mercoledì 30 gennaio 2013

Non si può uccidere un pianeta e viverci sopra


Di Derrick Jensen e Frank Joseph Smecker
Da “Truthout”. Traduzione di MR


(Immagine: LP/t r u t h o u t; Adattata da: Bruce Irving, Paul Bratcher)

Mettiamo in luce la struttura della violenza che mantiene in attività l'economia mondiale. Con un intero pianeta che viene massacrato sotto ai nostri occhi, è terrificante vedere la cultura stessa responsabile di questo – la cultura della civiltà industriale, alimentata da una fonte finita di combustibili fossili, in primo luogo da una fornitura di petrolio in diminuzione – spinta in avanti solo per alimentare il suo insaziabile appetito di “crescita”. Illusa da miti di progresso e sofferente di psicosi da tecnomania complicata da dipendenza da riserve di petrolio esauribili, la società industriale lascia al suo passaggio un crescendo di atrocità. Un elenco molto parziale includerebbe il disastro chimico di Bhopal, numerose fuoriuscite di petrolio, l'occupazione illegale dell'Iraq a colpi di uranio impoverito, l'Afghanistan, il “montaintop removal” (rimozione delle cime delle montagna, tecnica di estrazione del carbone, ndt.), la fusione nucleare di Fukushima, la rimozione permanente dei grandi pesci dagli oceani (senza menzionare completamente il collasso sistemico di quegli oceani), la sostituzione di comunità indigene con pozzi di petrolio, le miniere di coltan per i telefoni cellulari e le Playstation lungo il confine fra Repubblica Democratica del Congo e Ruanda – dalle quali risultano le guerre tribali e la quasi estinzione del gorilla dei bassipiani orientali. 

Come se l'estinzione di 200 specie al giorno non fosse abbastanza, il cambiamento climatico, un risultato diretto della combustione di combustibili fossili, sì è rivelato non solo imprevedibile quanto reale, ma distruttivo quanto imprevedibile. Le caratteristiche erratiche ed imprevedibili di un pianeta che cambia e della sua atmosfera in trasformazione stanno diventando la norma del ventunesimo secolo, il loro impatto accelera ad un ritmo allarmante, portando questo pianeta più vicino, prima o poi, al punto di inabitabile orrore. E ancora l'apatia collettiva, l'ignoranza e il negazionismo auto imposto di fronte a tutto questo sfruttamento ed alla violenza fa marciare questa cultura più vicino all'autodistruzione. 

Persa nelle fantasie misteriosamente confortanti di crescita infinita, produzione e consumo, molta gente si attacca a cose come Facebook, Twitter, “Jersey Shore” e musica pop senz'anima come se la sua vita dipendesse da questo, identificandosi con una realtà che è artificiale e costruita, che asseconda il desiderio piuttosto che la necessità, che nasconde delicatamente la violenza che c'è dall'altro lato di questa economia, una violenza così diffusa che non solo siamo complici di ciò ad un certo livello (per esempio, se sei un contribuente, aiuti a dare sussidio alla fabbricazione di armi di distruzione di massa), ma anche vittime di ciò. Come ammoniva Chris Hedges nei sui libri “L'Impero dell'Illusione: la Fine dell'Alfabetizzazione” e “Il Trionfo dello Spettacolo”, ogni cultura che non sa distinguere la realtà dall'illusione ucciderà sé stessa. Inoltre, ogni cultura che non sa distinguere la realtà dell'illusione ucciderà ogni cosa e tutti gli altri sulla sua strada come ucciderà sé stesso. 

Mentre il mondo brucia, mentre le specie si estinguono, mentre le madri allattano i loro figli con latte materno contaminato da diossina, mentre reattori nucleari fondono giù nel Pacifico e la diffusione aerea dell'uranio esaurito danneggiano vite innocenti, rende perplessi il fatto che così poche persone combattano contro un sistema che come realtà per la maggior parte dei viventi ha l'orrore. E coloro che combattono, che si oppongono alla cultura che sta dietro a tale abuso grossolano e lo chiama col suo nome – un mega-stato genocida (specialmente se credi che le vite dei non umani siano importanti come la vostra lo è per voi e la mia lo è per me) – vengono trattati con ostilità e odio, scherniti, perseguitati e persino torturati. Con così tanto in gioco, perché la gente non tappa le orecchie ai balordi che predicano un futuro di economie dalla crescita infinita? E perché così tanta gente continua a mettere al primo posto “l'economia”, a prendere il capitalismo industriale per come lo conosciamo come dato di fatto e non combatterlo, difendendo ciò che rimane del mondo naturale?

”Una delle ragioni per cui non ci sono persone che lavorano per far crollare il sistema che sta uccidendo il pianeta è che le loro vite dipendono dal sistema,” mi ha detto l'autore ed attivista ambientale Derrick Jensen dalla sua casa in California dove l'ho intervistato al telefono di recente. “Se la tua esperienza è che il tuo cibo viene dal negozio di alimentari e la tua acqua dal rubinetto, allora difenderai alla morte il sistema che ti porta quelle cose perché dipendi da loro,” ha spiegato Jensen. “Se la tua esperienza è, tuttavia, che il tuo cibo viene da un terreno e la tua acqua da un ruscello, be', allora difenderai alla morte quel terreno e quel ruscello. Quindi, parte del problema è che siamo diventati così dipendenti da questo sistema che ci sfrutta e ci uccide che è diventato quasi impossibile per noi immaginare di viverne al di fuori ed è molto difficile per noi viverne fisicamente al di fuori.” 

“L'altro problema è quella paura che abbiamo di avere ancora qualcosa da perdere. Ciò che voglio dire con questo è che in realtà amo la mia vita adesso, così come molta gente. Abbiamo molto da perdere se questa cultura dovesse crollare. Una ragione primaria per la quale così tanti di noi non vogliono vincere questa guerra – o persino riconoscere che sia in corso – è che abbiamo dei benefici materiali dal saccheggio di questa guerra. Non sono davvero sicuro di quanti di noi rinuncerebbero alle nostre automobili e cellulari, docce calde e luce elettrica, ai nostri negozi di alimentari e vestiti. Ma la realtà è che il sistema che porta a queste cose, che porta agli avanzamenti tecnologici ed alla nostra identità come esseri civilizzati, ci sta uccidendo e, più importante, sta uccidendo il pianeta.” Anche in assenza del riscaldamento globale, questa cultura ucciderebbe ancora il pianeta, facendo fuori branchi di balene e stormi di uccelli, facendo saltare le cime delle montagne per accedere agli strati di carbone e bauxite, eliminando interi ecosistemi. Tutta questa violenza inflitta ad un intero pianeta per far funzionare un'economia basata sulla nozione folle ed immorale che possiamo sostenere le società industriali, il tutto mentre buttiamo la vita e gli ecosistemi del pianeta basati sulla terra. E la fantastica retorica che promulgano coloro che insistono sull'adattamento a questi cambiamenti – che la tecnologia troverà una soluzione, che ci possiamo adattare, che il pianeta può e si conformerà alle soluzioni nel mercato – è pericolosa. 

“Un'altra parte del problema,” mi ha detto Jensen, “ sono le narrazioni che stanno dietro al modo di vivere di questa cultura. Le premesse di queste narrazioni ci accordano i diritti ed i privilegi esclusivi di dominio su questo pianeta. Che tu aderisca alla religione della Scienza o della Cristianità, queste narrazioni ci dicono che la nostra intelligenza e le nostre capacità ci permettono diritti e privilegi esclusivi di esercitare il nostro volere sul mondo, che è qui perché noi lo usiamo. Il problema di queste storie, che voi ci crediate o no, è che queste hanno effetti reali sul mondo fisico. Le storie che ci hanno raccontato sul mondo plasmano il modo in cui percepiamo il mondo plasma il modo in cui ci comportiamo nel mondo. Le storie del capitalismo industriale – che possiamo sostenere economie dalla crescita infinita – plasma il modo in cui questa cultura si comporta nel mondo. E questo comportamento sta uccidendo il pianeta. Che le storie che ci hanno raccontato siano fantasia oppure no non importa, ciò che importa è che le narrazioni siano fisiche: le storie della Cristianità potrebbero essere di fantasia – fingiamo per un momento che Dio non esista – bene, le Crociate sono comunque avvenute; la nozione di razza o genere possono essere oggetto di discussione ma, ovviamente, razza e genere contano e questo atteggiamento postmoderno mi fa impazzire perché, sì, razza e genere non sono una cosa reale, ma tutto ciò ha effetti sul mondo reale – Gli Afroamericani costituiscono il 58% della popolazione carceraria e un terzo di tutti gli uomini di colore compreso nell'età fra i 20 e i 29 anni sono sotto qualche forma di sorveglianza da parte della giustizia criminale; come per i generi, i veri maschi stuprano le donne. 

“Un altro esempio [di come le cose che non sono davvero reali hanno tuttavia effetti nel mondo reale],” ha continuato Jensen, “è che c'era quel serial killer poco tempo fa che uccideva le donne a Santa Cruz. Delle voci nella sua testa gli dicevano che se non uccideva quelle donne la California sarebbe scivolata nell'Oceano. E' evidente che questo tizio fosse delirante, un pazzo totale e malato in testa, ma le sue illusioni hanno comunque avuto effetti nel mondo reale. Anche Hitler aveva il delirio che gli Ebrei stessero avvelenando la razza. Quel delirio ha avuto effetti nel mondo reale. E possiamo sederci in cerchio a discutere se Weyerhaeuser esista veramente, ma le foreste continuerebbero ad essere abbattute. O, meglio ancora, è chiaro che sia stupido credere realmente che il mondo non sarà a corto di petrolio... e poi è improvvisamente chiaro che non è così stupido – c'è una realtà fisica. Nel mondo reale non ci può essere una scissione fra cultura e natura, ma in questa cultura si può e questo ha affetti reali sul mondo fisico. Non si può vivere in un pianeta ed ucciderlo allo stesso tempo.”

Il problema si trova con un'economia di produzione industriale quando apri la parola “produzione”. Come Jensen chiarisce nel suo libro “La Cultura del far Credere”, la produzione è essenzialmente la conversione del vivente nel morto: animali in salumi, montagne e fiumi in lattine d'alluminio per la birra, alberi in carta igienica, petrolio in plastiche e computer (un computer contiene dieci volte la propria massa in combustibili fossili). Stare senza carta non è essere verdi, o forse sì, a seconda di quale sfumatura di verde stiamo parlando qui. Di fondo, ogni bene col quale si viene in contatto è imbevuto di petrolio, fatto di risorse, contrassegnato, per come la mette Jensen, dalla trasformazione del vivente in morto: la produzione industriale. E con conflitti e guerre siamo condotti o istigati da questa cultura ad accedere (rubare) le risorse necessarie per alimentare la colossale macchina di questa economia, questa cultura liquida, massacrando intere comunità di persone non industrializzate... i vecchi, i bambini che si attaccano alle loro madri mentre droni cacciano spettatori barcollanti... l'innocente ed il vulnerabile riportato come “danno collaterale”. Himmler usava un epiteto simile per Ebrei, Gitani, Polacchi, Serbi, Bielorussi ed altri popoli Slavi in un libretto pubblicato e distribuito dalla Sede Centrale per la Soluzione e la Razza delle SS: “Untermenschen” (Subumani). 
Questo è un prezzo accettabile che dobbiamo pagare, così ci viene detto. Negli Stati Uniti vengono perdute più vite settimanalmente a causa di cancri evitabili ed altre malattie di quante se ne perdano in 10 anni di attacchi terroristici. E le multinazionali per le quali questa cultura combatte dall'altra parte dell'oceano, sono le stesse organizzazioni imputabili di queste morti interne settimanali. La lista di vittime le cui vite sono soggette ad assalti violenti ed estinzioni per alimentare la “produzione” di questa cultura è lunga e variegata quanto volete. “Un'economia di crescita infinita non è solo folle ed impossibile, “ ha sottolineato Jensen, “è anche ingiuriosa, con questo intendo che è basata sulla stessa presunzione di forme di abuso più personali. Di fatto è la consacrazione macroeconomica del comportamento di abuso. Il principio guida del comportamento di abuso è che chi abusa rifiuta di rispettare o di conformarsi a limiti o confini messi dalle vittime. Le economie della crescita sono essenzialmente incontrollate e spingeranno oltre ogni confine posto da nessun altro che non siano i perpetratori. 

E chi abusa con successo si assicurerà sempre che ci sia qualche 'beneficio' per la vittima, in questo caso, per esempio possiamo guardare la TV, possiamo avere il computer e l'accesso per giocare online – otteniamo 'benefici' che ci tengono sostanzialmente allineati. “Inoltre, secondo le storie del capitalismo industriale, questo sistema economico deve costantemente aumentare la produzione per crescere e cos'è, dopotutto, la produzione? Di fatto è la conversione del vivente nel morto, la conversione di foreste viventi in “two-by-four” (tipo di taglio di legname, ndt.), fiumi viventi in bacini stagnanti per generare elettricità, pesce vivente in bastoncini di pesce ed infine tutto questo in soldi. E cos'è in realtà il PIL? E' una misura di questa conversione del vivente in morto. Più rapidamente il mondo vivente viene convertito in prodotti morti, più alto è il PIL. E queste semplici equazioni sono complicate dal fatto che quando il PIL scende, spesso la gente perde il lavoro. Non c'è da meravigliarsi che il mondo venga ucciso.”   

“E se prendessimo qui in considerazione il riscaldamento globale – ah e io credo l'ultimo studio sul riscaldamento globale abbia menzionato fra le righe del fatto che il pianeta sia sulla strada per riscaldarsi fino a 29 gradi (si suppone Fahrenheit, ma l'autore non specifica, ndt) nei prossimi 80 anni... se questo non venisse immediatamente ridotto, nessuno sopravviverà a questo... E così tutte le cosiddette soluzioni al riscaldamento globale danno il capitalismo industriale per scontate. Qui vediamo lo stesso comportamento di abuso: le narrazioni non vengono create intorno alla percezione dei perpetratori, per esempio chi ha il potere, ma vengono spinte su di noi da loro, quindi noi arriviamo a credere alle narrazioni e le accettiamo come dati di fatto. E, essenzialmente, dare per scontato il capitalismo industriale quando si tratta di soluzioni al riscaldamento globale è assolutamente assurdo e folle. Non è in contatto con la realtà fisica. Inoltre ha effetti disastrosi sulla realtà fisica. Se spingi un pianeta a conformarsi ad una ideologia si ottiene quello che si ottiene.

