le strade sono sott'acqua o nessuno vuole vivere nell'area perché il valore delle loro case cola a picco. “Per salvare la base, bisogna salvare la regione”, dice Bouchard. Con l'aiuto della Casa Bianca, lo stato e i funzionari locali di recente approntato di recente un progetto pilota biennale con la Marina per cominciare ad affrontare questi problemi. Ma al momento le soluzioni sono molto lontane.

L'aumento del livello del mare è solo una delle minacce alimentate dal clima che stanno rendendo il mondo più pericoloso e volatile. Le siccità hanno contribuito all'aumento del prezzo del cibo che ha innescato la rivolta della Primavera Araba in Egitto nel 2011; ha anche aiutato ad innescare la guerra civile in Siria. Nelle Nigeria settentrionale, una regione destabilizzata da cicli di siccità e alluvioni estremi, Boko Haram sta terrorizzando i villaggi e uccidendo migliaia di nigeriani.

Il cambiamento climatico sta anche rimodellando i confini dei continenti. In nessun luogo più che nell'Artico, che è probabile che diventi un grande punto critico nelle dispute territoriali e nelle guerre per le risorse del futuro. “La fusione del ghiaccio sta aprendo un nuovo oceano”, dice l'Ammiraglio Gary Roughead, che è stato capo delle operazioni navali statunitensi dal 2007 al 2011. “E' un evento che si verifica una volta ogni millennio”. Il 13% del petrolio non scoperto del mondo si trova al di sotto dell'Artico, così come il 30% del gas naturale non scoperto e più di un trilione di dollari di ricchezza in minerali. “Il modo migliore in cui l'ho sentito spiegare”, dice il Contrammiraglio Daniel Abel della Guardia Costiera statunitense, è questo: “immaginate se aveste un canale di Panama e un'Arabia Saudita in energia che si manifestano nello stesso posto in un'area sotto la vostra responsabilità. Come la prendereste?”

Si possono già intravedere i segni di un futuro militarizzato nell'Artico. Nel 2007, i soldati russi si sono immersi a 17.000 piedi sotto il Polo Nord in un mini sottomarino ed hanno piantato la bandiera russa nel fondo del mare, marcandolo come loro territorio. “Non siamo nel 15° secolo – non si può andare in giro a piantare bandiere” per rivendicare dei territori, ha detto sprezzante il ministro per gli Affari Esteri canadese Peter MacKay. Lo scorso settembre, sei jet da combattimento russi sono stati individuati vicino all'Alaska; quando i jet statunitensi e canadesi hanno intercettato gli aerei russi a circa 55 miglia dalla costa – ancora al di fuori dello spazio aereo americano, ma più vicino di quanto non volino normalmente – i russi hanno girato e si sono diretti verso casa, ma è stato un incontro ravvicinato, un incontro che si sta verificando con frequenza crescente negli ultimi mesi. A novembre, un sottomarino russo nel mare di Barents, vicino alla Groenlandia, ha testato un missile intercontinentale Bulava – il Bulava è l'ultima mortale arma nucleare russa. Il missile ha una gittata di circa 5.000 miglia e può essere caricato con 10 testate nucleari, ognuna delle quali può essere manovrata individualmente. Un Bulava lanciato da un sottomarino nell'Artico potrebbe facilmente raggiungere Boston, New York o Washington D.C.

All'interno del Pentagono, queste provocazioni sono state viste come qualcosa di più dei vecchi giochi della Guerra Fredda. Agli occhi di alcuni pianificatori, Putin stava mandando un messaggio neanche tanto nascosto del fatto che pensa che all'Artico allo stesso modo in cui gli americani un tempo pensavano al Far West: un territorio vasto e non civilizzato di risorse che sarà dominato da chiunque lo rivendichi per primo.

Dopo la Guerra Fredda, i militari statunitensi hanno ampiamente dimenticato l'Artico. Era troppo ostile, troppo proibitivo, troppo costoso operare lassù e senza i sovietici di cui preoccuparsi, c'erano poche ragioni per farlo. Negli anni 90, man mano che Big Oil ha sviluppato progetti per esplorare la regione per il petrolio e il gas, la preoccupazione della Marina è cresciuta - Roughead dice che una grande esplosione di una piattaforma di trivellazione nell'Artico “farebbe sembrare la Deepwater Horizon una passeggiata”. Ma date le complessità della trivellazione nell'Artico, questa sembrava una minaccia lontana nel futuro.


