mercoledì 5 dicembre 2012

Io e la Fusione Fredda

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di Massimiliano Rupalti


(Lo scienziato, Dott. Hans Zarkov, lavora giorno e notte per perfezionare un dispositivo col quale spera di salvare il mondo... Il suo grande cervello si sta indebolendo a causa del grande sforzo.)

Alcune persone sembrano pensare che la scienza sia così, ma la vita quotidiana del ricercatore non è per niente simile a quella del Dott. Zarkov che costruisce una nave spaziale in cantina. Nella scienza, come nella gran parte dei compiti della vita, sussiste la regola “1% ispirazione e 99% sudorazione”


Quando dico di aver fatto alcuni esperimenti sulla fusione fredda, nel 1989, vedo che molta gente sembra essere molto interessata a quel mio vecchio lavoro. Non credo che quello che ho fatto sia particolarmente rilevante, ma ho pensato che avrei potuto raccontare quella storia - se non altro per mostrare quanto sia facile essere presi dall'entusiasmo. Ma potrebbe anche essere un modo per mostrare come funziona il metodo scientifico.

Lasciatemi tornare al 1989, quando Fleishmann e Pons hanno dichiarato che potevano ottenere la fusione dei nuclei di deuterio in una provetta. Ricordo distintamente il clima di euforia di quei mesi. Era una scoperta straordinaria: stava per cambiare tutto nella scienza. E non solo nella scienza. Pensavo che anche molte storie di fantascienza avrebbero dovuto essere riscritte.

In luglio di quell'anno, ho fatto un viaggio a Berkeley, per lavorare al Lawrence Berkeley Laboratory durante l'estate. Laggiù avevano uno dei migliori laboratori di elettrochimica del mondo e se c'era qualcuno che era in grado di replicare gli esperimenti di Fleischmann e Pons, questi erano proprio loro. Così, quando arrivai a Berkeley una delle prime cose di cui ho parlato con i miei colleghi è stata la fusione fredda. Sono stato sorpreso di scoprire che erano delusi. Avevano provato a replicare l'esperimento di fusione fredda elettrochimica quasi immediatamente dopo il primo annuncio. Ma non avevano ottenuto niente e avevano concluso che tutta la storia era una truffa o uno sbaglio. Ricordo distintamente di aver sentito il mio capo al laboratorio discutere di fusione fredda al telefono con qualcuno e dire, scandendo bene le parole, “guarda, era solo un errore di misurazione”.

Ho passato quell'estate a Berkeley lavorando su un soggetto non correlato alla fusione fredda, ma non mi ero arreso del tutto. Vedete, l'annuncio di Fleischmann e Pons aveva scatenato tutta una serie di annunci simili. Alcuni dicevano di poter osservare la fusione fredda nei gas emessi dai vulcani ed altri di osservarla in metalli diversi dal palladio, semplicemente esponendoli al deuterio gassoso. L'atmosfera generale ricordava vagamente gli “avvistamenti di Elvis”. Qualcuno vede qualcosa ed immediatamente altra gente riferisce di aver visto qualcosa di simile. Forse l'elettrochimica non era il solo modo per ottenere la fusione fredda. Forse c'erano altri modi, persino migliori! Quindi, appena rientrato in Italia, in Settembre, ho pensato di poter fare qualcosa io stesso. Avevo un laboratorio attrezzato con varia strumentazione per cui, perché non fare un tentativo? In quel periodo non dovevo insegnare ed ero libero dai compiti amministrativi che ho oggi, quindi potevo lavorare relativamente in pace per almeno un paio di mesi.

Non vi tedierò coi dettagli di quello che ho fatto (*). Lasciate solo che vi dica che le mie impostazioni erano ispirate al lavoro di Scaramuzzi ed altri a Frascati e che si basava sul confronto di test fatti sul deuterio e con idrogeno su campioni di palladio. Ma non sono riuscito ad ottenere nulla: nessuna traccia di fusione fredda a prescindere da quello che facevo. Alla fine mi sono arreso. Non sono stato l'unico a rimanere deluso. L'entusiasmo era passato e l'intera faccenda della fusione fredda si stava spegnando. Nessuno riusciva ad ottenere risultati convincenti e diversi ricercatori cominciavano a vergognarsi per essere stati troppo frettolosi nel pubblicare ciò che avevano pensato fosse una prova della fusione fredda. Era diventato ovvio quasi a tutti che il concetto di “fusione fredda” era stato tutto un errore.