“Poco prima ho avuto una conversazione con un anarchico che si lamentava del fatto che fossi “troppo ideologico” e che la mia ideologia fosse 'la salute della Terra'. Be', in realtà la Terra non è e non potrà mai essere un'ideologia: La Terra è fisica. E' reale. Ed è fondamentale. Senza suolo non c'è terreno sano e senza terreno sano non mangi, muori. Senza acqua potabile e pulita muori.” E questo è uno dei problemi della nostra cultura: la mancanza di capacità di separare ideologia – il tipo di ideologia che contiene il massimo piacere e dominio – dai bisogni del mondo naturale. E così, se le soluzioni al riscaldamento globale non affrontano immediatamente i bisogni fondamentali del pianeta, be... siamo fottuti. 

“Ci si dovrebbe chiedere,” ha insistito Jensen, “se gli squali martello potessero fornire delle soluzioni, se gli indigeni potessero fornire soluzioni e se ascoltassimo le soluzioni che stanno già fornendo, queste soluzioni darebbero per scontato il capitalismo industriale? La linea di fondo è che le soluzioni capitaliste al riscaldamento globale provengono dai sostenitori del capitalismo, da coloro che sono in carica e che sono responsabili di averci sfruttato e distrutto e, più importante, il pianeta”. Negli anni 40, in Germania, i “camion a gas” di Arthur Nebe era ampiamente in uso. Coloro che li guidavano non hanno mai pensato a sé stessi come degli assassini, solo come ad uno qualsiasi pagato per guidare un camion, per fare un lavoro. Oggi, coloro che lavorano per Boeing, Ratheon, Weyerhaeuser, Exxon Mobil, BP, il Pentagono... si vedranno sempre come impiegati, non assassini. Vedranno sempre sé stessi come qualcuno che fa un lavoro che dev'essere fatto.

Quei membri di questa cultura che ciecamente seguono senza interrogarsi le narrazioni della cultura, che si identificano con la patologia di questa cultura, si vedranno sempre solo come altri membri della società. Per questa gente, l'assassinio di un pianeta sembra economico; sembra normale dopo essere stati spinti fuori dalla consapevolezza da carriere, stili e mode. Potrebbe sentirsi come un niente assoluto dopo essere stata stordita da radio commerciali, sitcom, smart phone, video game... Ma dall'altro lato di queste scintillanti distrazioni c'è un'incessante serie di violenze, povertà, degrado ambientale. “L'altro giorno ho visto quell'adesivo per auto della destra che dice 'Potrai avere la mia pistola quando la prenderai dalle mie mani morte e fredde', ma non sono solo le pistole: dovremo staccare artigli rigidi da volanti, flaconi di spray per capelli, telecomandi di televisori e da bottiglie da due litri di Jolt Cola,” ha ammonito Jensen. “Ognuna di queste cose individualmente e tutte collettivamente sono più importanti per molta gente delle lamprede, dei salmoni, dei gufi maculati, degli storioni, delle tigri e delle nostre stesse vite. E questa è una parte enorme del problema. Quindi, naturalmente, non vogliamo vincere. Perderemmo la nostra TV via cavo. Ma io voglio vincere. Col mondo che viene ucciso, io voglio vincere e farò qualsiasi cosa serva per vincere.”

Quando Adolph Eichmann si è trovato di fronte alla Corte Distrettuale di Gerusalemme e gli è stato chiesto perché è stato d'accordo con la deportazione degli ebrei nei ghetti e nei campi di concentramento, la sua risposta è stata 'nessuno mi ha mai detto cosa stavo facendo di sbagliato'. Oggi, 200 specie si sono estinte, un'altra comunità indigena scomparirà da questo pianeta per sempre, un'intera foresta sarà abbattuta e milioni di vite umane saranno costrette a sopportare le agonie di carestia, guerra, malattia, sete, della perdita della loro terra, della loro comunità, del loro stile di vita. Le persone che si sono fatte avanti per dire che ciò che questa cultura sta facendo al pianeta è sbagliato, non sono abbastanza. Bene, eccoci gente: ciò che questa cultura sta facendo a noi stessi, quello che sta facendo al pianeta è sbagliato. Dannatamente sbagliato. E prima sostituiremo questa economia, prima potremo dissolvere queste illusioni tossiche e le loro narrazioni formative. Solo allora, potremo cominciare a vivere le vite libere che siamo nati per vivere e vincere la battaglia.



domenica 27 gennaio 2013

Occupy non è morto, sta solo riposando

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di Massimiliano Rupalti


Guest post  di Graeme Maxton


Il desiderio di azione collettiva rimane forte

Cosa succede quando metti insieme un gruppo di giovani attivisti politici? Potreste esserne sorpresi. Durante i giorni scorsi, in una zona sonnacchiosa della Svizzera, abbiamo messo per la prima volta insieme membri del Occupy Movement, del Pirate Party e di alcune delle più grandi ONG politiche. Abbiamo anche invitato alcuni registi di frontiera, accademici dal pensiero alternativo, popolari giornalisti ella rete e blogger controversi, a far parte dell'incontro. E' stato chiesto di partecipare anche ai banchieri fuori dal coro. E anche ad una femminista radicale ucraina, famosa per catturare i titoli dei giornali in topless. Tutti coloro che sono venuti all'incontro avevano due cose in comune. Erano tutti ventenni o trentenni e la loro passione era la volontà di cambiare il mondo. La conferenza è stata il culmine di mesi di lavoro da parte dei miei colleghi ed è stata la prima di questo tipo. I 60 partecipanti sono stati selezionati dopo che abbiamo ricevuto un diluvio di domande da tutto il mondo.

Abbiamo avuto rappresentanti da più di 40 paesi – non solo paesi importanti come America, Germania e Giappone, ma anche da Namibia, Iran e Bolivia, paesi meno abituati al fatto di ricevere uguale voce quando si tratta di gestire l'agenda internazionale. C'erano politici dei partiti verdi dell'Australia, lobbisti ambientalisti dalla Cina ed animatori con qualcosa di radicale da dire dal Venezuela. Abbiamo cominciato invitando sopravvissuti dell'Olocausto, scienziati climatici, economisti, politici, scrittori e pensatori religiosi a darci le loro prospettive sul mondo ed il suo futuro. Poi abbiamo chiesto ai partecipanti di passare tre giorni a lavorare insieme. Abbiamo chiesto loro di pensare al mondo. Abbiamo chiesto loro di discutere il futuro dell'umanità e il nostro rapporto con la natura. Abbiamo chiesto loro di considerare lo scopo delle nostre società. Abbiamo chiesto loro di guardare a quali dovrebbero essere le nostre priorità nei prossimi 30 anni. Ed abbiamo chiesto loro di pensare cosa sia giusto e cosa sbagliato. Abbiamo anche chiesto: le prossime generazioni hanno qualche diritto e dove stanno i nostri obblighi nei loro confronti?

Quello che abbiamo avuto in risposta è stata passione scatenata e rabbia in egual misura, da parte di un gruppo che non crede più nel processo politico tradizionale, semplicemente perché pensa che non funzioni. Gente che crede che l'economia abbia capito male. Che si dovrebbe concentrare sulla gente e non solo sulla crescita. Che abbiamo bisogno di pensare a lungo termine, non alla settimana prossima. Hanno parlato di un settore finanziario fuori controllo, che serve solo i propri bisogni. Alcuni hanno chiamato alla rivoluzione. Erano preoccupati dal ritmo accelerato del cambiamento climatico e afflitti dall'atteso aumento della povertà, quasi ovunque. A entrambi ci sarebbe rimedio, pensavano, e facilmente. Sono i politici che se ne stavano immobili, così come gli avidi, coloro che “continuano a comprare cose di cui non hanno bisogno con soldi che non hanno”, hanno detto.

Quando 60 attivisti politici si mettono insieme, cosa vogliono fare? Be', per cominciare, vogliono ridefinire la parola 'educazione'. Non dovrebbe riguardare solo insegnare ai bambini a scuola e all'università. Dovrebbe riguardare anche apprendere i valori sostenibili e le capacità di prendere buone decisioni. Dovrebbe riguardare l'insegnamento dell'imprenditorialità e lo sviluppo della prossima generazione di leader che possa prendere le giuste decisioni a lungo termine.

L'umanità come un parassita

Erano anche preoccupati dai media, che, pensavano, erano manipolatori e spesso disonesti. Non stanno informando la gente come dovrebbero e non sono connessi con queste persone in particolare. C'è anche una preoccupazione riguardo al fatto che molti dei nostri problemi sono globali, ma che quasi nessuno sta pensando globalmente. Il cambiamento climatico dovrebbe essere un problema per il consiglio di sicurezza dell'ONU, hanno detto. Non solo quello. Coloro che abusano del pianeta o gli recano danno, dovrebbero essere accusati di violare i diritti umani di tutti gli altri. Dovrebbe anche esserci un principio di giustizia climatica: coloro che creano problemi ambientali agli altri dovrebbero essere accusati penalmente. Sentivano che ,mentre non è nella nostra natura essere distruttivi, di rovinare la nostra casa, la razza umana si comporta troppo spesso come un parassita. La nostra società è diventata come una specie infestante, hanno detto.

Volevano cambiare. Volevano cambiare i nostri valori. Volevano cambiare i nostri sistemi educativi. Volevano cambiare i nostri sistemi economici e politici. Volevano cambiare il nostro rapporto con la natura. Volevano che i gli avidi pagassero il conto. Più di ogni altra cosa, volevano essere ascoltati. Sentivano che quasi nessuno li stava ascoltando.

Almeno in questo stavano sbagliando.

giovedì 24 gennaio 2013

La calotta glaciale dell'Antartico occidentale si scalda il doppio di quanto precedentemente stimato

Di Matt McGrath, corrispondente ambientale, BBC News. (h/t Max Iacono)
Traduzione di Massimiliano Rupalti



I dati della stazione Byrd mostrano un riscaldamento rapido della calotta glaciale dell'Antartico occidentale

Una nuova analisi della registrazione delle temperature indica che la calotta glaciale dell'Antartico occidentale si sta scaldando quasi il doppio di quanto si pensasse in precedenza.
I ricercatori statunitensi dicono di aver trovato prove di riscaldamento durante i mesi estivi dell'emisfero sud. Essi sono preoccupati che l'aumento della fusione del ghiaccio, risultato delle temperature più alte, possa contribuire all'aumento del livello del mare. Lo studio è stato pubblicato nella rivista Nature Geoscience. Gli scienziati hanno raccolto i dati presi dalla stazione Byrd, installata dagli Stati Uniti a metà degli anni 50 e posizionata verso il centro della Calotta Glaciale dell'Antartico Occidentale (CGAO). Prima gli scienziati non erano in grado di trarre qualsiasi conclusione dai dati della Byrd in quanto i dati erano incompleti. Il nuovo lavora ha utilizzato modelli computerizzati dell'atmosfera ed un metodo di analisi numerica per provvedere alle osservazioni mancanti. I risultati indicano un aumento di 2,4°C nelle temperature medie annuali fra il 1958 e il 2010. “Quello a cui assistiamo è uno dei segnali di riscaldamento più forti sulla Terra”, dice Andrew Monaghan, uno dei coautori e scienziato al National Centre for Atmospheric Research americano. “Questa è la prima volta che siamo stati in grado di determinare che c'è un riscaldamento in corso durante la stagione estiva”, ha aggiunto. 

Dall'alto al basso

Potrebbe essere naturale aspettarsi anche in Antartico le estati sarebbero state più calde che in altri periodi dell'anno. Ma la regione è così fredda che è estremamente raro che le temperature vadano sopra lo zero. Secondo il coautore Prof. David Bromwich dell'Ohio State University, questa è una soglia critica. “Il fatto che le temperature stiano aumentando in estate significa che c'è una probabilità che la CGAO non venga fusa solo dal basso come sappiamo oggi, ma in futuro sembra probabile che che si fonderà anche dall'alto”, ha detto. La precedente ricerca pubblicata su Nature indicava che la CGAO viene riscaldata dall'oceano, ma questo nuovo lavoro suggerisce che anche l'atmosfera sta giocando un ruolo. Gli scienziati dicono che l'aumento di temperatura è stata causata dai cambiamenti dei venti e dei modelli climatici provenienti dall'Oceano Pacifico.

“Stiamo assistendo ad un impatto più dinamico dovuto al cambiamento climatico che avviene altrove sul globo che sposta verso il basso ed aumenta il trasporto di calore verso la CGAO”, ha detto il Dr. Monaghan. Ma non è stato in grado di dire con certezza che il maggior riscaldamento che ha trovato il suo gruppo sia dovuto alle attività umane. “La giuria è ancora in camera di consiglio per questo. Quella parte della ricerca non è stata fatta. La mia opinione è che probabilmente sia così, ma non posso dirlo definitivamente”. A questa opinione ha fatto eco quella del Prof. Bromwich, che ha suggerito che servirebbero ulteriori studi.

La calotta glaciale Larsen B è collassata in un solo mese nel 2002

“Gli impegni ora sono di analizzare i contribuiti relativi della variabilità naturale”, ha detto”. “Questo luogo ha un tempo molto variabile  - una parte del quale è influenzato dalle azioni umane e parte del quale non lo è. Penso che sia prematuro rispondere a questa domanda ora”. Qualsiasi sia la fonte, gli scienziati sono preoccupati che questo riscaldamento possa portare ad una maggiore fusione ed avere effetti diretti ed indiretti sul livello del mare. Ma gli scienziati dicono che è improbabile che questo avvenga per diversi decenni perché gran parte dell'acqua probabilmente percola sotto il ghiaccio e si ricongela.

Ritmo glaciale

L'effetto indiretto è che può mettere in “pre-condizione” le banchise che galleggiano ai margini della calotta glaciale. Gli scienziati dicono che questo è ciò che è avvenuto nel 2002 nella penisola antartica, quando la calotta Larsen B è collassata in modo spettacolare in un solo mese. “L'acqua fusa è scesa nei crepacci riempendoli”, ha detto il Dr. Monaghan. “Proprio come una buca sulla strada in inverno, l'acqua congelerà e si espanderà fino a romperla”. Egli è preoccupato che possa avvenire qualcosa di simile nella CGAO. “Ciò che abbiamo visto dopo il collasso di Larsen è stato che i ghiacciai che sono stati colpiti dalle banchise hanno accelerato tremendamente, di un fattore di 8. Questa è una potenziale preoccupazione della maggiore fusione in Antartico occidentale se la tendenza al riscaldamento che abbiamo trovato in estate continua”. Gli autori dicono di essere sicuri che i dati della stazione Byrd siano rappresentativi della regione perché la postazione scientifica si trova su un altopiano e le condizioni sono essenzialmente uniformi in un raggio considerevole.





martedì 22 gennaio 2013

2012: cosa possiamo imparare da Siccità, Disastri e Violenza devastante


Guest post di Carolyn Baker
Da “Speaking Truth to Power”. Traduzione di MR



A un certo punto si è tentati di dire “addio e che liberazione!” al 2012. Per tutte le esperienze positive che avrebbe potuto portarci, queste sono state messe in ombra dalle perdite che vivranno con noi per molto, molto tempo. Ma non importa quanto ce le vogliamo “lasciare alle spalle” e dichiarare la loro fine, la verità è che queste segnano l'inizio di un'era di profonda perdita e di caos culturale. Presumo che il lettore lo capisca questo, ma allo stesso tempo credo che sia cruciale valutare le lezioni che questo anno formidabile ci offre.