Nel 2007 un sottomarino russo ha piantato la bandiera del suo paese sul fondo del mare dell'Artico. La fusione delle calotte glaciali hanno aperto un nuovo oceano nella regione ricca di risorse che gli Stati Uniti sono mal equipaggiati a proteggere. RTR Russian Channel/AP Images

I capi della Marina hanno cominciato a pensare alla regione in modo diverso nel 2007 che, quando la storia del cambiamento climatico sarà scritta, risulterà uno dei punti di svolta. Quell'estate, gli scienziati erano sorpresi della sparizione inattesa del ghiaccio marino che ha liberato 1 milioni di miglia quadrate di acqua – 6 California – oltre della media, da quando i satelliti hanno cominciato le misurazioni nel 1979. Roughead ha messo insieme una task force della Marina per capire cosa stesse succedendo. “Volevo capire realmente le tendenze a lungo termine così potevamo cominciare a pensare strategicamente alle sfide che avremmo potuto affrontare nell'Artico e cosa avremmo dovuto fare lassù”, dice Roughead. “L'idea era di approfondire questo aspetto anziché seguire le grida del Pentagono, 'Hey ragazzi, il cambiamento climatico è una cosa grossa'”.

Gli scienziati della Marina stimano che per l'estate del 2025 la fusione dl ghiaccio marino estivo nell'Artico sarà abbastanza grande da permettere che i trasporti transpolari si espandano sulla Rotta del Mare del Nord, che passa attraverso il Mare di Barents lungo la costa russa e riduce il tempo di transito fra Asia ed Europa di un terzo. Man mano che il ghiaccio si scioglie, ci saranno più turisti che navigano nel Passaggio a Nordovest lungo la costa canadese. Ci saranno più trivellazioni nel Mare di Chukchi Sea a ovest  dell'Alaska. Ci sarà più traffico verso la Groenlandia, dove le società minerarie si stanno già mettendo in coda per estrarre i minerali che verranno resi accessibili dal ritiro delle calotte polari. Con tutto questo nuovo traffico marittimo, è inevitabile che la Marina dovrà rispondere a sempre più incidenti lassù, dalle missioni di ricerca e salvataggio al probabile contrasto delle azioni aggressive della Marina russa. O, allo stesso modo probabile, da parte dei cinesi, che sono desiderosi di attingere dalle ricche riserve di petrolio e gas dell'Artico. “La Marina degli Stati Uniti non cede un oceano a nessuno”, sostiene Titley. “Siamo una grande potenza”.

Ma la Marina degli Stati Uniti è anche, secondo Roughead, “tristemente impreparata” ad operare nel ghiacciato e spietato Artico. La Marina non ha buone capacità di previsione meteo lassù; le comunicazioni satellitari sono inaffidabili; solo circa il 10% del fondo del mare è stato scandagliato, quindi i naviganti sono inconsapevoli degli ostacoli sottomarini. Le missioni sottomarine sono diventate anche più pericolose a causa dell'imprevedibilità dei cicli di congelamento del ghiaccio marino .La cosa più importante, siccome nessuno nella Marina aveva dato priorità alla necessità di operare nell'Artico, poche navi della Marina sono preparate al freddo. I loro sistemi di idraulici e di ventilazione non funzionano appropriatamente a temperature di congelamento, i loro scafi non sono rinforzati per il ghiaccio. Come dice Titley, “L'incubo di ogni comandante della Marina è che succeda qualcosa nell'Artico – una nave piena di turisti che affonda, un attacco terroristico, un incontro coi militari russi – e di dovere prendere il telefono e dire, 'Mi dispiace, signor Presidente. Vorremmo fare qualcosa per questo, ma non abbiamo proprio l'equipaggiamento che ci permette di rispondere a questa situazione'”.

Quando si tratta di sicurezza nell'Artico, nessun equipaggiamento è importante quanto un rompighiaccio. Virtualmente ogni nazione che rivendica l'Artico sa questo: la Russia ha 43 rompighiaccio (sei dei quali sono alimentati da propulsori nucleari); il Canada ne ha 13; la Finlandia ne ha 9. Gli Stati Uniti ne hanno uno, il Polar Star, che è gestito dalla Guardia Costiera statunitense. Ha quasi 40 anni. Entro un decennio, verrà rottamato e non ci sono progetti per costruirne un altro. “Non finanziandoli”, dice Titley, “mandiamo un telegramma al resto del mondo dicendogli che l'Artico non ci interessa”.