Quindi, ecco la storia, più o meno. Ora, possiamo trarne un insegnamento? Forse. Per prima cosa, nella scienza non ci sono cose come esperimenti falliti finché documenti quello che stai facendo e fai una corretta analisi dei dati che ottieni. Naturalmente, i miei esperimenti non potevano provare che la fusione fredda non esiste (**), così come nessun esperimento può provare, oltre ogni concepibile dubbio, che non esistono gli unicorni. Quello che i miei esperimenti hanno potuto provare è che la fusione fredda era lontana dall'essere così facile da ottenere come sembrava allora (non ero il solo ad essere arrivato a questa conclusione). Se mai ci fosse stata una qualche fusione fredda nel mio esperimento, sicuramente avveniva su una scala estremamente piccola e doveva essere molto, ma molto difficile da individuare.

Ma credo ci sia altro che possiamo imparare da questa esperienza. Una cosa è quanto facilmente si possa essere travolti dal clima “ho visto Elvis”. All'inizio, la gente mi diceva che ero un cattivo sperimentatore se non riuscivo ad osservare la fusione fredda. “Su,” dicevano, “tutti vedono la fusione fredda. Perché tu non riesci a vedere nulla?” E, sapete, l'effetto “ho visto Elvis” è forte: alcune volte ho pensato di aver realmente osservato un segnale che mostrava che sì, era in corso una fusione fredda! Ma poi rifacevo l'esperimento ed il segnale era scomparso. Una delle caratteristiche della “scienza patologica”, infatti, è che i risultati sono sempre al limite della sensibilità dello strumento.

Non ero l'unico ad aver visto fantasmi di fusione fredda. Ricordo di aver discusso con un collega che mi ha raccontato che aveva lo stesso problema con il suo esperimento. Usava un rivelatore di neutroni e vedeva lo stesso segnale di emissioni col deuterio e con l'idrogeno. La sua conclusione? Be' non era che il suo rilevatore di neutroni era alquanto inaffidabile, ma che si può ottenere la fusione fredda anche con atomi di idrogeno! Non dirò il nome del collega, ma, fortunatamente per la sua reputazione, sembra che non abbia mai pubblicato questa sua idea.

Alla fine, tuttavia, penso che il punto principale è che il metodo scientifico funziona. E' vero, gli scienziati sono esseri umani, possono essere vittima delle proprie aspettative, dell'effetto “ho visto Elvis” e possono fare errori, naturalmente. Ma, in generale, il sistema esclude i cattivi risultati. E' la scienza, ragazzo mio!



(*) Nel caso siate interessati a questo tipo di cose, vi do qualche dettaglio sull'esperimento. Ho usato un sistema che era stato costruito per studi sulla catalisi. Era costituito da una camera di reazione collegata con una camera in ultra-alto vuoto equipaggiata con uno spettrometro di massa. Nella camera di reazione esponevo il campione di palladio al deuterio a diverse pressioni e temperature. La mia idea era che se la fusione fredda avveniva, sarebbe avvenuta all'interno del reticolo del palladio ed avrebbe generato nuclei di elio che sarebbero rimasti intrappolati lì. Così, dopo la reazione, pompavo via il deuterio, aprivo la camera di reazione e riscaldavo il campione ad alta temperatura in modo da liberare l'elio nello spettrometro di massa. Qui, il problema è che la molecola di deuterio (D2) ha la stessa massa dell'elio atomico, per cui le due masse non si distinguono in un normale spettrometro di massa. Per questa ragione facevo passare il gas emesso dal campione attraverso una trappola costituita da titanio appena evaporato che avrebbe assorbito il deuterio, lasciando il solo elio. Non sarebbe stato possibile eliminare il deuterio al 100% ma, se l'effetto di fusione fredda era significativo, pensavo che sarebbe stato possibile vedere una differenza ripetendo l'esperimento usando del normale idrogeno. Tuttavia, come racconto nel testo principale, non ho mai potuto vedere niente di significativo.

(**) Si potrebbe dire che non ho visto la fusione fredda perché non sono mai potuto arrivare a pressioni veramente alte nel mio sistema. Vero; però, più tardi, altri ricercatori hanno fatto qualcosa di simile usando pressioni probabilmente centomila volte più alte di quelle che usavo io. Non hanno trovato niente nemmeno loro (Silvera and Moshary, Physical Review B, 42, 14, 1990, p. 9143)