Il 2012 è stato l'anno in cui più cittadini e luminari sulla Terra abbiamo mai parlato della realtà del cambiamento climatico prima d'ora. Senza dubbio, le dimensioni della siccità e dei disastri naturali in tutto il pianeta hanno reso la continua negazione assurda, ma così hanno fatto anche una pletora di documenti di temperature in aumento, ghiaccio polare che si fonde e di livelli del mare che aumentano. [Vedete il mio articolo “La sesta estinzione”] Ora è ovvio che potrebbe solo essere questione di decenni, non di secoli, perché gli esseri umani abbiano prodotto un pianeta dove porzioni significative dello stesso sono inabitabili.

Siccità

Nell'estate del 2012 gli Stati Uniti hanno vissuto la peggiore siccità dal Dust Bowl dell'era Grande Depressione. Mentre la siccità si espandeva fino ad abbracciare quasi i 2/3 della nazione e mentre altre siccità nel mondo segnalavano un riscaldamento senza precedenti del pianeta, un gran numero di rapporti hanno cominciato ad attribuire questa tragedia ecologica ed economica al cambiamento climatico. I contadini statunitensi sono stati devastati economicamente da colture bruciate, buone solo da seppellire con l'aratura, e molti sono stati spinti a vendere grandi quantità di bestiame per la cui alimentazione non avevano fieno.

Mentre ci avviciniamo al giorno di Natale, la siccità americana continua con quantità di pioggia insignificanti nel Midwest e lungo la Costa Est, con l'eccezione della Supertempesta Sandy e la sua devastazione. Il livello dell'acqua del fiume Mississippi è così basso che è imminente un crisi di navigabilità sul fiume stesso. E' del tutto possibile, forse probabile, che la siccità del 2012 continuerà, in modo subdolo o palese, per tutto l'inverno e fino ad un'altra estate torrida e da record nel 2013. In ogni caso, il 2012 ha drammaticamente battuto i record di caldo, siccità e eventi meteorologici estremi.

Disastro

Il 2012 ha battuto anche il record di disastri naturali nel mondo e miriadi di studi e rapporti collegano questo col cambiamento climatico. Climate Central riporta che “gli studi scoprono sempre di più che il riscaldamento globale sta già in modo che certi tipi di eventi atmosferici estremi, come ondate di calore e precipitazioni , siano più probabili e più gravi.

Dagli incendi nelle montagne dell'ovest al numero di tornado oltre il normale nel Midwest alla Supertempesta Sandy nelle aree di New York e New Jersey, il 2012 potrebbe raggiungere il secondo posto come anno più disastroso dopo il 1980. Inoltre, per la prima volta nella nostra storia, un Governatore americano, Andrew Cuomo di New York, ha fatto un collegamento diretto fra disastri naturali a riscaldamento globale dicendo che “L'uragano Sandy mostra che abbiamo bisogno di prepararci al cambiamento climatico.

Violenza devastante

Mentre scrivo queste parole sta cominciando il funerale per 20 bambini e 6 adulti a Newtown, Connecticut, dove il 14 dicembre il ventenne Adam Lanza li ha massacrati in una scuola elementare per poi uccidersi a sua volta. Questa è la fine du un anno in cui numerosi altri drammatici omicidi di massa sono avvenuti, come il massacro del 20 luglio in un cinema di Aurora, in Colorado, un altro pochi giorni dopo ad un tempio Sikh ad Oak Creek, nel Wisconsin, e ancora un altro in un negozio di Portland, Oregon, solo tre giorni prima della carneficina di Newtown. [Per un elenco completo degli omicidi di massa negli Stati uniti nel 2012, leggete questo rapporto del Washington Post].

Mentre i politici si attorcigliano per rendere questo un problema di controllo delle armi – oppure no, l'orrore delle violenza armata negli Stati Uniti è oltre lo scopo di qualsiasi cosa possa essere fatta per alleviarlo attraverso la legge. Ancora una volta, la compulsione a “fare qualcosa” piuttosto che esplorare accuratamente le radici della follia che penetra nelle profondità della psiche americana lascia i nostri cuori e le nostre anime ancora più inquiete, perché segnala un altro rattoppo che garantisce molti altri bagni di sangue insensati.

Se dovessimo intraprendere un'analisi accurata, incisiva e dolorosamente onesta della psicologia della violenza armata, scopriremmo ben presto che le dinamiche della nostra specie che ci permettono di uccidere il pianeta e di renderlo inabitabile sono le stesse dinamiche che ci permettono di ucciderci l'un l'altro impunemente. Se la civiltà industriale sta uccidendo il pianeta e tutto su di esso come dicono da qualche tempo Guy McPherson e Derrick Jensen, allora noi come specie siamo diventati profondamente omicidi e suicidi. E come sostiene Jensen, non possiamo uccidere un pianeta e viverci sopra allo stesso tempo.

L'Università della vita nel 2013

Come sto sostenendo negli ultimi mesi, il cambiamento climatico ora guida il treno dall'inferno, seguito da vicino da collasso economico e picco del petrolio. Mentre tutte le carrozze su questo treno sono collegate, il cambiamento climatico è rapidamente diventato il motore impazzito di questo treno impazzito che non può essere invertito nel 2013, o forse mai.

Mi capita di credere che la vita stessa sia una specie di Università nella quale abbiamo scelto di iscriverci per ragioni delle quali potremmo anche non essere consapevoli, ma di sicuro parte della nostra responsabilità in ogni Università è quella di capire perché scegliamo di iscriverci e premettiamo a quella conoscenza di informare la partecipazione dei nostri studenti. A volte ci piace l'educazione che riceviamo e a volte no. Ciononostante, siamo iscritti, e a meno che non vediamo il modo di continuare la nostra educazione e vogliamo assoggettare noi stessi e i nostri cari al dolore della nostra disiscrizione, sarebbe più saggio di impegnarci nel programma di studi piuttosto che resistergli.

Un altro modo di inquadrare la nostra esperienza è in termini più psicologici, come ha fatto in molti dei suoi scritti John Michael Greer. Greer sostiene e dimostra che il mito del progresso si sta sbriciolando di fronte ai nostri occhi. Mentre lo potremmo sapere a livello intellettuale, l'impatto potrebbe non essere stato pienamente registrato nel sistema nervoso e, di sicuro, pochi di noi terrestri hanno capito fino a che punto il progresso è finito e il “regresso” sia la nuova normalità. Spesso parlo come se fossimo passati dall'Era dell'Illuminazione all'Era dell'Oscuramento, come lo ha chiamato l'autore Michael Ventura. Mentre il mito del progresso continua e sbriciolarsi e gli esseri umani sentono che il regresso li sta divorando, vedremo e stiamo già vedendo quello che Greer chiama una “rottura psicotica su scala individuale e collettiva.”

Ecco alcuni consigli su come possiamo rispondere allo stesso programma impegnativo del futuro:

1) Rendetevi conto che il 2013 sarà molto peggio del 2012. Qualsiasi cosa sia successa al pianeta nel 2012, è probabile che vedremo problemi molto più severi nel 2013. L'esplosione di psicosi che stiamo vedendo nella civiltà industriale non può che intensificarsi e noi saremo colpiti in modo più diretto e profondo: fisicamente, mentalmente ed emozionalmente, via via che cerchiamo di superare la crisi.

2) Non c'è un altro posto dove andare. Emigrare può essere un'opzione e può funzionare per qualcuno. Ma in termini di cambiamento climatico, collasso economico e picco del petrolio, in realtà non esiste un posto "sicuro" sulla Terra dove le ripercussioni di queste cose non avranno effetti su tutti quanti. Pensate alla possibilità di adattarvi alle condizioni di dove vivete piuttosto che andarvene.

3) Siete da soli nella comunità. Entrambe le cose sono vere e dobbiamo capirne bene le implicazioni. Non possiamo cavarcela da soli e neppure dipendere completamente dalla comunità. Quando i disastri naturali distruggono i nostri dintorni, e forse anche le nostre case, nessun programma governativo potrà salvarci e nemmeno alleviare molte delle nostre sofferenze. Che siano le vuote promesse di George W. Bush Jr. alle vittime di Katrina a New Orleans o le inutili dolci parole di Obama ai sopravvissuto dell'Uragano sandy di Staten Island, l'aiuto non è in arrivo.  Il solo aiuto che potrete dare o ricevere sarà costruito in anticipo per mezzo della vostra connessione con la comunità per mezzo dei vostri sforzi.

4) La vostra missione finale in questa vita è servire. Prendersi cura di voi stessi e della vostra famiglia? Si. Prepararsi strenuamente? Si. E se questo fosse tutto quello che conta, sarete aggrediti da un vuoto senza significato che soltanto il servizio e la compassione possono riempire. Uno dei modi più semplici e più umani di servire è di prendere tutte le opportunità, tutti i giorni, per creare bellezza.

Potreste anche considerare di prepararvi su questo:

**Preparazione a Risposte di Emergenza di cui potreste imparare di più attraverso alcuni fornitori di servizi nella vostra comunità

**Preparazione ad avere a che fare coi traumi – i vostri e quelli degli altri. Alcune risorse possono essere trovate online.

5) Sviluppare un nuovo rapporto con il corpo e le emozioni. Coloro che sono attaccati al vivere nella propria testa e a non far caso al benessere fisico sono destinati a perire. E così lo sono anche coloro che rifiutano di lavorare consciamente e costruttivamente col loro panorama emozionale. Mentre non c'è alcun luogo in cui andare nel panorama esterno, c'è assolutamente un posto dove andare all'interno. Prendetevi cura amorevolmente di corpo e anima e cominciate a vivere adesso come se la sola assistenza sanitaria che sarà mai disponibile per voi sia quella che voi stessi potete fornirvi attraverso trattamenti alternativi. Fondamentale per la cura di voi stessi sono una dieta naturale di cibo integrale e biologico ed esercizio quotidiano, preferibilmente nella natura.

6) Diventa uno studente di come altra gente in altre culture è sopravvissuta al disfacimento delle proprie società o sono vissuti attraverso traumi collettivi. Non è importante solo imparare come alcuni sono sopravvissuti, ma anche come altri non ci siano riusciti.

7) Diventa uno studente della tua propria morte. Al contrario dell'opinione popolare, la contemplazione della propria morte, se realmente contemplativa, non porta automaticamente alla depressione. Mentre comprendo che il mio pubblico non è formato principalmente da monaci Buddhisti, sono consapevole che a quelle persone è richiesto di contemplare la morte molte ore alla settimana. Alcuni riferiscono che anziché sentirsi depressi, si sentono euforici ed estremamente grati per le proprie vite. A prescindere da quanto succederà nel 2013, nessuno di noi se ne va da qua vivo. Date le realtà del cambiamento climatico e del picco del petrolio, è possibile che il nostro status sia simile a quello del paziente di un ospizio, che ne siamo o no consapevoli. La metà della preparazione al futuro significa prepararsi a sopravvivere, l'altra metà è prepararsi a non sopravvivere.

8) Discerni la differenza fra piacere e felicità. La cultura consumistica ha infangato il senso di “ricerca della felicità” ed ha reso la felicità sinonimo di avere un sacco di cose ed una vita comoda. La felicità, di fatto, è una condizione dell'anima risultante da un senso del significato e dello scopo, a prescindere dalle circostanze personali. Molti individui soffrono di dolore profondo e perdita possiedono ancora un senso di gioia nelle proprie profondità. Scoprite e create la vostra gioia radicale per i tempi duri.

Poche costanti sono disponibili per noi e quindi, mentre transitiamo al 2013, vi offro la saggezza della poetessa Rebecca del Rio:

Costante

Viviamo per le costanti,
Pioggia in inverno, il gatto
Raggomitolato come una virgola pelosa
Sul bordo del letto.
A volte, molte volte
Queste non giungono, invece
C'è siccità, il padre muore
La madre invecchia.
La costante è questo:
La mente insiste, persiste nella follia
Cerchio di creazione dal caos.
Dà ordine al mistero.
“Ascoltami,” grida.
Così noi ascoltiamo.
Il chiacchiericcio della costante, il suo bisogno
Crescere come una maledizione.
La costante è questo:
La vita è caos, disintegrazione, fioritura
Nuovo nel vecchio e collasso
Ancora fiorire in qualcosa di più perfetto,
Poi caos, disintegrazione e ancora.
Guardiamo inermi, estasiati 
Come il pubblico del mago,
Il segno dell'ipnotizzatore.
Nient'altro da fare che unire le mani,
Piegare la testa, invocare benedizioni
Al dio capriccioso, selvaggio e primigenio.


domenica 20 gennaio 2013

Previsioni per il 2013

Da “The Oil Crash”. Traduzione di Massimiliano Rupalti



Guest post di Antonio Turiel

Cari lettori,
ancora una volta mi trovo nella situazione di avventurarmi nella previsione di quanto succederà il prossimo anno, in funzione delle tendenze attuali, degli eventi che si intuiscono e del corso generale di questa crisi che già sappiamo non finirà mai. Non sono troppo amico delle previsioni a breve termine, visto che gli inevitabili errori di valutazione possono portare qualcuno a giudicare tutto ciò che si dice dall'imprecisione della previsione, mentre in realtà il corso generale previsto continua in modo, disgraziatamente, fino ad ora immutabile. Tuttavia, più di una volta i lettori chiedono che dia loro degli orientamenti sul futuro, pertanto quest'anno tornerò di nuovo a cercare di intravedere questo futuro prossimo. Ma se ipotizzare il futuro non è mai un facile esercizio, l'anno 2013 che ci aspetta fra pochi giorni sembra più minaccioso e anche più complesso da indovinare di quelli precedenti. Mi aspetto, pertanto, di sbagliare di più di quanto abbia fatto negli anni precedenti e per questo prego i lettori che in particolare stavolta si attengano allo spirito generale delle linee che le previsioni intendono tracciare, prima che al loro contenuto esatto. Ripassiamo, intanto, in cosa consistevano quelle dall'anno scorso.