Il cartellino del prezzo di un nuovo rompighiaccio è di un miliardo di dollari – non economico, ma circa un terzo del prezzo di un cacciatorpediniere. E non è una cosa che il repubblicano Duncan Hunter, il negazionista climatico di San Diego che presiede il sottocomitato della Casa che sovrintende agli affari della Guardia Costiera, voglia sentirsi dire. (Anche se sembra essere a favore di un Artico libero dal ghiaccio: “Migliaia di persone muoiono ogni anno di freddo, quindi se avessimo un riscaldamento globale salverebbe delle vite”, ha detto a un gruppo di californiani nel 2009). Dal punto dell'osservatore del Pentagono, il problema non  è solo che i negazionisti come Hunter non vedono la necessità di rompighiaccio, “non vedono la necessità di nessuno pensiero strategico riguardo all'Artico”. Senza rompighiaccio in attività, il californiano John Garamendi, il rappresentante democratico nel subcomitato di Hunter, ha detto alla Associated Press che “il controllo dell'Artico è nelle mani della Russia”.

L'altro problema è la mancanza di leggi del nuovo oceano, specialmente quando si tratta di esplorazione per petrolio e gas sotto il ghiaccio in ritirata. Ogni nazione gode dei diritti di sovranità fino a 200 miglia al largo della proprie coste – ma oltre a quel limite? Come dovrebbe essere suddiviso?Nel 2010, un Ammiraglio cinese ha dichiarato che siccome la Cina ha il 20% della popolazione mondiale, dovrebbe avere il 20% delle risorse dell'Artico. Giusto o meno, questo non è certamente un punto di vista che la Russia – o gli stati Uniti, per quello che vale – è improbabile che approvi.

Per risolvere questo tipo di rivendicazioni, così come per dare una struttura legale ai diritti e alle responsabilità dei paesi rispetto agli oceani, i membri delle Nazioni Unite hanno passato decenni a negoziare un accordo, formalmente conosciuto come Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS). Fra le altre cose, la UNCLOS riconosce che le nazioni hanno il diritto di rivendicare le risorse lungo quello che è conosciuto come “estensione della loro piattaforma continentale”, che fondamentalmente significa qualsiasi caratteristica del terreno che si estende al di là del confine delle 200 miglia. L'accordo è stato portato a termine nel 1982 ed ora è stato firmato da altri 60 paesi, compresa la Russia e tutte le altre nazioni artiche – eccetto gli Stati Uniti. Anche se l'accordo è ampiamente sostenuto da Big Oil, dai capi  militari statunitensi e da tutti i presidenti americani da Reagan in poi, i contrari come il senatore Inhofe, decano dei negazionisti climatici al Congresso, e il repubblicano dell'Ohio Jim Jordan sono stati capaci di bloccare la partecipazione degli Stati Uniti affermando che l'accordo contrasta con la libertà americana e che la distribuzione delle royalty dell'accordo favorirebbero un “una burocrazia corrotta in stile ONU” per deviare miliardi di dollari dall'economia statunitense “tassando” i profitti delle multinazionali.

Le risorse che gli Stati Uniti potrebbero giustificabilmente rivendicare se riconoscessero il Diritto del Mare sono ampie. Nella sola Alaska, la piattaforma continentale si estende a 600 miglia dalla costa, con 73 miliardi di barili di petrolio stimati e di gas naturale equivalente al petrolio. I sostenitori dell'accordo stimano che queste risorse potrebbero generare 193 miliardi di dollari di introiti federali, statali e locali in un periodo di 50 anni.

Mettendo da parte le conseguenze economiche, da un punto di vista della sicurezza nazionale, è folle rimanere fuori dal solo accordo internazionale che può risolvere dispute sulle rivendicazioni territoriali prima che crescano. “Credo che la nostra presenza nel trattato costituirebbe una maggiore stabilità e sicurezza e non solo nell'Artico”, sostiene Roughead. “Favorirebbe anche che le nostre rivendicazioni sulla piattaforma continentale estesa vengano riconosciute a livello internazionale”. In quanto all'argomentazione avanzata da Inhofe ed altri per cui aderendo al trattato indeboliremmo i poteri della marina statunitense e della Guardia Costiera e passeremmo l'autorità alle Nazioni Unite, Roughead è immediatamente liquidatorio: “Non è per niente così”.

Man mano che il mondo si scalda, i militari statunitensi verranno inevitabilmente evocati per condurre più missioni per catastrofi e per aiuto umanitario. I militari statunitensi, naturalmente, non sono un'operazione di salvataggio dell'orso polare. “I militari hanno molti ruoli importanti, dice Sharon Burke, una ex assistente della segreteria alla difesa. “Ma il lavoro principale è quello di combattere guerre. Questo significa distruggere cose e uccidere persone”. Ma i militari sono anche fieri della loro mentalità pratica, sia in tempo di guerra sia in tempo di pace. I capi militari hanno abbracciato l'abolizione della segregazione razziale molto prima del resto della nazione, in parte perché volevano le persone migliori che potevano trovare, a prescindere dal colore. “E' il nostro lavoro avere a che fare col mondo com'è, non come vogliamo che sia”, dice Robert Freeman, un meteorologo e membro della task force sul cambiamento climatico della Marina.

