venerdì 2 agosto 2013

Siamo tutti negazionisti climatici

Praticamente tutti noi minimizziamo o cerchiamo di far apparire normali gli enormi problemi climatici che abbiamo

Di Mary Pipher 15 luglio 2013

Da “Time Ideas”. Traduzione di MR


Vista aerea degli edifici che emergono dai fumi che ammantano Wuhan, nella provincia centrale cinese di Hubei, il 3 dicembre 2009. AFP / GETTY IMAGES


Una volta mentre ero in un aeroporto, un tale ha notato che stavo leggendo “Caldo: vivere nei prossimi cinquanta anni sulla Terra.” Si è affacciato per leggere e ha detto con tono cospiratorio: “lo sa che sono cazzate allarmiste?”. Gli ho chiesto: “Non pensa che il clima del mondo stia cambiando?” “I cambiamenti sono parte di un ciclo naturale. La CO2 non riscalda l'atmosfera, Il sole scalda la terra”, ha replicato. Quando gli ho chiesto cosa pensava che sarebbe successo nei prossimi secoli, ha risposto: “Penso che il sole tornerà a raffreddarsi e tutto andrà bene alla fine”. Ho rispettosamente dissentito e me ne sono andata velocemente a prendermi un panino. Ho imparato a non discutere troppo a lungo con persone che non “credono” nel cambiamento climatico antropogenico. Penso che sia impossibile far ragionare qualcuno al di fuori di una posizione sulla quale lui stesso non ha ragionato. Ma il fatto è che persino coloro fra noi che credono che il cambiamento climatico si generato dall'uomo sono parzialmente negazionisti per quanto riguarda gli enormi problemi globali e quasi ognuno di noi minimizza o cerca di far apparire normale la situazione.

(In aggiunta: Mi scusi, ma la copertina del TIME non ha previsto l'arrivo di un'era glaciale? - vedete anche qui)

Il nostro negazionismo è comprensibile. La nostra specie non è attrezzata per rispondere alle minacce poste dal riscaldamento globale. Gli esseri umani sono fatti per trovare cibo e riparo, per riprodursi e per godere gli uni degli altri. Siamo geneticamente programmati per reagire alle minacce scappando o combattendo e, inizialmente, la nostra crisi ambientale non sembra permetterci di fare né l'una né l'altra cosa. Siamo più bravi ad affrontare problemi concreti, a portata di mano, familiari e che richiedono capacità e strumenti di cui siamo già in possesso. La nostra tempesta globale è invisibile, senza precedenti, prolungata e causata da ognuno di noi. Noi abbiamo sistemi di eccitazione del Paleolitico, cervelli Neolitici, istituzioni medievali e una tecnologia del ventunesimo secolo – non un buon mix per risolvere i nostri problemi climatici. E così ci sentiamo paralizzati e il nostro credere di essere impotenti può diventare una profezia che si autoavvera. In una crisi che sembra impossibile da affrontare, ma troppo spaventosa da ignorare, molta gente vive in uno stato che lo psicologo Stanley Cohen chiama “ignoranza volontaria”. Sappiamo e non sappiamo cosa succede. Ma, per dichiarare l'ovvio, non possiamo risolvere un problema che non affronteremo. Gregory Bateson ha detto: “L'unità di sopravvivenza è composta dall'organismo e dal suo ambiente”. La nostra sopravvivenza dipende dalla nostra capacità di riconoscere, discutere ed affrontare la realtà. Una volta che affrontiamo la nostra situazione, possiamo fare progressi in un ciclo di guarigione che parte dalla consapevolezza verso l'azione. E l'azione, specialmente in collaborazione con altri, può essere l'antidoto alla disperazione.

(In aggiunta: I cambiamenti climatici possono rendere più forti gli uragani – e più frequenti)

Quando i problemi ci sembrano troppo grandi, la soluzione è di crescere di più. Naturalmente, ci saranno sempre alcuni negazionisti climatici, ma sempre più di noi si stanno rendendo conto che o sopravviveremo tutti o non sopravviverà nessuno. Lo scorso febbraio, in un giorno freddo e ventoso a Washington D.C., 40.000 persone si sono unite nella più grande azione ambientale nella storia della nostra nazione. Naturalmente, anche con l'azione collettiva, non sappiamo con sicurezza cosa accadrà al pianeta. Ma sappiamo cosa accadrà a noi quando agiremo. Ci sentiremo più vivi, forti e connessi. E saremo più fiduciosi, perché la speranza viene dall'agire in modi significativi verso gli obbiettivi che ci stanno più a cuore.