  • La Grande Recessione: seconda parte: a questo punto, la recessione è ovvia in Spagna e nel Regno Unito, più o meno evidente nel resto d'Europa, e probabilmente sta già bussando alle porte della Germania. Gli Stati Uniti si mantengono ancora su tassi positivi anche se è difficile conciliare questo fatto con la discesa del consumo e le cattive prospettive (relativamente) per l'impiego in quel paese. Il Giappone è nettamente in recessione. Intanto, la Cina cresce al minor tasso degli ultimi anni, enorme in cifre relative (7,4%) ma insufficienti per la Cina, dati i suoi squilibri interni. La disoccupazione in Spagna si avvicina al 26%, in linea con le previsioni e i possibili movimenti per compensarla non sono stati sufficienti per far abbassare di più la cifra. Questa previsione, pertanto, la considero globalmente accertata, con tutte le sfumature che credete opportune. 
  • Fallimento delle grandi imprese: non è stato un grande anno per molte grandi imprese, ma non abbiamo assistito ad un collasso generalizzato (ma non era nemmeno quella la previsione, in realtà). Varie linee aeree sono scomparse durante l'anno (senza andare tanto lontano, Iberia è sul punto di scomparire) e la Peugeot ha dovuto chiedere l'aiuto dello stato francese. Anche alcune ditte di elettronica di consumo hanno avuto problemi e grandi compagnie come Telefonica vedono ridursi enormemente gli affari in Spagna. Finché non passino queste feste natalizie non sarà evidente il dramma nel settore del commercio (pensate che per molti negozi il Natale rappresenta fino al 80% del fatturato annuale), con grandi negozi spagnoli come El Corte Inglés sotto i riflettori: Considero quindi questa previsione abbastanza azzeccata.
  • Generalizzazione delle rivolte: le cose non vanno bene, la guerra civile in Siria è aperta, in Egitto tornano le mobilitazioni e c'è abbastanza malessere in gran parte del mondo, ma in generale la situazione non è di rivolta. Nonostante gli alti prezzi degli alimenti non c'è un movimento su scala globale. La mia impressione è che siano in calo (vedere più in basso), ma in ogni caso questa previsione si può considerare sbagliata. 
  • Aumento dell'autoritarismo: se vivete in Spagna non credo che abbiate bisogno che vi dia degli esempi perché vi rendiate conto di come, effettivamente, l'autoritarismo stia già intaccando la società. Le manifestazioni “incontrollate” di quest'anno sono state represse con pugno più duro di quelle dell'anno scorso e in più sono state più frequenti. Si è cercato di criminalizzare fino a degli estremi assurdi i partecipanti a questi eventi e, contemporaneamente, voci accreditate del mondo politico chiedono di limitare i diritti in generale, per esempio quello di sciopero, che in realtà non hanno niente a che vedere col problema della contestazione sulle strade. Gli scandali che costellano l'impreditoria e i dirigenti politici sono continui (la lista è interminabile: mettete qui i vostri favoriti) e colpiscono praticamente tutti i partiti politici, di sicuro in Spagna, ama anche in Europa e negli Stati Uniti ed il nervosismo di alcune classi dirigenti che si sentono sempre di più alle strette cresce a vista d'occhio. Questa previsione la considero essenzialmente corretta.
  • Possibile collasso di alcuni produttori essenziali: si intendeva di petrolio. Si dava come possibilità più o meno remota; in alcuni casi, senza dubbio non è avvenuto.
  • Piano di salvataggio in Europa: essenzialmente, no. Sì è girato molto intorno a questa possibilità, ma né l'Italia né la Spagna sono state formalmente salvate, anche se il settore finanziario spagnolo ha ricevuto un salvataggio dall'Europa attraverso lo Stato spagnolo. Non è ancora chiaro se la Spagna e l'Italia possano essere salvate, data la loro dimensione. 
  • Idiosincrasia tipicamente spagnola: alcuni comuni spagnoli si trovano, effettivamente, in una situazione di sospensione dei pagamenti, ma lo Stato non è intervenuto, probabilmente perché non sono troppo grandi. Le Autonomie non hanno sospeso i pagamenti, anche se la Comunitat Valenciana era sul punto di farlo; proprio in questo momentoquattro comunità sopravvivono con i trasferimenti diretti che fa loro lo Stato per mantenersi. L'IBEX 35 è arrivato a perdere quasi 3.000 punti durante l'estate rispetto ai suoi valori di inizio anno (8.723 il 2 di gennaio, 5.956 il 24 di luglio) e da maggio ad agosto stava a 2.000 punti in meno dei valori di gennaio, anche se attualmente si trova a soli 400 punti al di sotto di inizio anno. Le riforme promulgate dal governo che anticipavamo sono, disgraziatamente, già arrivate e i problemi di liquidità che prevedevamo hanno colpito persino me
  • Finestra di opportunità: al momento non sfruttata e con la tensione si sta chiudendo. La massa furiosa non ascolta ragioni.
  • Fine di questo blog: identificata nella previsione dello scorso anno come evento davvero poco probabile, fortunatamente non è avvenuta.

Come vedete, il risultato netto delle previsioni dell'anno scorso hanno un grado di precisione più che significativo. Mettiamo quindi in pratica l'intento rischioso di proiettarci nel futuro:
  • Recessione insediata: con crescite deboli afflitte da problemi fiscali e di impiego come negli Stati Uniti o la recessione dichiarata, come nella maggior parte dell'Unione Europea, il mondo occidentale affronta per la prima volta un fenomeno che non si conosce. La recessione insediata. A differenza delle fasi di recessione precedenti, questa non darà tregua: per alcuni trimestri o semestri il PIL può mantenersi stabile, ma la tendenza continua è a una diminuzione ad un buon ritmo e così continuerà nella maggior parte dell'occidente e per anni. Nessuna misura che verrà presa per combatterla sarà efficacie e i problemi al posto di diminuire si aggraveranno, mentre le risorse degli Stati verranno drenate ad un velocità inusitata e lasciandoli impotenti. In Spagna l'IBEX 35 calerà di 2.000 punti come minimo, ma stavolta non li recupererà. Alcune grandi imprese avranno perdite per la prima volta nella loro storia ed alcune multinazionali cominceranno a rilasciare zavorra, diminuendo rapidamente il volume d'affari in Spagna e in Europa. La disoccupazione in Spagna arriverà al 28% nel primo semestre, senza che la sempre meno dissimulata emigrazione la intacchi.
  • Restrizioni all'accesso ai carburanti:  anche se forse è troppo presto per questo, per la prima volta quest'anno vedo possibile che si cominci a razionare il combustibile in un certa misura. Nei paesi dell'OCSE non si farà con le tessere, ma con la penalizzazione economica verso i grandi consumi di poco o nessun interesse industriale; nel resto dei paesi, con tessere e decreti governativi duri. Il problema delle raffinerie obbligherà alcuni Stati ad agire, prendendo il controllo delle stesse e facendosi carico delle loro perdite. Per contrastarle cercheranno di imporre nuove tasse alle compagnie petrolifere, con scarso successo, visto che gli oneri si trasferiranno quasi direttamente al consumatore, aggravando il problema seguente.
  • Spirale inflazionistica sull'energia: per la prima volta la società, anche quella occidentale, comincerà ad essere cosciente che c'è un problema con l'energia: il prezzo della stessa aumenterà senza sosta. Insieme alla svalutazione dei salari, si generalizzeranno i casi di povertà energetica, fino a rappresentare percentuali importanti della popolazione di Europa e Stati Uniti, mentre nel resto del mondo la povertà energetica sarà la norma. 
  • Rivolte in occidente: la svalutazione del fattore lavoro farà si che, senza che ci sia una grande inflazione, il costo della vita sarà maggiore per le classi lavoratrici. Non si identificherà ancora la causa con chiarezza, ma la rabbia sarà crescente, dati i tagli sociali, l'interruzione di servizi essenziali per insolvenza e sfratti. Le rivolte per le strade saranno sempre più violente, con assalti a sedi istituzionali. Ci saranno i primi morti, il che favorirà una maggiore involuzione autoritaria.
  • Collasso finanziario della UE al rallentatore: l'indecisione dell'Unione Europea sui problemi finanziari dei paesi periferici va portandosi verso il centro. Durante il 2013 diventerà evidente che anche il Belgio, l'Olanda e la Francia avranno bisogno di una qualche forma di aiuto. Se il salvataggio di Italia e Spagna era incerto data la loro grande dimensione, il fatto che i problemi si estendano direttamente alla Francia attacca il cuore economico dell'Unione, a un passo soltanto dal suo nucleo centrale: la Germania. Gli indicatori del paese teutonico non saranno affatto positivi e la paura di un collasso generalizzato di tutta la zona euro, visto che è impossibile salvare tutto se non c'è chi salva. Durante l'anno verranno introdotti nei mezzi di comunicazione temi di discussione finora inauditi, oltre il collasso dell'euro: iperinflazione, mobilitazione dell'esercito, misure eccezionali... Le derive separatiste di alcuni territori verranno usate per rinforzare l'autoritarismo più o meno applaudite dai mezzi di comunicazione. 
  • Tensioni fiscali negli Stati Uniti: gli Stati Uniti galleggiano in una schiuma di autocompiacimento in materia fiscale, mentre il suo debito pubblico supera già il 100% del suo PIL e il suo PIL viene gonfiato con statistiche opportunamente truccate per dissimulare il naufragio di questa grande nazione. La fortezza degli Stati Uniti ha radici da anni nella forza del dollaro come moneta di riserva, ma tale forza dipende da fattori abbastanza imprevedibili come la fiducie degli investitori. I ultimi passaggi di alleggerimento quantitativo (eufemismo per dire “stampare più soldi per pagare i debiti) non hanno portato  alla prevedibile ondata di iperinflazione per l'enorme buco finanziario delle banche, che sta assorbendo la maggioranza di questo denaro extra, cosicché le tonnellate di carta verde stampate virtualmente servono per evitare che questi buchi neri finanziari si tirino dietro l'economia nordamericana. Tuttavia, liberato da questo effetto di aspirazione dei debiti non pagati, il “normale funzionamento dell'economia statunitense” fa sì che si esporti l'inflazione creata sul suolo nordamericano verso altri paesi, quelli dai quali comprano con dollari svalutati prodotti di maggior valore. Un tale pompaggio di inflazione all'esterno non può continuare per sempre e ad un certo punto questi paesi smetteranno di accettare in maniera tanto svantaggiosa i dollari per le transazioni internazionali, forse a causa di una sconfitta militare. Mentre arriva questo momento, gli Stati Uniti accumulano squilibri che mettono periodicamente il paese sull'orlo del collasso, come sta accadendo anche adesso. Ad un certo punto qualcuno tirerà troppo la corda e questa si romperà. Il giorno che questo accadesse, le conseguenze si noteranno in tutto il mondo. E' difficile sapere se sarà questo l'anno della rottura, ma ogni anno che passa è più probabile. 
  • Il crollo del carbone: la pressione per la crescita della Cina può portare al collasso il mercato internazionale del carbone. La Cina assorbe di fatto la maggior parte delle esportazioni di carbone del mondo in questo momento, la sua produzione di carbone è ufficialmente giunta al suo massimo “pianificato” e non si vedono vie d'uscita facili alla sua necessità di consumare più carbone che non sia appropriandosi con mezzi commerciali o militari di quello che producono/consumano gli altri, oppure accettare di entrare in recessione. Sia come sia, è prevedibile che durante il 2013 si producano episodi drastici ed anche violenti rispetto al commercio internazionale di carbone.
  • Acqua, cibo e prima Guerra della Fame: secondo l'allarme della FAO, le riserve di grano stanno al minimo dopo un raccolto cerealicolo che è stato tra i peggiori del decennio. Gli esperti anticipano una carestia a livello globale per il prossimo anno, la terza crisi alimentare negli ultimi 4 anni. La carestia di alimenti ha scatenato le rivolte del mondo arabo dell'inizio del 2011 e probabilmente le ravviverà durante il 2013, portando le rivolte in alcuni territori nuovi. Anche se è possibile che la carestia si noti anche, in misura molto minore, in occidente, la cosa più grave è il possibile scoppio di una guerra fra due paesi sensibili nella loro disputa per l'acqua potabile (sempre più scarsa) o direttamente per le fornitura alimentare. E' anche possibile che, se qualche paese centrale nella produzione di petrolio come l'Arabia saudita soccombesse a causa delle rivolte interne, si arbitri in poco tempo una coalizione internazionale per “ristabilire l'ordine vigente”, occupando i pozzi petroliferi e lasciando intoccate le zone religiosamente sensibili ”per non offendere i musulmani”. Il problema è che difficilmente la Cino o l'India si allineeranno con il blocco deliberato dagli Stati Uniti, quindi comincerebbe il primo conflitto internazionale per la disputa sui resti della seconda parte dell'era del petrolio. Una escalation tale sarebbe il peggiore scenario possibile; per il 2013 il più probabile è che i paesi minori, spronati dalle proprie rivolte interne causate dalla fame, entrino in guerra per dispute di frontiera collegate all'acqua o alla risorse in generale, con l'intervento più o meno velato di Stati Uniti, Europa, Cina ed eventualmente Russia. Sarebbe la Prima Guerra della Fame.
  • Fine di questo blog: ad un certo momento dei prossimi anni, la libertà di espressione subirà una dura battuta d'arresto. Questo blog, che ha già i suoi problemi come forum di discussione aperta, dovrà fronteggiare prima o poi la censura o la chiusura. Durante l'anno che comincia le probabilità che il blog venga chiuso è ancora piccola, anche se sensibilmente maggiore di quella dell'anno scorso, e il suo futuro in parte dipende dalla responsabilità dei suoi commentatori. In aggiunta a questo, c'è la necessità dello scrittore di ridurre il ritmo attuale a causa di impegni multipli e alle difficoltà crescenti che ho sul lavoro, che mi porteranno a rimanere lontano dal blog – ma di questo parleremo nel post successivo.

Saluti.
AMT


giovedì 17 gennaio 2013

Semplicità Radicale


Da “Permaculture News” (h/t The Oil Crash). Traduzione di Massimiliano Rupalti


Una delle tante “Bidonville” durate la grande depressione

Di Samuel Alexander, co-diretore del Simplicity Institute e docente nell'ufficio per i programmi ambientali dell'Università di Melbourne, Australia.

1. Introduzione

Come potrebbe un consumatore medio – dovrei dire cittadino di classe media – passare ad uno stile di vita di semplicità radicale? Per semplicità radicale intendo dire, fondamentalmente, un livello di vita molto basso ma biofisicamente sufficiente, un modo di vivere che descriverò in seguito più nel dettaglio. In questo saggio voglio suggerire che la semplicità radicale non sarebbe tanto male come sembra e fossimo preparati per essa e se avessimo previsto il suo arrivo con intelligenza, sia come individui sia a livello di comunità.

Di fatto, mi viene da suggerire che la semplicità radicale è esattamente ciò di cui hanno bisogno le culture consumistiche per svegliarsi dal loro torpore, che la semplicità radicale sarebbe nei nostri interessi immediati. Tuttavia, in questo saggio difenderò soltanto la tesi più modesta secondo la quale la semplicità radicale “non sarebbe tanto male”. Dimostrare questo fatto dovrebbe già essere abbastanza impegnativo.