L'Ammiraglio Samuel Locklear III, responsabile della forze armate statunitensi nel Pacifico, è uno degli uomini più rispettati fra i militari statunitensi – e quello col lavoro più difficile, con la Cina e la Corea del Nord da controllare. “L'agitazione politica e sociale che è probabile che vedremo a causa del nostro pianeta in rapido riscaldamento” ha detto Locklear al Boston Globe nel 2013, “probabilmente è la cosa più probabile che... paralizzerà l'ambiente della sicurezza, forse più probabile degli altri scenari a cui spesso pensiamo”.

Poco dopo, Locklear è stato convocato dalla Commissione per i Servizi Armati del Senato, dove Inhofe gli ha chiesto di “chiarire” le sue osservazioni. E lui lo ha fatto, con calma e forza, insegnando ai senatori come le popolazioni costantemente in crescita dell'Asia metterebbero solo più persone a rischio di tempeste ed altri disastri collegati al clima. “OK, la interromperò qui”, ha detto Inhofe, rendendosi conto che stava perdendo la battaglia. Ed ha rapidamente cambiato discorso.



Il senatore James Inhofe in convenevoli con l'Ammiraglio Samuel Locklear III. J. Scott Applewhite/AP Images

Ciò che Locklear prevede correttamente è che un mondo di caos generato dal clima è già qui e peggiorerà soltanto. E dobbiamo cominciare a parlarne adesso, perché non solo le minacce si moltiplicheranno, ma lo faranno anche le questioni che dovremo affrontare. Una cosa è pianificare l'invasione della spiaggia della Normandia o l'assedio di Falluja, tutt'altra cosa è pianificare di essere la squadra di salvataggio dell'intero pianeta. Abbiamo già speso più di un trilione di dollari in Iraq e Afghanistan senza nessun successo misurabile. Quanto possiamo ancora permetterci di fare? “Penso che dobbiamo fare delle scelte strategiche”, dice Roughead. “Di quali parti del mondo ci importa di più? Quali sono i punti critici strategici? Vogliamo essere in grado di operare nell'Artico o no? Per quale tipo di mondo ci stiamo preparando?” Alcuni analisti di intelligence sostengono che la superiorità militare statunitense sarà il vantaggio meno significativo in futuro perché nessuno ci attaccherà con massicce forze convenzionali. Piuttosto, verremo tirati sempre più dentro a piccoli conflitti alimentati del terrorismo, dagli stati falliti e dai disastri naturali.

“Quando gli oceani salgono, l'instabilità fluisce”, dice il Segretario della Marina Ray Mabus. Ashton Carter, la scelta di Obama come Segretario alla Difesa, non è conosciuto dagli insider del Pentagono per il suo focus sulle minacce del cambiamento climatico. E le possibilità di qualsiasi azione significativa al Congresso prima del 2016 sono pari a zero. Ma il caos aumenta, è inevitabile che chiederemo ai nostri militari di fare di più. Ad un certo punto, il negazionismo climatico si trasformerà in panico climatico e la richiesta di legge, ordine e stabilità prevarrà (così come prevarranno le richieste di soluzioni tecnologiche rapide e pericolose come la geoingegneria per raffreddare il pianeta e fermare l'aumento del livello dei mari). Come ha sottolineato un analista militare, i militari statunitensi sono la sola forza sul pianeta con capacità di fare da poliziotti, trattare, alloggiare, nutrire e spostare i rifugiati in massa. Ma si può capire quanto questo quadro possa farsi oscuro in fretta – una delle minacce a lungo termine più grandi che pone il cambiamento climatico potrebbe essere alle libertà civili e alla libertà in generale. “Non è questione di cosa i militari possano fare per il cambiamento climatico”, dice un ex funzionario del Pentagono. “E' cosa farà il cambiamento climatico ai militari ed alle loro missioni”. E' un'idea spaventosa, ma è lì che siamo diretti. Alla fine, non importa quante road map di adattamento climatico il Pentagono presenti. Ora siamo impegnati in un futuro di disordine e conflitto – un futuro in cui le emergenze di oggi interromperanno sempre i piani per domani.

Un membro della Casa Bianca ricorda di essere entrato nell'ufficio di un generale dell'esercito non molto tempo fa. “Vorrei parlarle del cambiamento climatico” gli ha detto. Il generale non si è nemmeno disturbato a guardarlo. “Vorrei”, ha detto. “Ma devo scrivere una lettera ad una famiglia alla quale è morto un figlio”.