Naturalmente, se uno standard di vita radicalmente più basso venisse imposto improvvisamente a causa delle circostanze e senza anticipo né preparazione, riconosco che gran parte della gente troverebbe un tale cambiamento drastico terrificante e doloroso – un disastro esistenziale. Una tale reazione sarebbe del tutto naturale e comprensibile. Ma io sosterrò che se tale cambiamento drammatico dovesse essere stoicamente anticipato e ci si dovesse preparare per esso, non sarebbe così male. Se questo argomento è corretto, sembrerebbe che la classe media potrebbe beneficiare grandemente dall'anticipare e prepararsi per la semplicità radicale, anche se non dovesse mai arrivare, e potrebbe non arrivare nell'arco delle nostre vite o anche in quelle dei nostri figli. Poi potrebbe, a causa di un numero illimitato di ragioni ecologiche, economiche, politiche e sociali e questa possibilità qualsiasi sia la sua verosimiglianza, è alla fine la ragione per cui affronto il soggetto della semplicità radicale. 

E' mia ipotesi che lo stile di vita dei consumatori abbia un limite di tempo e che questo limite di tempo sta finendo rapidamente. Se il sistema finanziario globale non collassa sotto il peso del suo stesso debito, forse indotto dall'aumento dei prezzi del petrolio, allora ad un certo punto collasseranno i nostri ecosistemi traballanti, portandosi via con loro la civiltà industriale. In entrambi i casi, il consumismo ed il paradigma della crescita che lo sostiene non hanno futuro, una diagnosi che non cercherò di difendere qui ma piuttosto di considerare come dato di fatto (Alexander, 2012a-f). Quando il tempo del consumismo è finito, vivremo tutti molto più semplicemente, a livelli variabili, che lo vogliamo oppure no. 

Nessuno può essere sicuro riguardo a quando esattamente il tempo finirà o come suonerà la campanella di chiusura, ma che sia il prossimo anno, il prossimo decennio o il prossimo secolo, l'inevitabile morte del consumismo è un soggetto che merita la nostra considerazione oggi, perché il tempo alla fine scadrà e probabilmente prima di quanto piaccia pensare a molti. Dovrebbe andare da sé, naturalmente, che sarebbe di gran lunga meglio abbracciare la semplicità progettandola che lei abbracci noi per mezzo del disastro. 

1.1. Della classe media, rivolgersi alla classe media

Sarà già chiaro che sto scrivendo questo saggio dalla prospettiva di un 'insider', un membro della cosiddetta classe media, una cosa che ammetto con un certo disagio. Nonostante dedichi gran parte delle mie energie nel sostenere stili di vita post consumistici (per quanto si possa fare all'interno delle costrizioni di una società consumistica), sono molto consapevole di rimanere un membro della classe media, che usufruisce di molti dei comfort essenziali che questo stile di vita porta con sé. Per esempio, ho un computer, ovviamente, ed energia solare per alimentarlo; c'è un frigorifero nella stanza accanto con un po' di cibo dentro ed un orto produttivo sotto casa, quindi non sono affamato ed ho vestiti sufficienti ed un tetto sopra la mia testa, quindi sto al caldo. Non solo questo, ho il tempo libero, la salute, l'educazione e la sicurezza per studiare i problemi del mondo, quini, senza dire altro sul mio standard di vita, ho detto già abbastanza per piazzarmi decisamente nella classe media. Mentre mi guadagno a malapena da vivere come accademico part-time, nel contesto globale so di essere favolosamente ricco.  

Presumo, siccome il lettore è sua volta di fronte a un computer, con tutta la ricchezza ed il privilegio che ciò implica generalmente, che io stia anche scrivendo per la classe media, nella sua accezione più ampia. Potrebbero esserci alcuni lettori che realmente non rientrano in questa dichiaratamente vaga categoria socio-economica, ma solo pochi, probabilmente nessuno. Siamo, presumerò, sulla stessa barca o, come lo ha espresso una volta Henry David Thoreau (1982: 314): ‘Non dovrei quindi pubblicare il mio senso di colpa senza arrossire se non sapessi che gran parte dei miei lettori sono ugualmente colpevoli e che le loro gesta non risulterebbero migliori'. Sento che il soggetto di questo saggio richieda queste ammissioni preliminari, visto che pochi di noi potrebbe realmente dichiarare di aver sperimentato la semplicità radicale che questo saggio proverà a descrivere e comprendere. Ciononostante la vita, essendo quella che è, di tanto in tanto ci richiede di comprendere cose che non abbiamo mai sperimentato. Credo che questo sia uno di questi casi. 

2. Le implicazioni del“Grande Collasso” per lo stile di vita

Per inquadrare la presente analisi, voglio porre un “scenario di collasso” con lo scopo di capire cosa potrebbero diventare gli stili di vita consumistici della classe media nel caso avvenga quella che Paul Gilding (2011) chiama un “Grande Collasso”. Lasciate che cominci fornendo un po' di contesto a questo esperimento mentale. Gilding sostiene, come molti prima, che “la Terra è piena” (Gilding, 2011: 1). Questo pone un grande problema all'umanità, specialmente quando ci rendiamo conto che la crescita continua rimane il paradigma economico dominante globalmente. Anche se l'economia globale supera già di gran lunga la capacità di carico sostenibile del pianeta (Global Footprint Network 2012, Meadows et al, 2004), ogni nazione sul pianeta cerca ancora la crescita economica continua.

 La caccia alla crescita, in alcune forme, potrebbe essere giustificabile per le nazioni più povere, i cui bisogni fondamentali non sono adeguatamente soddisfatti, ma su una Terra già 'piena', l'aumento di consumo di energia e risorse nei paesi più ricchi non ha semplicemente giustificazione. Quello che serve, specie nelle nazioni più ricche, è un'economia della sufficienza (Alexander, 2012a). Questo comporterebbe che le nazioni ricche intraprendessero una fase di contrazione economica pianificata, o 'decrescita', per creare spazio ecologico per prosperare ai più poveri dell'umanità così come per lasciare spazio per fiorire alla diversità della vita sul pianeta (Alexander, 2011a-c; 2012b). Questa strategia economica radicalmente non convenzionale è tanto più necessaria dato che ci si attende di avere 9 miliardi di abitanti sul pianeta entro pochi decenni, ognuno dei quali desidererà, in modo del tutto giustificato, uno standard di vita degno. Questa espansione della popolazione, tuttavia, porterà ulteriore domanda in una biosfera già sovraccarica.  

Non c'è bisogno di dire che le prospettive di decrescita volontaria nel mondo ricco sono magre se non del tutto inesistenti e che questa è la ragione per la quale possiamo aspettarci che il capitalismo cresca fino ad una crisi fatale. In questo senso, il capitalismo della crescita sembra un serpente che si mangia la coda, un serpente apparentemente inconsapevole che sta consumando il suo stesso supporto vitale. I problemi del cambiamento climatico e della fornitura di petrolio sono probabilmente i segni più chiari che questa crisi del consumo sconsiderato si sta già dispiegando, una situazione esacerbata dalla crisi finanziaria globale in corso, che minaccia ogni giorno di intensificarsi. Tutto questo significa che i cambiamenti drastici si trovano sicuramente di fronte a noi. Le cose cambieranno, osserva Gilding (2011: 1), 'non perché sceglieremo di cambiare a causa di preferenze filosofiche o politiche, ma perché se non trasformiamo la nostra società ed economia rischiamo un collasso sociale ed economico e di sprofondare nel caos'. Per metterlo in forma di proverbio, se non cambiamo direzione, è probabile che finiremo dove siamo diretti. 

Sotto la forza del suo slancio storico, tuttavia, e accecato dalla proprio feticcio della crescita, il capitalismo marcia come se tutto fosse a posto. Ma non è per niente a posto, per metterla giù leggera, ed è solo questione di tempo prima che i cosiddetti beneficiari del capitalismo della crescita si rendano conto che non può esserci un'economia sana senza un pianeta sano. La mia opinione è che ogni transizione ad un'economia giusta e sostenibile è improbabile che sia dolce e che se una tale economia dovesse mai emergere, sarebbe probabilmente innescata non da una qualche rivoluzione nella coscienza, ma da qualche crisi o serie di crisi che essenzialmente costringano l'umanità ad uno stile di vita radicalmente alternativo e post consumistico. Credo che la rivoluzione della coscienza necessaria per prosperare in un'economia di sufficienza arriverà in massa, se arriverà, solo dopo una crisi. Questo, perlomeno, è un percorso che ci troviamo di fronte e forse è il migliore che possiamo sperare.  

Siccome montagne di prove a sostegno del cambiamento radicale non hanno persuaso il modo ricco a ripensare la propria traiettoria economica, sembrerebbe che ora il solo percorso che ci rimane sia di essere persuasi, per così dire, da un “Grande Collasso” di qualche tipo. Questo è lo scenario che farà da cornice alla seguente discussione. Questo esperimento mentale colpirà probabilmente alcune persone in quanto piuttosto drammatico, ma credo che possa provare di essere un'analisi utile anche per gli ottimisti che credono che ci sarà una transizione dolce ad un'economia sostenibile. 

Non desidero speculare su quale forma potrebbe prendere il Grande Collasso (per esempio economico, ecologico, militaristico, un misto di questi, eccetera) o la sua probabilità. Ma per coloro che accettano, come faccio io, che un Grande Collasso di qualche tipo è certamente possibile e potenzialmente imminente, le sue implicazioni sullo stile di vita dovrebbero essere di interesse e preoccupazione considerevoli. E se risultasse che non vedremo mai un Grande Collasso durante la durata delle nostre vite, ciononostante il seguente esperimento mentale potrebbe dare frutti mettendo meglio a fuoco la nostra relazione col mondo materiale. La mia ipotesi è che un miglior focus potrebbe dar luogo all'intuizione che il benessere del consumatore sia molto meno importante di quanto gran parte della gente della classe media pensa che sia. 

3. Immaginare e valutare la semplicità radicale

Supponiamo, quindi, che ad un certo punto nel futuro prossimo qualche tipo di Grande Collasso porti vaste porzioni dell'economia globale ad una fermata repentina. Come potrebbe questo evento destabilizzante, o serie di eventi, condizionare gli stili di vita della classe media consumista? Presupponiamo che questo imponga una qualche forma di semplicità radicale sul mondo sviluppato, come si presenterebbe a quanto sarebbe grave? Queste sono le domande principali che prenderò in considerazione. Esorto i lettori ad adattare l'analisi perché si adatti alle proprie circostanze nella misura in cui potrebbe essere necessario. Strutturerò la seguente discussione considerando, a loro volta, vari aspetti di una tipica vita della classe media e immaginerò e valuterò i cambiamenti che potrebbero venire da un Grande Collasso. 

3.1. Acqua

Ha senso cominciare dall'acqua, essendo questa una delle necessità fondamentali della vita. Accedere all'acqua apparentemente senza limiti semplicemente aprendo un rubinetto è una di quelle cose che vengono più facilmente date per scontate nel mondo sviluppato. Questo è talmente dato per scontato che in molti posti l'acqua del rubinetto viene grandemente sottopagata e a volte non costa proprio nulla. Se, a causa di un qualche Grande Collasso, le reti idriche dovessero smettere di funzionare, quasi tutti i centri urbani verrebbero in un attimo gettati nel caos più totale e, in assenza di un qualche programma civile di emergenza ben coordinato, molta gente morirebbe entro una settimana. Le conseguenze sarebbero così orribili infatti, che dobbiamo assumere che la prima cosa che una società che si trova nel mezzo di un collasso dovrebbe fare, sarebbe assicurare il funzionamento del suo approvvigionamento d'acqua. I governi dovrebbero essere consapevoli delle proprie responsabilità qui ed essere preparati sufficientemente a coordinare ogni riparazione necessaria o manutenzione alla rete idrica, anche in un contesto di turbolenza sociale. Se il governo fallisce, le comunità locali agirebbero da sole e farebbero qualsiasi cosa necessiterebbe di essere fatta, o altrimenti perire.  

Supponiamo, tuttavia, che anche nel caso di un Grande Collasso, le reti idriche rimanessero funzionanti, o al più essere fuori uso per un giorno o due alla volta, che dovrebbe essere gestibile da parte di coloro che hanno una scorta moderata di acqua in bottiglia o una cisterna d'acqua ed alcune pasticche per purificarla. E' abbastanza facile essere preparati in questo senso, quindi ha senso che sia così. Potrebbe essere che qualche tempo dopo il Grande Collasso, a seconda della gravità dello stesso, i governi non abbiano più la capacità di gestire servizi idrici centralizzati, ma da quella fase possiamo immaginare che qualche sistema alternativo e localizzato di captazione e purificazione dell'acqua sarebbe stato sviluppato. Gli esseri umani sono pieni di risorse, un punto che molti teorici del collasso ignorano (ma che i tecno-ottimisti esagerano fino al punto di illudersi). Dovrebbe anche essere ricordato che le infrastrutture esistenti, come tetti e strade, sono notevolmente adatti a raccogliere acqua e non sarebbe difficile catturarne grandi quantità in questi modi, sempre che ci sia sufficiente pioggia. Se questi mezzi possano realmente fornire quantità d'acqua sufficienti per un insediamento urbano e suburbano, tuttavia, è una questione aperta sulla quale al momento non farò ipotesi. 

Piuttosto che preoccuparsi del collasso della rete idrica, credo che sarebbe un esperimento mentale più utile quello di considerare cosa accadrebbe se la fornitura di acqua rimanesse relativamente sicura ma diventasse più scarsa e di conseguenza molto più costosa. Supponiamo, per esempio, che dopo un qualche collasso economico, o dopo una qualche aberrazione climatica, nuove limitazioni finanziarie o di regolamento significassero che gran parte della gente fosse in grado solo di prelevare dalla rete circa 50 litri di acqua al giorno a persona. Per mettere questo quadro in qualche contesto, il consumo medio d'acqua di una famiglia negli Stati Uniti è di circa 370 litri. In Australia è di circa 230 litri al giorno ed in Gran Bretagna di circa 150 litri. Dall'altro lato dello spettro, istituzioni come le Nazioni Unite e l'Organizzazione Mondiale della Sanità, ritengono che 20 litri a persona al giorno sia il minimo necessario per la mera sussistenza e questa cifra viene a volte adottata come dato di base nei campi profughi. 

Sulla base di queste figure possiamo dire che avere 50 litri al giorno arriverebbe come un grande shock per gran parte della gente nel mondo sviluppato, specialmente quelle persone abituate a livelli di consumo di molte volte superiori. Sia come sia, desidero suggerire che la vita con 50 litri di acqua pulita al giorno non sarebbe tanto male, se vi si approcciasse con il giusto atteggiamento. Infatti, dopo un periodo di adattamento culturale e personale, credo che diverrebbe rapidamente una “nuova normalità” molto tollerabile e in gran parte indolore. Naturalmente, l'atteggiamento e lo stato d'animo di ognuno, al momento di affrontare una tale e significativa riduzione del consumo d'acqua, sarà un fattore chiave. Se la gente confrontasse la “nuova normalità” con le cose com'erano, probabilmente si sentirebbe terribilmente impoverita e ne soffrirebbe di conseguenza. Ma se la gente ricordasse che diversi miliardi di persone nel mondo oggi non hanno accesso sicuro a quantità minimamente sufficienti di acqua pulita, allora avere 50 litri di acqua pulita al giorno sembrerebbe all'improvviso come uno straordinario privilegio per il quale la gente dovrebbe essere immensamente grata; lamentarsi sarebbe volgare spirito di contraddizione. Il punto critico da osservare è che le stesse circostanze di semplicità radicale verrebbero vissute in modi completamente diversi, a seconda della mentalità che va a vivere l'esperienza. Fortunatamente, la mentalità è sotto il nostro controllo, anche le se circostanze non sempre potrebbero esserlo.  

Con un approvvigionamento giornaliero di 50 litri d'acqua, l'acqua da bere avrebbe ovviamente la priorità ed il resto dovrebbe essere distribuito fra cose come cucinare, lavare, pulire e igiene. Sarebbe possibile usare meno acqua per cucinare, se la gente fosse più attenta; i vestiti potrebbe essere lavati meno di frequente, il che probabilmente porterebbe un qualche equilibrio ad una cultura che è probabilmente eccessivamente preoccupata dalla pulizia; i prati non verrebbero annaffiati e gli ortaggi verrebbero annaffiati dalle cisterne o dal sistema delle acque grigie e così via e così via. Ci sono innumerevoli strategie per il risparmio dell'acqua che potrebbero provare che il consumo di acqua è veramente un prodotto dello spreco e questo fa sì che quella grande riduzione non ci porterebbe via nulla che sia realmente necessario per una buona vita. Anche se dovessimo smettere di fare la doccia o il bagno come siamo abituati, credo che staremmo tuttavia bene. Il fatto di essere in grado di lavarsi regolarmente potrebbe essere un'esigenza di una vita degna – ottenibile con un secchio d'acqua e del sapone – ma si potrebbe vivere con dignità senza farsi la doccia o il bagno nel modo in cui siamo abituati. 

Quest'idea di lavarsi con un secchio d'acqua esemplifica, con una certa chiarezza e specificità, l'impegnativa tesi che propongo in questo saggio. La semplicità radicale rispetto al consumo d'acqua sarebbe uno shock culturale, non c'è dubbio, se fosse considerata attentamente non dovrebbe risultare essere così male, ammesso che avessimo l'approvvigionamento minimo sufficiente. Cioè, potremmo vivere una vita piena, dignitosa e significativa anche se dovessimo lavarci con un secchio – e se pensassimo di non poterlo fare peccheremmo sia di enfasi sia di mancanza di immaginazione. 

3.2. Servizi Sanitari

Proprio come nel caso che le reti idriche smettessero di funzionare, i centri urbani verrebbero gettati nel disordine molto rapidamente se i nostri sistemi di servizi igienico-sanitari collassassero per qualsiasi lasso di tempo. Se all'improvviso non potessimo tirare l'acqua nel water, ci sarebbe un rischio significativo che i centri urbani vengano rapidamente colpiti da malattie originate dai rifiuti, quindi sistemi sanitari appropriati a loro volta da considerarsi come una delle necessità di base della vita. Ma cos'è esattamente un sistema sanitario 'appropriato'? E' necessario, per esempio, che si defechi in acqua potabile come è costume nel mondo sviluppato? Sicuramente questa pratica è fra le più grandi vergogne ed indulgenze. Nello Stato di Vittoria, Australia, dove vivo, il governo sta investendo milioni di dollari in impianti di desalinizzazione, apparentemente per far sì che gli abitanti di Vittoria continuino a defecare in acqua potabile. Si sarebbe potuto pensare che che sarebbe stato più sensato cominciare a buttare nel water acque grigie, il che ci farebbe risparmiare milioni di litri di acqua ogni giorno e costerebbe quasi nulla (per esempio raccogliere l'acqua della doccia in un secchio), ma apparentemente gran parte della gente nel mondo sviluppato lo troverebbe un inconveniente intollerabile. Come se non ci fossero cose più importanti per le quali spendere soldi! Mentre il nostro sistema fluviale si degrada, sembra che pensiamo ancora che i nostri escrementi borghesi meritino l'acqua potabile, un problema sul quale è improbabile che i posteri ci giudicheranno con clemenza. Se avessimo soltanto 50 litri di acqua potabile al giorno, tuttavia sospetto che non ci defecheremmo dentro e sono sicuro che i nostri escrementi starebbero bene ugualmente. Inoltre, scopriremmo che non sarebbe la fine del mondo. 

Mentre non penso che i nostri sistemi sanitari attuali siano sull'orlo del collasso, potrebbe essere che in tempi economicamente duri (o illuminati) la gente si allontanerebbe dalla dipendenza da infrastrutture sanitarie centralizzate per ragioni di interesse personale. Vale a dire che la gente lo farebbe non perché gli verrebbe richiesto di sviluppare un sistema non centralizzato, come le compost toilet, ma perché diventerebbe consapevole dei molti vantaggi di fare in questo modo. Non solo fare compost toilet non richiede acqua ed evita processi che usano molta energia necessari nei sistemi centralizzati, ma conservano per l'uso famigliare i nutrienti da escrementi umani che al momento vengono buttati, coi metodi attuali. L'apparato digerente umano è lontano dall'essere perfetto, il che significa che urina e feci contengono molti nutrienti – nutrienti di valore per arricchire i suoli, come azoto, fosforo, potassio, carbonio e calcio. Quando gli escrementi umani vengono compostati in modo appropriato (mescolandoli ad altro materiale di carbonio come carta o segatura) non puzzano e nel tempo i processi biologici naturali distruggono i patogeni pericolosi, rendendo il prodotto finale un tipo di letame sicuro e ricco di nutrienti – o, come viene a volte chiamato, 'humanure' (gioco di parole che tradotto perde di senso, ndt) (Jenkins 2005). In uno scenario di collasso tutti quanti coltiveremo di più del nostro cibo (ne parlo sotto) e ciò richiederà di migliorare e mantenere la qualità del suolo il più economicamente ed efficacemente possibile. In tempi del genere, e senza un discreto salario col quale comprare compost e fertilizzanti, la compost toilet diventerà una scelta ovvia. Lungi dall'essere un passo indietro, questo sarebbe un progresso positivo e al quale ci abitueremmo molto in fretta.

Nella società educata di oggi non si deve parlare di deiezioni umane. Nel mezzo di un Grande Collasso, tuttavia, immaginare come costruire una compost toilet potrebbe diventare la conversazione da fare a tavola. Mi scuso se la discussione ha offeso la sensibilità borghese. 

3.3. Cibo 

Di tutti i nostri bisogni , il cibo diviene la necessità più pressante ed immediata nel contesto di un Grande Collasso. Ciò avviene perché attualmente ci affidiamo ad una linea di produzione e distribuzione del cibo incredibilmente complessa, il che significa che il sistema manca di resilienza – vale a dire, manca della capacità di sostenere gli shock . Manca di resilienza perché quando ogni collegamento nella catena di produzione e distribuzione si rompe, l'intero sistema può smettere di funzionare. Un esempio di ciò può essere visto nelle conseguenze dello sciopero dei camionisti del 2000 nel Regno Unito. La nazione si è resa conto molto rapidamente quanto fosse dipendente dal sistema alimentare industriale, perché quando i camionisti non consegnavano, il cibo non arrivava ai supermercati. Ben presto i responsabili dei supermercati hanno chiamato i membri del parlamento avvertendoli che senza le linee di trasporto per rifornire gli scaffali, i supermercati avevano cibo da distribuire per 3 giorni. Nelle parole di un commentatore, la nazione era a soli 'nove pasti dall'anarchia' (Simms 2008). Chiedo al lettore/lettrice di considerare come farebbe se dovesse trovare il cibo per sé e per la famiglia in assenza di un sistema industriale alimentare funzionante.    

E' improbabile, dovrei pensare, che quel sistema alimentare industriale collassi immediatamente e completamente quindi, per gli scopi attuali, essere strettamente autosufficienti è un obbiettivo troppo estremo da giustificare altre analisi, ed è probabilmente impossibile. Persino in uno spaventoso scenario di collasso, possiamo aspettarci che le nostre famiglie 'importino' diversi alimenti in varie forme, se non da tutto il mondo, sicuramente dal contesto rurale. Questa, di fatto, sarebbe una necessità assoluta in contesti urbani, perché gli spazi coltivabili semplicemente non permettono da nessuna parte una stretta autosufficienza. Un recente studio condotto su Toronto, Canada, per esempio, ha concluso che la città potrebbe probabilmente produrre il 10% della propria frutta e verdura, se convertisse gli spazi entro i confini della città per l'agricoltura (MacRae et al, 2010). Ciò implica che anche se si abbracciasse entusiasticamente l'agricoltura urbana, la città avrebbe ancora bisogno di importare il 90% della sua frutta e verdura, per non dire niente di carne, minerali ed altri beni. Mentre alcune città potrebbero essere in grado di fare in qualche modo meglio (ad esempio l'Avana), lo studio di Toronto mostra chiaramente che gli abitanti delle città nel mondo sono estremamente dipendenti da sistemi di produzione e distribuzione alimentare funzionanti. Cosa succederebbe se questi sistemi subissero uno shock? O se gli alti prezzi del petrolio rendessero il cibo molto più caro?

Queste domande sono intese a provocare qualche auto-riflessione su come noi abitanti delle città ci alimentiamo. Perlomeno, in un Grande Collasso tutte le famiglie e le comunità massimizzerebbero la propria produzione di cibo – sostanzialmente allo stesso modo in cui sono spuntati gli 'orti del sollievo' durante la Grande Depressione o gli 'orti della vittoria' durante la Seconda Guerra Mondiale. Il bisogno è una grande motivazione. Aumentare la produzione urbana di cibo comporterebbe la lavorazione dei prati per trasformarli in orti produttivi e per piantare alberi da frutto (che, si dovrebbe osservare, impiegano anni per apportare una produzione sostanziale). In tutti gli spazi disponibili. Ogni striscia di verde verrebbe coltivata, i parchi verrebbero trasformati in piccole fattorie, i tetti adatti diventerebbero produttivi e, in generale, tutto il potenziale di produzione di cibo verrebbe presto utilizzato. Questo è ciò che è essenzialmente accaduto a Cuba quando l'Unione Sovietica è collassata e all'improvviso ha smesso di fornire i cubani di significative percentuali di petrolio necessario a mantenere il loro sistema alimentare industrializzato. Quasi in una notte, Cuba è diventata un baluardo della produzione biologica di cibo (non basata sul petrolio), compreso il suo contesto urbano, e ci si può aspettare che questo tipo di risposta sarebbe immediatamente replicata qualora e laddove il sistema alimentare industriale subisse un Grande Collasso. Quando c'è il rischio della fame, l'estetica borghese che apprezza un rigoglioso 'prato inglese', all'improvviso sembra banale o persino ripugnante (letteralmente). 

Assumere, tuttavia, che parti considerevoli del consumo urbano di cibo avrebbero sempre bisogno di essere importate – una sfida che dovrebbe essere ridotta in qualche misura, non c'è dubbio, da un grande ritorno alle campagne o “volo urbano” - il problema diventa quale tipo di dieta ci si dovrebbe aspettare in caso di un Grande Collasso del sistema alimentare industriale. Per prima cosa, dovremmo abituarci a shock nell'approvvigionamento di vari beni; il lusso di fare un salto al supermercato per prendere un po' di [inserite il prodotto alimentare desiderato qui] potrebbe diventare una cosa del passato. Immaginate, per esempio, di fare a meno di riso, o delle arance o del caffè per mesi o anni alla fine. Un pensiero terribile, forse, ma sopravviveremmo alla perfezione senza questi ed altri lussi simili (non locali). Poi, i prezzi del petrolio più alti o la contrazione economica potrebbero rendere molti cibi che attualmente possiamo permetterci inaccessibili, con conseguenze simili sulle abitudini dell'ordinario consumo di cibo. Potremmo semplicemente non essere in grado di permetterci prodotti che alcune persone danno per scontati oggi, anche se fossero disponibili. Inoltre, in tempi di ristrettezze economiche, take away e ristoranti potrebbero ben scomparire. 

Nuovamente, queste eventualità, se non venissero previste, sarebbero vissute probabilmente come terribili shock culturali e molti potrebbero pensare di essere tornati al medioevo. Ma lo scopo di questo saggio è quello di suggerire che tali shock del prezzo o della fornitura, purché siano ancora disponibili diete sufficientemente nutrienti, non sarebbero così male. Potremmo non mangiare più al ristorante, ma delle cene alla buona fra amici e vicini potrebbero tornare ad essere comuni. Inoltre, mentre avere 10.000 prodotti che ci aspettano nei supermercati potrebbe sembrare una comodità desiderabile, la vita sarebbe ben tollerabile (anche se molto diversa) se ci fossero solo 100 prodotti alimentari disponibili, anche se fossero due, tre o quattro volte più cari di quanto lo siano oggi. In tali circostanze, le nostre diete cambierebbero sicuramente e probabilmente mangeremmo di meno; di sicuro mangeremmo meno carne. Ma in generale staremmo bene e probabilmente anche meglio di adesso. Questo è il messaggio generale che questo saggio cerca di portare alla vostra considerazione. Se fossimo mentalmente preparati, la semplicità radicale nei termini delineati sopra non sarebbe così male. Ma cosa succederebbe se si spegnesse improvvisamente la luce?

3.4. Elettricità

Una fornitura di elettricità ininterrotta, fornita a prezzi realmente abbordabili è, con l'acqua potabile dal rubinetto, gli scarichi del water e il supermarket, una delle caratteristiche che definiscono lo stile di vita opulento preso in considerazione in questo saggio. L'elettricità è così centrale per la nostra concezione della buona vita che siamo a malapena in grado di immaginare la vita senza di essa per qualsiasi periodo di tempo. Durante quelle rare occasioni in cui ci sono dei black out e viene tolta la corrente, è vero che ce la caviamo abbastanza bene, anche se di solito è solo per pochi minuti o al massimo qualche ora. Forse nel bel mezzo di un disastro naturale particolarmente grave – che gran parte di noi non ha vissuto – l'elettricità va via per qualche giorno o per una settimana. Ma parte della ragione per cui ci riusciamo così bene è che presupponiamo (con qualche giustificazione) che sia un problema temporaneo nel sistema e che nel tempo che impieghiamo a trovare la pila le luci si riaccenderanno di nuovo. Quando immaginiamo la vita senza elettricità, pensiamo all'Africa. Ma cosa succederebbe se, nel mondo sviluppato, un Grande Collasso dovesse avere un impatto sulle forniture di elettricità alle quali siamo abituati in modo imprevedibile? Sarebbe la catastrofe che potremmo inizialmente pensare che sia?  

Ipotizzare un collasso improvviso e permanente della fornitura di corrente nel mondo sviluppato spingerebbe il nostro esperimento mentale oltre il regno della credibilità. E' altamente improbabile. Ma se l'economia globale dovesse continuare a schiantarsi per un motivo o per l'altro – il che è almeno una possibilità reale – le nazioni sviluppate che si basano sulla crescita continua, si ritroverebbero probabilmente ad affrontare decisioni davvero difficili su come spendere i propri fondi molto più limitati. Potrebbe anche essere che la manutenzione della rete elettrica non riceva il supporto finanziario che richiederebbe e questo potrebbe portare ad interruzioni nella fornitura elettrica a livelli che la gente non ha mai visto per molte generazioni. In un'area in cui così tante attività economiche sono facilitate dai computer, interruzioni regolari e prolungate della fornitura elettrica creerebbero certamente molte difficoltà, almeno all'inizio, e molte famiglie sarebbero irritate se regolari black out interrompessero mentre si cuoce la cena o si guarda il programma preferito in TV. Ma nel più grande schema delle cose – e quando ricordiamo che gran parte della gente sul pianeta non ha per niente l'elettricità – le interruzioni costanti di elettricità sarebbero poi così male? Siamo così delicati?

Vorrei dire che non lo siamo, anche sé, ancora una volta, dipende dalla mentalità con la quale si vivono le cose. Se persistiamo con l'assunto che l'elettricità ininterrotta è un nostro diritto divino, allora vivremo un Grande Collasso come se cadesse il cielo. Ma se consideriamo un tale collasso come una possibilità (tuttavia improbabile) e ci prepariamo per questo, almeno mentalmente, allora le cose non sarebbero così tragiche come abbiamo pensato in un primo momento. Immaginate, per esempio, che lunghe interruzioni di pochi giorni o più diventino una cosa normale, e immaginate ancora che l'elettricità diventi così cara che il suo uso per qualsiasi elettrodomestico diventi un lusso. Anche in queste circostanze dichiaratamente impegnative, propongo che un atteggiamento forte e resiliente significherebbe che la gente potrebbe facilmente assorbire gli shock, senza tanti problemi. 

In termini pratici, l'elettricità cara ci renderebbe immediatamente più consci delle nostre abitudini di consumo casuale. Le luci verrebbero religiosamente spente quando lasciamo la stanza e l'uso di elettrodomestici, compresa la TV, sarebbe parsimoniosamente pensato in termini economici. Al posto di accendere il riscaldamento, ci metteremmo un maglione di lana. Questo cambiamento culturale, sicuramente, non porterebbe alcun reale disagio e certe sottoculture interne al mondo sviluppato hanno già sviluppato queste abitudini per scelta. Il soggetto di questo saggio, tuttavia, è un cambiamento culturale più radicale – ma forse cambiamenti culturali più radicali potrebbero anche essere assorbiti senza molto disagio. Supponete, per esempio, che le famiglie – la vostra famiglia – possano prelevare (o permettersi) solo un terzo dell'elettricità dalla rete, con black out prolungati che interferiscono regolarmente ma imprevedibilmente con la pianificazione. Sì, potremmo andare a letto prima durante i black out ed alzarci all'alba e, sì, diverse transazioni d'affari verrebbero cancellate con notevoli disagi. Ma drastiche riduzioni nella quantità e regolarità dell'elettricità diventerebbero abbastanza in fretta la nuova 'normalità', alla quale si abituerebbero in fretta anche le anime delicate. Gran parte delle aziende si adatterebbero (e andrebbero avanti come facevano prima, quando l'elettricità era data per scontata), così come farebbero le società opulente più in generale. La vita andrebbe avanti, sebbene in modo molto diverso. 

3.5. Vestiario

Il problema del vestiario è interessante da considerare nel contesto di uno 'scenario di collasso', perché porta alla luce il fatto che il consumo è una pratica sociale che dipende dal contesto. Con questo intendo dire che la gente consuma le cose (specialmente i vestiti) non solo per quello che fanno, ma anche per quello che simboleggiano e significano all'interno di un particolare contesto sociale. Chiaramente, la funzione primaria dei vestiti è quella di tenerci caldi e la funzione secondaria, almeno allo stato attuale della nostra società, per coprire le nudità. Tuttavia, quelle funzioni si sono quasi perse in un'epoca, come la nostra, dove lo scopo dei vestiti si è evoluto per diventare principalmente espressione dell'identità sociale o dello status. Anche le moltitudini di 'alternativi', che rifiutano esplicitamente 'l'alta moda', ciononostante sono impegnati nel posizionarsi socialmente abbracciando un'estetica alternativa dei propri vestiti. Nel contesto di un Grande Collasso, tuttavia, l'industria della moda sarebbe fra le prime a morire e direi che non sarebbe una gran perdita.

Considerate, per esempio, se non avessimo più l'opportunità o salari adeguati per comprare nuovi vestiti. Questo si potrebbe vivere facilmente come una grave crisi di identità da coloro che sono arrivati a definirsi attraverso vestiti alla moda. Ma la realtà è che se uno fosse mentalmente preparato per questa possibilità, indossare i colori della stagione passata o mettere toppe sulle ginocchia non porterebbe alcun danno (Thoreau, 1982). Infatti, suppongo che gran parte della gente potrebbe sopravvivere un decennio o anche di più e piuttosto felicemente senza aggiungere altro ai propri guardaroba, visto che probabilmente quasi tutti nel mondo sviluppato hanno vestiti in eccesso. In un Grande Collasso, indossare vestiti alla moda sarebbe fra le ultime nostre preoccupazioni, anche se probabilmente si svilupperebbe una nuova estetica, nella quale la gente proverebbe a fare il meglio dal poco che ha – chiamatela 'moda chic post-collasso'. Gli esseri umani sono una comitiva creativa e lo 'stile' non scomparirebbe del tutto all'evolvere di uno scenario di collasso. Ciononostante, gli esseri umani soddisfano in genere i propri bisogni più pressanti prima e nel mezzo di una profonda crisi economica, per esempio, essere di tendenza sarà una preoccupazione trascurabile. Conserveremmo diligentemente i vestiti e diventeremmo molto bravi a rattoppare e rammendare e, per quanto riguarda il tenerci al caldo e il coprire le nostre nudità, le nostre esigenze di vestiario verrebbero soddisfatte a sufficienza senza grandi problemi.  

Come ha scritto una volta Thoreau (1982: 278) : ‘Un uomo che che ha finalmente trovato qualcosa da fare non avrà bisogno di un vestito nuovo in cui farlo', aggiungendo che 'se la mia giacca e i miei pantaloni, il mio cappello e le mie scarpe, sono adatti per adorarci Dio, lo faranno, o no?' E' una domanda interessante da prendere in considerazione, se non in relazione all'adorazione di Dio, necessariamente, almeno in relazione al vivere con passione in circostanze di semplicità radicale. Dei vecchi vestiti lo farebbero, no?

3.6. Trasporti

La produzione di greggio globale è stabile del 2005 e questo è stato il motivo principale per il quale i prezzi del petrolio nell'ultimo decennio sono aumentati diverse volte. Mentre i nuovi giacimenti faticano a compensare il rapido declino dei giacimenti esistenti e mentre il mondo sviluppato continua ad aumentare la sua domanda sulle stagnanti forniture di petrolio, ci si attendono ulteriori aumenti dei prezzi. E come è stato detto altrove  (Heinberg, 2011; Rubin, 2012; Alexander, 2012f), le economie industriali globalizzate sono dipendenti dal petrolio a buon mercato e quando le spese in petrolio aumentano oltre una certa soglia – che alcuni sostengono sia il 5,5% del PIL  (Murphy e Hall, 2011a-b) – allora le economie dipendenti dal petrolio annaspano, spesso al punto di recessione o persino depressione. Questo potrebbe essere proprio quello che stiamo vedendo nel mondo oggi e le cose peggiori potrebbero essere in arrivo (Tverberg, 2012). Infatti, il petrolio caro potrebbe essere uno dei motori principali del Grande Collasso del quale stiamo speculando  in questo saggio. 

Quali sarebbero le implicazioni sui trasporti di un Grande Collasso portato da petrolio costoso? Prima di tutto, il viaggio aereo diventerebbe un lusso raro, alla portata solo di pochi privilegiati. Mentre molti insisteranno che questa sarebbe una grave perdita, io mi permetto di dissentire. Non ho dubbi sul fatto che viaggiare per il mondo e vedere culture diverse sia un'esperienza che espande la mente, ma pensare che non si possano avere ugualmente esperienze che espandono la mente nei luoghi dove ognuno di noi vive tradisce una mancanza di immaginazione. Uno potrebbe dire quanto è presuntuoso per la gente viaggiare all'altro capo del mondo quando non abbiamo nemmeno visto – realmente visto – i nostri giardini di casa, le nostre località. Forse meraviglie inimmaginabili aspettano coloro che osano andare a vedere più da vicino. Potrebbe essere che ci siano opzioni di viaggio economiche, a bassa emissione di carbonio ed ugualmente soddisfacenti che siano più vicine a casa più di quanto possiamo pensare, se solo guardassimo il mondo in modo diverso. 

Una seconda e presumibilmente più importante implicazione del petrolio caro sarebbero le conseguenze che avrebbe sulla guida. Non solo il petrolio sarebbe più caro, ma un Grande Collasso significherebbe che gran parte della gente avrebbe a disposizione redditi considerevolmente inferiori, o nessuno. Il trasporto pubblico, dove c'è, verrebbe usato molto più regolarmente, probabilmente spinto al limite della propria capacità ed oltre. Andare in bici o a piedi diventerebbe immediatamente la modalità predefinita di trasporto (che si porta con sé diversi benefici per la salute e l'ambiente) e, chi lo sa, forse anche il cavallo potrebbe tornare sulle nostre strade. Se guidare fosse necessario e praticabile, il car pooling diventerebbe la norma. Non si andrebbe più al negozio all'angolo in macchina per prendere un litro di latte. 

Un problema più complesso in relazione al trasporto – uno che non può essere esplorato in tutti i dettagli qui – concerne la rilocalizzazione dell'economia che il petrolio caro indurrebbe (Rubin, 2009). Attualmente molta gente è 'bloccata' al viaggio in macchina in virtù del fatto che vive lontano da dove lavorano e diverse aziende dipendono in modi diversi dal commercio globale. Ma è probabile che la produzione si sposti molto più vicino a casa – probabilmente che ritorni a casa – man mano che i prezzi del petrolio continuano a crescere e le economie dovrebbero continuare a contrarsi (Holmgren, 2012).E' probabile che questo porti vari disagi ed insicurezze, ma per gli scopi attuali il punto è che questo anche 'sbloccherebbe' la gente (e le imprese) dai lunghi viaggi. Quando le nostre comunità sono costrette a re-imparare le arti dell'autosufficienza, la cultura dell'auto scomparirà anche più rapidamente di quanto sia sorta. Il lato positivo è che tutto il tempo buttato nel pendolarismo può essere impiegato per scopi più utili ed appaganti, come tornare ad impegnarsi nelle nostre comunità e rivitalizzare le nostre economie locali.

3.7. Tecnologia

Un'altra caratteristica che definisce le società opulente sono le tecnologie avanzate che abbiamo a nostra disposizione, che generalmente sono a prezzi molto accessibili. In Australia, per esempio, il reddito prodotto lavorando meno di due ore col salario minimo consente di comprare un lettore DVD e televisori funzionanti vengono spesso lasciati per strada perché non sono dell'ultimo tipo con schermi piatti. In un contesto globale e storico, ci rendiamo conto di quanto siamo ricchi?

Nelle case delle famiglie della normale classe media c'è una schiera di tecnologie che avrebbe sconcertato la gente solo poche generazioni fa. Inoltre, oggi non è raro anche per i bambini avere (ed aspettarsi di avere) le tecnologie più avanzate, come iPod, Xbox e telefoni cellulari. Computer, forni a microonde, lavastoviglie, stereo, utensili da cucina, aspirapolvere, lavatrici, asciugatrici, aria condizionata – è possibile trovare tutte queste cose e molto di più nelle case tipiche di quella che chiamo la classe media. Queste tecnologie sono così facilmente a disposizione che potrebbe essere dura immaginare la vita senza di esse. Ma proviamoci. 

Fare senza computer è probabilmente la cosa più difficile da immaginare, perché la vita moderna è estremamente dipendente da questi strumenti. Ricordiamoci, tuttavia, che la gente sopravviveva piuttosto bene negli anni 50 senza computer, quindi non c'è ragione di pensare che la vita senza di essi significherebbe tornare all'Età della Pietra. Infatti, attualmente passiamo molto tempo davanti a un computer che la loro scomparsa ben potrebbe essere un progresso positivo che spinge la gente a coinvolgersi in una comunicazione più faccia a faccia e probabilmente a passare più tempo fuori. 

Le tecnologie dentro ai computer sono così sofisticate che probabilmente dipendono, per la loro produzione, da un'economia industriale funzionante, quindi è possibile che un Grande Collasso renda i computer o non disponibili o tremendamente cari. La stessa cosa è applicabile a molte altre tecnologie che attualmente diamo per scontate. Tuttavia, con un po' stoica resilienza, credo che ci possiamo in generale adattare alla loro mancanza senza grandi difficoltà. Sospetto che la lavatrice potrebbe rimanere un dispositivo di estremo valore per risparmiare lavoro ed i nostri frigoriferi sarebbero una delle ultime cose ad andarsene. Ma la vita andrebbe avanti anche se queste cose diventassero dei rari lussi, e la vita andrebbe sicuramente avanti se dovessimo fare a meno di telefoni cellulari, forni a microonde, aspirapolvere, lavastoviglie, ecc. Al posto degli stereo (anche se sono meravigliosi) ci godremmo probabilmente il piacere maggiore di più musica dal vivo. Sarebbe un'esistenza di gran lunga più 'semplice', non c'è dubbio, ma sopravviveremmo abbastanza bene se gestissimo la transizione in modo saggio. Nuovamente, essere mentalmente preparati è il primo passo verso un sano adattamento – un passo che vale la pena di fare, asserisco, anche se una tale semplicità radicale non arrivasse durante la durata delle nostre vite.

Forse l'aspetto più preoccupante di una vita senza capacità tecnologica riguarda i sistemi energetici rinnovabili. Come i computer, pannelli solari e grandi pale eoliche dipendono probabilmente da un'economia industriale e globalizzata per la loro produzione e funzionamento, quindi, in caso di un Grande Collasso non dovremmo pensare che la produzione di energia rinnovabile non ne venga condizionata, per quanto se ne trarrebbe beneficio. L'energia nucleare probabilmente dipende anche i misura maggiore da un'economia industriale funzionante, quindi in caso di un 'crollo', l'energia nucleare potrebbe non essere un'opzione (supposto che sia da considerarsi desiderabile). 

Per motivi di spazio non aprirò questi tappi ulteriormente, se non osservando che rispondere al cambiamento climatico dipende dal ridurre grandemente la quantità di energia che usiamo e che produciamo la poca energia che usiamo da fonti rinnovabili (Trainer, 2012a-b). In assenza di sistemi energetici hi-tech, le nostre alternative sarebbero probabilmente o vivere come gli Amish o continuare a bruciare combustibili fossili – e sappiamo tutti qual è l'alternativa che verrà scelta con più probabilità. Ormai il lettore potrebbe anche indovinare quale alternativa appoggerei, ma una strada ancora migliore sarebbe riuscire a portare le cose migliori di uno stile di vita Amish (aggiungendo una forte dose di edonismo alternativo, forse) mentre, allo stesso tempo, approfittiamo dei sistemi di energia rinnovabile hi-tech ed altre tecnologie 'appropriate' che siano disponibili ed accessibili. 

3.8. Televisione e Facebook

Il modo in cui una cultura passa il proprio tempo libero – la propria libertà – dice molto sulla natura della società. Attualmente, molti occidentali passano più tempo guardando la televisione che a fare qualsiasi altra cosa che non sia dormire o lavorare. Spesso si passano diverse ore in più ogni giorno su Facebook. Non c'è bisogni di far parte di una élite per mettere in discussione se questo sia l'uso migliore della nostra libertà. Tecnologie come la televisione e Facebook non sono buone in sé. Come il fuoco, entrambe sono sia buone sia cattive a seconda di quante ce ne sono e di come vengono usate. Se un Grande Collasso dovesse portarcele via, io sostengo che in questo senso almeno le nostre culture dovrebbero esserne decisamente arricchite. All'improvviso scopriremmo di dovere riempire il nostro tempo in altri modi meno passivi ma, lungi dall'essere annoiati, scopriremmo che c'erano cose, un lavoro molto più importante e significativo, da fare per costruire una nuova civiltà. 

3.9. Redditi voluttuari

Un punto più generico sulle implicazioni sullo stile di vita di un Grande Collasso attiene ai redditi voluttuari. Oggi, nelle nazioni sviluppate, i salari medi sono ben al di sopra dei livelli di sussistenza, il che significa che gran parte della gente ha redditi voluttuari da spendere in beni e servizi  non essenziali, come alcool, biglietti del cinema, cibo take-away, libri, riviste, vestiti alla moda, la vacanza occasionale, ecc. Le enormi conseguenze economiche di un Grande Collasso, tuttavia, significherebbero che il reddito voluttuario che diamo per scontato oggi potrebbe facilmente scomparire completamente o essere ridotto a livelli minimi. La gente non sarebbe più in grado di permettersi di pagare altri per 'servizi' come  pulizia, cucina, contabilità, riparazioni, ecc. Tale lavoro e molto altro tornerebbe in famiglia. La persona ordinaria diventerebbe un 'jolly', o almeno sarebbe in grado di barattare diverse capacità con altre in un'economia informale. Siccome l'attuale divisione del lavoro nelle economie di mercato ha lasciato molti di noi con una gamma di capacità molto ridotta, doversi fare le cose da soli richiederebbe una grande 'riqualificazione', un cambiamento culturale già in corso nel movimento di Transizione (Hopkins, 2008). Sembra proprio che gli esseri umani ricavino un piacere considerevole ad essere autosufficienti, perché imparare competenze di vita e metterle in pratica può essere un processo davvero soddisfacente. Ciò significa che l'impossibilità di pagarsi i servizi probabilmente ha un significativo lato positivo. 

Le stesse forze economiche che ridurrebbero i redditi voluttuari per i 'servizi' significherebbero anche che avrebbero poco o nessun reddito di riserva col quale comprare  'beni' non essenziali. Attualmente, se ci troviamo nel disperato bisogno di qualcosa, sarà probabilmente disponibile a un prezzo ragionevole in un qualche negozio vicino. In uno scenario di collasso, questo lusso scomparirà, con catene di fornitura distrutte e prezzi (relativamente ai redditi voluttuari) alle stelle. Questa situazione significherebbe l'alba della 'economia del riuso' e della 'economia della condivisione', entrambe le quali potrebbero già essere fra noi. Se dovessimo aver bisogno di qualcosa e non fossimo in grado di comprarlo, le nostre opzioni sarebbero: (1) riconsiderare se ne abbiamo davvero bisogno e forse farne a meno; (2) riusarlo o; (3) prenderlo in prestito da qualcuno nella nostra comunità (e forse prestargli qualcosa in cambio). Per esempio, piuttosto che possedere tutti nella via attrezzi per la potatura (o qualche altro bene), forse solo una o due persone li avranno, o forse verrebbe allestita una rimessa per gli attrezzi condivisa dalla comunità di modo che tutti abbiano accesso agli attrezzi anche se ce ne fossero molto pochi nella comunità. Questo aumenterebbe grandemente 'l'efficienza' del nostro consumo, perché attualmente molti, se non la maggior parte dei nostri beni acquistati se ne stanno dispendiosamente ad oziare per gran parte della loro vita. Condividere più delle nostre cose non sarebbe difficile. 

Analogamente, dovrebbe andare da sé che, in uno scenario di collasso, tutte le spese lussuose scomparirebbero essenzialmente del tutto e senza nessun vero disagio. Qualcuno potrebbe rimpiangere il fatto di non potersi permettere una nuova cucina, cambiare un tappeto logoro o di non poter fare le ferie in Thailandia, ma sarebbe responsabilità loro se considerassero queste delle buone ragioni per disperarsi. Di sicuro la buona vita consiste in qualcosa di diverso del mero consumo di beni di lusso? Per attingere ancora dalle parole di Thoreau (1982: 269): ‘Gran parte dei lussi e molti dei cosiddetti comfort di vita, non solo non sono indispensabili, ma ostacoli positivi all'evoluzione dell'umanità' e su questa base  Thoreau (1982: 290) sollecita le persone a non essere come l'uomo che si lamentava dei 'tempi duri perché non si poteva permettere di comprare una corona'. 

3.10 Servizi Pubblici

Concludendo l'analisi, alcune parole dovrebbero essere dedicate al declino dei servizi pubblici che senza dubbio seguirebbe un Grande Collasso. Ho presunto che un Grande Collasso avrebbe enormi implicazioni economiche, ne consegue che condizionerebbe la capacità dei governi di fornire molti servizi pubblici, almeno nella misura in cui siamo abituati oggi. Con una capacità di spesa molto inferiore (dovuta alla contrazione economica), i governi dovrebbero ripensare radicalmente i loro bilanci e questo potrebbe avere implicazioni significative per la gente comune. Molte disposizioni di carattere sociale  - come sussidi di disoccupazione o sanitari, investimenti in infrastrutture pubbliche o arte, ecc. - potrebbero facilmente scomparire o essere fortemente ridotte, proprio mentre se ne avrebbe più bisogno. Altri servizi pubblici o disposizioni potrebbero a loro volta ricevere molto meno sostegno finanziario, come i pompieri, le forze di polizia, le amministrazioni locali, i programmi di protezione ambientale, ecc. Questo, ovviamente cambierebbe grandemente la natura della società e non dirò che i cambiamenti verrebbero assorbiti senza sofferenza. Ma ma si può sostenere che la dipendenza da uno stato forte è stata una delle ragioni dell'indebolimento di molte comunità, in anni recenti. Dopotutto, ci si potrebbe sentire meno obbligati a prendersi cura di un vicino povero o anziano se ciò è considerato qualcosa che dovrebbe fare lo stato. Anche se non voglio dilungarmi su questo argomento, in assenza di un forte stato sociale, le comunità dovrebbero prendersi cura di nuovo di sé stesse e questa sfida potrebbe rivitalizzare lo spirito di vicinato e di solidarietà che è stato perduto in molte culture consumistiche oggigiorno (Lane, 2000). Dovrebbero essere fondate nuove organizzazioni e i sistemi della comunità per affrontare il crimine, i rifiuti del consumo, la riparazione di infrastrutture o per dar da mangiare a chi ha fame. Finiremmo per avere comunità molto diverse, molto localizzate e che si autogovernano, ma potrebbe valere la pena di vivere tutto il disagio che porterebbe questa transizione. Potrebbe solo darci una democrazia più diretta, autentica e partecipativa, che probabilmente è un passo necessario lungo la strada per creare una democrazia sostenibile.  

4. Conclusione

In questo saggio ho cercato di descrivere con qualche dettaglio come potrebbe essere una vita di semplicità radicale e di suggerire che la semplicità radicale non sarebbe così male, ammesso che la transizione venga anticipata e saggiamente negoziata. Infatti, il sottinteso di questo saggio è stato che una tale transizione sarebbe in realtà nel nostro interesse immediato, anche se ho a malapena provato a provocare delle considerazioni sulla tesi leggermente meno ambiziosa, cioè che la semplicità radicale non sarebbe tanto male.  

Per fare un riesame, gli elementi di semplicità radicale che ho sottolineato prima sono: Avere solo 50 litri di acqua potabile al giorno; usare una compost toilet; coltivare il cibo in ogni spazio disponibile ed avere a che fare con una minore varietà e cibo più caro; consumare circa un terzo della quantità di elettricità attualmente usata ed avere a che fare con black out regolari; non comprare mai nuovi vestiti; usare solo trasporti pubblici o biciclette per andare in giro e non volare mai; fare a meno di molte tecnologie, come cellulari, aspirapolvere, forni a microonde, stereo, lavastoviglie, asciugabiancheria e probabilmente anche lavatrici, computer e frigoriferi; non guardare la televisione e non avere tempo per Facebook; avere meno o nessun reddito voluttuario da spendere in beni o servizi non essenziali e, alla fine, avere a che fare con l'assenza di molti servizi pubblici che sono dati attualmente per scontati. Indubitabilmente, se i normali 'consumatori' occidentali si ritrovassero all'improvviso a vivere una vita di semplicità radicale, si sentirebbero grandemente impoveriti e di conseguenza ne soffrirebbero. Ma se la gente accettasse che il senso della vita non consiste nel consumo di cose materiali, allora la semplicità radicale non sarebbe un ostacolo ad una vita felice e soddisfacente. Dato che il consumismo è una pratica sociale, tuttavia, potrebbe essere estremamente difficile abbracciare volontariamente la semplicità radicale in anticipo rispetto ad un'imposizione esterna, ma ora abbiamo ragioni più che sufficienti per muoverci in direzione di una semplicità volontaria e di tentare di trascinare la cultura con noi (Alexander, 2009, 2010; Alexander e Ussher, 2012).

Posso anticipare almeno due obbiezioni a questa analisi, la prima proveniente dagli ottimisti e la seconda dai pessimisti. Dalla prospettiva ottimista, la gente potrebbe obbiettare che la mia analisi si basa su una prospettiva troppo cupa, cioè che le le possibilità che la semplicità radicale venga imposta al mondo sviluppato da un qualche Grande Collasso, sono così magre che non dobbiamo preoccuparci con esperimenti mentali come il mio. Questa obbiezione presume che avremo sempre cibo, acqua, elettricità, tecnologie, redditi voluttuari e servizi pubblici per vivere con lo standard di vita attuale. A questi ottimisti risponderei osservando che il nostro pianeta fatica a sopportare le conseguenze di un miliardo di 'consumatori' e quindi l'idea che questo modo di vivere possa essere globalizzato a 9 o 10 miliardi di persone nei prossimi decenni (il che sembra essere l'obbiettivo dello 'sviluppo') e pericolosamente irrealistico, persino assurdo. Ad un certo punto i nostri ecosistemi dichiareranno i loro 'limiti dello sviluppo' e di fatto stanno per farlo (Meadows et al, 2004). I prossimi decenni non saranno come i decenni passati, e se il mondo sviluppato non si avvia volontariamente verso uno stile di vita meno consumistico, allora sembra abbastanza ragionevole aspettarsi che tale stile di vita ci verrà imposto senza volerlo. E' solo una questione di tempo. Inoltre, anche se la semplicità radicale non dovessimo vederla nella nostra vita (o mai), spero che l'esperimento mentale qui sopra possa, in ogni caso, aver portato un maggiore focus sulla nostra relazione col mondo materiale. Se diamo un secondo sguardo alle nostre vite (Burch, 2012), potremmo scoprire che l'opulenza è molto meno importante di quanto abbiamo pensato che fosse e che le cose migliori della vita sono gratuite. 

Dalla prospettiva pessimista, un'obbiezione alla mia analisi potrebbe essere che un Grande Collasso è di fatto in serbo per noi, ma che gli impatti saranno di gran lunga più tragici di quelli che ho descritto. In altre parole, potrebbe essere obbiettato che io abbia romanzato la semplicità radicale e che la semplicità radicale di fatto significa sofferenza bella e buona. Questa obbiezione, tuttavia, è basata su un fraintendimento del mio progetto. Capisco molto bene che un Grande Collasso potrebbe mostrarsi in vari modi, compresa la possibilità che carestia, malattia e violenza ci porterebbero ad una diffusa povertà ed alla morte. In tali circostanze, naturalmente, non ci sarebbe nessun 'lato positivo' e sicuramente si sarebbe potuta fare un'analisi molto più nera. Ma sin dall'inizio ho distinto la semplicità radicale dalla povertà e non ho fatto tentativi di dipingere la povertà a colori. Nessuno vuole stare al freddo, affamato e malato. La semplicità radicale, tuttavia, per come l'ho descritta, significa uno standard di vita sicuro ma biofisicamente minimo ed il mio scopo è stato di difendere la tesi che la vita non sarebbe poi così male se ci trovassimo senza molte delle comodità della vita della classe media, ammesso che i nostri bisogni fondamentali siano ancora soddisfatti.   

Alla fine, la visione del mondo delineata sopra sorge da una concezione particolare di cosa significhi essere umani. Pone una domanda, 'Cos'è che rende la vita degna di essere vissuta?' e risponde a questa domanda dicendo 'Qualcosa di diverso dal consumo senza limiti di cose materiali'. Il consumismo semplicemente non soddisfa il nostro desiderio di senso universale e prima il mondo si rende conto di questo meglio sarà per tutti sul pianeta. 

Se non scegliamo di imparare questo, alla fine ci verrà comunque insegnato. 

Riferimenti:

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